98. Pesca la tua carta

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Un grimorio è una cosa semplice. È fatto da carte. Tante carte.

Jasper ne aveva visti parecchi durante la sua permanenza la Campo prima della partenza per la guerra, prima che la realtà, già bizzarra di suo, deragliasse definitivamente. Per questo motivo trovò molto strano il regalo di suo padre. Aveva trovato le carte avvolte in una sottile carta nera che gli aveva lasciato le punte delle dita dello stesso colore, come se Ade si fosse divertito a fare bricolage con la carta carbone. All'interno le carte erano avvolte da un nastro grigio. Ad uno primo sguardo aveva pensato che ci fosse un altro strato a coprire il regalo ed era stato già pronto ad innervosirsi. Sono in un secondo momento avevano notato i profili lucidi e le quasi impercettibili scanalature sui bordi a indicare che non si trattava di un corpo solido unico, ma di un ordinatissima e lucidissima, nuova di pacca pila di carte. Con mano quasi tremante le prese dalla superficie dell'altare su cui erano comparse. Per un secondo fiamme della faci verde fecero assumere al suo gesto una nota rapace, deformando la realtà con le ombre che riuscivano a gettare in tutte le direzioni. Le lingue di fuoco erano come impazzite.

Si calmarono non appena le sue dita sfiorarono la superficie delle carte. Erano fredde e inaspettatamente solide, come fatte da una sottilissima lamina di qualche metallo sconosciuto. Se le fece scorrere in mano assaporando la sensazione di mescolarle. I dorsi erano istoriati con motivi neri su campo nero, quasi invisibili se non quando si faceva attenzione ai riflessi della luce. Allora i motivi quasi iniziavano a danzare di lucide scintille verdi; mostravano quelle che Jasper poté immaginare essere i diversi aspetti della porta dell'Ade. 

"Decorazioni interessanti, padre" pensò mentre girava la prima carta del mazzo.

L'altro lato era diverso da quello che si sarebbe aspettato. Non c'era nessuna immagine dove avrebbe dovuto esserci l'illustrazione principale che indicava l'aspetto dell'essere evocato dalla carta, sempre che fossero state immaginate per giocarci. Faticava a pensare una ragione plausibile per cui il suo genitore divino, che non si era fatto sentire per quattordici anni, avesse deciso proprio in quel momento di fargli un regalo lontano dalle feste di Natale e pure dal suo compleanno. Sentì quasi la tentazione di rispedire il pacchetto al mittente, il quale non sembrava aver ben compreso il fatto che delle carte di Mythomagic avrebbero dovuto avere dei valori, delle descrizioni e delle immagini, e magari un costo, e non solamente un verso decorato e uno nero e basta. Notando quanto fosse illogico il suo ragionamento accantonò l'idea. Ade era un Dio e in quanto tale di sicuro non avrebbe fatto un errore così balordo. Ma allora qual era la ragione?

Nella speranza che potessero essere delle armi prese la carta nera e la scagliò come aveva visto fare a qualche eroe dei fumetti e a qualche suo compagno di scuola in cortile. Inaspettatamente non successe niente di più di un volo abbastanza scrauso, concluso con un lento aleggiare verso terra come avrebbe fatto una qualsiasi carta sia da gioco classico che da gioco di carte collezionabili. Sospirò e andò a raccoglierla, per poi osservare di nuovo tutte quelle che aveva in mano. Si sedette sul letto e sospirò ancora. Con attenzione, una per una le dispose sul lenzuolo formando un rettangolo con venti carte sul lato lungo e quattro sul lato corto. Poi, sperando di trovare qualcosa e dimenticandosi di Jazzlynn che lo stava aspettando, iniziò a girarle. Solamente verso la tredicesima carta, finalmente, trovò qualcosa su di essa. Nel riquadro dell'illustrazione c'era un'arma, e non una qualsiasi. Una lancia, divisa in quattro sezioni di lunghezza uguale. 

