92. La volpe e l'uva

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La richiesta giunse inaspettata alle orecchie di tutti, tanto che sia i semidei sia le divine presenze genitoriali sembrarono presi di sprovvista. I ragazzi del Campo parvero congelare sul posto dall'orrore di una proposta all'apparenza provocatoria, che sicuramente avrebbe scatenato non poca rabbia. Sue fissò i suoi occhi sulla schiena della piccola davanti a lei e poi scorse, uno a uno, i visi dei suoi parenti, chiedendosi da chi, per primo, sarebbe giunta la minaccia. Gli dei, da parte loro, parevano colti dalle più diverse reazioni: c'era chi, come Atena, sembrava già irritato mentre altri, come Apollo, non riuscivano a decidersi se prendere sul serio quella richiesta oppure no.

Diverso da tutti era il volto di Dioniso: né arrabbiato né confuso, solo vagamente curioso. Squadrò la sua unica bambina e dopo un apparente attento esame, chiese: "Ah sì?"

"Sì." Rispose impassibile Shoshanah.

Dioniso accavallò le gambe, appoggiò il viso nella mano aperta e disse: "Dovresti ricordare, bambina mia, che non è lecito chiedere indietro i morti."

"Lo so. Per questo sto facendo appello a te e non al divino Ade."

Il commento fece agitare le divinità, che iniziarono a mormorare tra loro, ma il padre della questuante rimase impassibile. Assottigliò gli occhi, dimostrando un certo grado di sospetto nei confronti della quindicenne, ma non riuscì ad arrabbiarsi per la sua faccia tosta: era, in fondo, la sua unica bambina. L'unica figlia che avesse tollerato tanto a lungo e tanto bene da ricevere in dono un sirto. Aveva nascosto bene la sua gioia nel vederla sana e salva davanti a sé e in qualche modo era stato divertente sapere di aver ingannato i colleghi, interessati a dar di contro al povero Efesto, senza rendersi conto che senza il suo alcol, le porte di New Troy non sarebbero mai saltate.

"Shoshanah, Teumesi è morta." Disse con voce gentile.

"I mostri non muoiono." Precisò la ragazzina.

"Beh, come ti pare. Fatto sta che avrà il suo tempo di tornare sulla Terra. Tra... diciamo... un paio di secoli. Forse."

Sue pensò che la questione potesse dirsi terminata. Sho aveva fatto una cosa pericolosa, ma era stata ricondotta al suo posto in modo addirittura gentile. Ora l'avrebbe presa per un braccio e se ne sarebbero andati, di corsa.

Abbandonò per un secondo gli altri ragazzi, le si avvicinò a grandi passi e le posò una mano sulla spalla.

"Andiamo, Shoshy." Mormorò, fremendo dalle emozioni più confuse. "Andiamo a casa."

Shoshanah se la scrollò con grazia di dosso, fece un passo avanti per allontanarsi da lei e, implacabile, insistette: "I mostri non muoiono, finiscono nel Tartaro. Non tutti, però. Scarlett abitava il firmamento, prima di essere scelta da te, padre, come guida del Campo Mezzosangue."

"Tua figlia non sa tenere la lingua al suo posto." Commentò Atena, osservando bieca i riccioli neri della ragazzina.

Dioniso la ignorò, tanto quanto la sua prole.

"Vero." Convenne pigramente. "Non che le cose cambino, comunque. Morta è e rimane."

"Per questo sono qui a chiederti di ridarmela."

Il brusio tra gli dei crebbe di intensità: addirittura quel menefreghista di Ares cominciò a guardare Shoshanah, mentre fronteggiava suo padre. Quella bambina emanava uno strano potere: niente di soprannaturale, era solo la forza della sua determinazione. Dioniso non aveva mai visto un semidio così sfrontato. Nemmeno Jackson, quel famoso Jackson, gli si era rivolto così, come se fosse semplicemente un insegnante un po' burbero e non una divinità del Pantheon ellenico.

"Mi dispiace, Shoshanah." Tagliò corto, cominciando a stancarsi di quella scomoda posizione. "Non si può fare."

La mano di Sue tornò sulla sua spalla con più decisione di prima. Con altrettanta decisione Sho mosse l'ennesimo passo avanti, lo sguardo puntato in quello del padre.

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora