~Due~

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Alex

Maledetti poliziotti.
Sul serio non hanno nulla di più urgente da fare che dare la caccia a me?
Là fuori ci saranno decine di ladri, spacciatori, mafiosi e assassini che si aggirano a piede libero per la città, e loro hanno il tempo di correre dietro ad una sedicenne?
Cosa temono che potrei mai combinare di così terribile da non potermi lasciar perdere una buona volta?
Non c'è neppure una famiglia preoccupata che mi aspetta impaziente.
Non proprio.
Solo un dannato orfanotrofio che rischia di perdere qualche banconota in più se non ritorno al più presto dentro le mura dell'istituto.
Perché ogni cosa deve ricondurre al denaro?
Mi fa schifo questa gente. Mi fa schifo sentirmi in ostaggio in quel posto.
È una gabbia.
Una gabbia dorata.
Dall'esterno sembra una bellissima e gigantesca casa famiglia. Ben tenuta, ben organizzata, gestita da persone che vogliono soltanto occuparsi di minorenni soli e indifesi, educandoli e curandoli in ogni modo possibile.
Ma la verità, è che ci addestrano ad essere buoni e preparati così che ogni volta che una famiglia vorrà adottare uno di noi, quei bastardi otterranno un bell'assegno da milioni di soldi.
È un orfanotrofio privato.
Dove non si devono affrontare pratiche infinite per avere la custodia di un minore, dove non ci sono visite da parte degli assistenti sociali per accertarsi che la famiglia sia affidabile.
È sufficiente avere un mucchio di dollari e una penna per firmare.
Come si può comprare una persona?
A nessuno dovrebbe essere permessa una cosa del genere.
Eppure, la legge non ci difende.
Alla legge non importa.
E di sicuro non gli è mai importato né ha mai difeso me.
Credono di potermi tenere rinchiusa come un animale allo zoo? Di potermi addestrare come se fossi una tigre da circo?
Oh, non glielo renderò facile.
Non si può braccare uno spirito libero.
Continuerò a scappare, ci proverò ogni giorno.
Possono darmi la caccia e riprendermi ogni dannata volta.
Ma io scappero' ancora.
E se non si stancheranno loro, di sicuro non mi stancherò io.

🌻🌻🌻

Smetto di dimenarmi contro la stretta del poliziotto quando sento le pesanti porte di legno dell'orfanotrofio chiudersi alle mie spalle.
Di nuovo dentro. Di nuovo in gabbia.
L'agente mi spinge lungo l'atrio e poi verso l'ufficio della signora Fray. Lei e suo marito sono i direttori dell'istituto.
Due quarantenni affamati di soldi e potere, che non hanno trovato niente di meglio da fare che mettere in piedi questo posto.
Se c'è una cosa che mi tira su il morale guardandoli, è pensare che la loro vita resterà comunque più triste della mia.
Potevano realizzare qualsiasi sogno -erano liberi- e hanno scelto questo. Mi fanno pena.
Mi fanno pena perché non importa quanto si ripetano che con il loro lavoro stanno aiutando dei poveri bambini, dei poveri adolescenti, non importa quanto lo ripetano agli altri.
Restano due persone orribili.
<<Signora Fray, le abbiamo riportato Lexie>>
Il poliziotto mi lascia andare e sorride in direzione della donna in vestaglia da notte.
<<Scusi l'ora, ma meglio tardi che mai, no?>>
Li osservo scambiarsi sguardi complici e la cosa non mi piace affatto. Scommetto che è più del senso del dovere a spingere quest'uomo a darmi la caccia continuamente. Ma devo ancora capire cosa ci sia sotto.
<<Oh non si preoccupi Raul. Grazie per avercela riportata. Eravamo così in pensiero>>
, come no.
La voce smielata della signora Fray mi da il voltastomaco.
<<Lexie va in camera tua. Parliamo domani>>
Senza aggiungere una parola né un'ultima occhiata verso quei due, lascio l'ufficio e salgo le scale.
La mia stanza è al secondo piano, la divido con Kayla, una bambina di dieci anni.
È già tutto in silenzio e non sono neanche le dieci di sera, attraverso i corridoi bui e mi infilo nella mia camera.
L'orfanotrofio è un vecchio istituto antico dell'Ottocento, ha tre piani divisi equamente fra quello per le ragazze, quello dei ragazzi, e quello comune dove studiamo, mangiamo o ci riuniamo durante il giorno.
Il piano terra è riservato ai Fray.
Non sembra un posto poi tanto male eh?
E invece fa schifo comunque.
Lascio il giubbotto sulla scrivania sotto la finestra, e crollo sul letto facendo il meno rumore possibile. Kayla dorme già.
Che altro dovrebbe fare del resto?
Ogni sera dopo cena, alle otto in punto, dobbiamo tornare tutti nelle nostre stanze. E qui non c'è modo di passare il tempo se non chiacchierando con la tua compagna di camera, considerato che queste sono arredate con solo i letti, un tavolo, e un piccolo armadio in comune.
Niente giochi per i più piccoli, niente tv, niente computer.
Per me che ho ancora l'adrenalina in corpo, è un inferno doversene stare a letto senza un briciolo di sonno, e senza potermi muovere da qui.
È come se avessi costantemente delle catene addosso. Non ci sono fisicamente, ma io le sento davvero.
È inevitabile escogitare già la mia prossima fuga.
Penso alle strade di questa città, al mare meraviglioso a qualche chilometro dall'istituto, alla libertà.
E tutto questo mi da sempre la forza per scappare via, almeno per un po'.
La mia vita è là fuori.
E io devo almeno tentare di riprendermela.