"Qualcuno ha osservato bene le battaglia a New Troy"

La carta non rispose ai suoi pensieri e se ne rimase in silenzio, enigmatica, sul lenzuolo. 

Altre carte furono girate e alla fine, quando le ebbe voltate tutte si rese conto che solo un'altra mostrava qualcosa. Le scritte erano in greco ed erano molto più brevi della prima. Il nome, in piccole lettere argentee, era quello di νέκυια.

"Evoca uno spirito caro e orami perduto. Necessario per l'evocazione: 2 mana e una fossa. - lesse tra sé e sé a mezza voce le istruzioni della carta - Una fossa? In che senso?"

La carta non diceva altro e l'immagine mostrava solamente un vortice nero sempre più scuro che sembrava non terminare sulla superficie lucida della carta ma andare sempre più infondo fino all'Averno.

La girò per controllare che davvero non ci fosse altro e poi ricontrollò tutte le arte carta. Non ce n'era nessuna che fosse una territorio e nemmeno incantesimo. Che razza di mazzo di mythomagic aveva solamente un'arma e una magia? E una fossa? Non c'era nessuna carta che conoscesse che fosse una fossa. A meno che il mazzo di Ade, come quello di Dioniso, non avesse dei territori particolari che solo lui poteva usare. Nel qual caso sarebbe stata una grande seccatura: il mazzo del Dio del vino era praticamente inutilizzabile per giocare davvero contro qualcuno. Gli effetti erano imprevedibili e praticamente ogni carta infrangeva due o più punti del regolamento contemporaneamente.

Incapace di trovare una risposta a tutte le domande che gli giravano in mente, alzò lo sguardo dalle carte. I muri lisci e neri della cabina tredici non risposero e gli rimandarono indietro un riflesso nebuloso e poso chiaro di sé, come se avesse improvvisamente avuto la possibilità di vedersi dopo la morte. Sapeva che era solo una sua impressione ma allo stesso tempo ebbe timore che fosse vero, e che sarebbe morto così tanto presto da avere ancora un aspetto da adolescente dopo la sua morte, quando sua madre avrebbe pianto sulla sua tomba. Esattamente come Fabrice, per cui però non c'era nessuna famiglia a piangere, almeno non una biologica, e per cui non ci sarebbe stata nessuna tomba, nessuna fossa. La sola idea di uscire ad arrampicare con Jazlynn gli suonò improvvisamente sbagliata. Non poteva dare la precedenza a qualcosa di diverso rispetto alle carte. Non sapeva cos'erano e rappresentavano l'unico sincero atto di interesse che suo padre avesse mai fatto per lui, a parte dargli la vita.

Velocemente si alzò e andò sul patio della cabina dove Jazz attendeva, seduta sui gradini intenta a punzecchiare il terreno riarso con un pezzetto di legno.

"Jazz! Ascolta... rimandiamo a un'altra volta l'arrampicata, okay?".

"Jazper cosa succede?"

"Te lo spiegherò ma non adesso. C'entra Ade... quindi mi faccio vivo. Più o meno. Grazie. Ciao".

La porta si richiuse in faccia ad una Jazlynn quanto più confusa che altro. Non aveva nemmeno fatto in tempo a rispondere, aveva solo aperto la bocca che Jasper era rientrato nella sua buia tana da figlio di Ade lasciandola lì. E non solo! Aveva anche paccato l'arrampicata. Quando finalmente pensava di averlo convinto ad aprirsi e a migliorare, ecco che le chiudeva una non troppo metaforica porta in faccia. 

"Oh - disse alla porta ormai chiusa - Non fa niente, me ne tornerò da sola al campo di allenamento. Come se non fosse successo nulla. Ciao."

A lunghi passi se ne andò, lasciando che dentro la cabina gli ingranaggi del cervello del ragazzo iniziassero a lavorare a pieno regime. Si sentiva un poco una merda per la risposta che aveva dato a Jazlynn, ma non era il momento di curarsi dei vivi. Per una volta, per la prima volta, il figlio di Ade si sarebbe curato dei morti.




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