🌻🌻🌻

Mi è sembrato di impazzire in questa settimana.
Sette eterni giorni in cui l'unico modo per respirare aria fresca, era affacciarsi dalla finestra o uscire in quella specie di cortile sul retro.
Erano mesi che non trascorrevo così tanto tempo chiusa qui.
A dirla tutta, ultimamente sono rimasta più fuori che dentro.
Ma se ho rimandato la mia ennesima fuga ormai programmata da giorni, è stato per Kayla.
Ha preso una brutta influenza e aveva bisogno di me. Non l'avrei mai abbandonata, già mi costa farlo quando vado via. La porterei con me se potessi, è come una sorella minore.
Un po' mi odio a lasciarla sola durante le mie frequenti assenze, ma il sapore della libertà è come l'aria che respiro per me.
Devo riuscire ad ottenerne almeno un po' per volta, almeno quel poco che mi permette di sentirmi viva.
E adesso, dopo essere saltata giù da una finestra del bagno al primo piano, e aver cominciato a correre lontano, mi sento viva eccome.
Corro sempre appena uscita dall'orfanotrofio, sia per evitare che si accorgano di me nelle vicinanze, sia per sfogare tutto il senso di oppressione accumulato.
Come al solito vado a rifugiarmi da Jason, il primo vero amico che mi sono fatta quando sono atterrata in California due anni fa.
Jason è un diciottenne super figo, tutto muscoli e tatuaggi, il ragazzo da cui ti aspetteresti serate in discoteca e vita spericolata.
E invece no, ha il quoziente intellettivo di un nerd, e vive da solo in una specie di grande garage perfettamente arredato, che mantiene con il suo fruttuoso lavoro.
È un hacker.
Quindi dopotutto, suppongo sia persino più intelligente di un comune secchione.
È lui che mi ospita tutte le notti che resto fuori, ed è sempre lui che si impegna per soddisfare ogni mio piccolo sfizio.
Come comprarmi il materiale per i murales.
La prima cosa che faccio oggi, è proprio andare a recuperare le mie bombolette spray da casa sua, e raggiungere la zona più isolata di San Diego, già ricca di opere create dalla sottoscritta.
Mi piazzo sotto il muro ancora bianco di un palazzo, e do sfogo alla fantasia.
In certi momenti ho la sensazione di avere così tante cose che mi vorticano per la testa, che se non le esprimo in qualche modo tirandole fuori, potrei esplodere.
Quasi un'ora dopo il mio lavoro è già a metà: una bambina addormentata che presto sarà vegliata da un lupo al suo fianco.
Poso la bomboletta nera a terra, e ne prendo un'altra dopo essermi passata una mano sulla fronte sudata. Il sole sta tramontando e l'aria inizia a rinfrescarsi.
Giugno è un mese troppo caldo in questa città.
<<Lo sai che dipingere palazzi pubblici è illegale?>>
La bomboletta mi cade di mano al suono di quella voce calma e profonda alle mie spalle.
Incrocio le braccia al petto, e con la massima disinvoltura mi giro.
Ah però.
A neanche due metri da me, c'è un ragazzo con l'espressione da uomo che mi osserva, mi studia, nella stessa mia identica posizione.
Stringo le labbra per nascondere un sorriso.
Mentre penso ad una risposta, memorizzo due penetranti occhi blu in contrasto con le onde nere dei capelli che gli ricadono sul viso, i lineamenti delicati che lo caratterizzano, i jeans e la maglietta blu scuro, il corpo slanciato e non troppo muscoloso.
In risposta al mio silenzio, infila una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e tira fuori... una specie di distintivo.
Cazzo.
È un poliziotto.
Il ragazzo dal viso d'angelo è un poliziotto.
Cos'è, una persecuzione?

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