~Uno~

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Gabriel

<<Gabriel, tesoro, hai dieci minuti per finire di prepararti. Gli ospiti arriveranno a breve>>
<<Sì mamma>>
Sto già abbottonando la camicia mentre Katlin urla da dietro la porta della mia stanza.
Mamma. Katlin.
Non riesco ancora a capire perché con la voce non ho mai avuto problemi a chiamare la mia matrigna "mamma", mentre nella mia testa resta sempre Katlin.
In fin dei conti, se togliamo la questione biologica, è davvero mia madre.
Sposando papà ha pienamente accettato anche me, mi cresce da prima che compissi cinque anni.
Ammirevole no?
Mi passo una mano fra le onde ribelli dei capelli per toglierli via dagli occhi, e dopo essermi dato un'ultima controllata allo specchio, esco dalla camera e mi dirigo al piano di sotto.
Un paio di camerieri agitati si stanno dando da fare per allestire il buffet nella sala principale, Katlin non fa che dargli direttive e gestire personalmente il tavolo con i drink.
È da ore che organizza questa festa.
La mia festa.
Ho appena terminato il corso di formazione per entrare in polizia, da domani sarò ufficialmente poliziotto in prova.
E i miei genitori hanno voluto celebrare il traguardo raggiunto organizzandomi questa serata.
Oltre cinquanta invitati nella nostra villetta al mare.
Perlopiù sono loro colleghi e amici di famiglia, ma è il pensiero che conta immagino.
Attraverso la sala da pranzo e raggiungo mio padre fuori, sul portico che si affaccia sulla spiaggia e sul mare.
Adoro questa casa, è qui che abbiamo passato ogni estate sin da quando sono piccolo.
Questo luogo racchiude tanti ricordi felici per me.
<<Pronto per ricevere l'ondata di gente che verrà a farti i complimenti, Gabriel?>>
La sua voce suona divertita mentre mi stringe una mano sulla spalla per tirarmi a sé in un mezzo abbraccio.
<<Suppongo di sì. Ma, sul serio, non dovevate dare questa festa>>
<<Oh sai che Katlin adora organizzare eventi del genere. Approfittane e goditeli>>
Approfittane e goditeli.
Non rispondo, ma in realtà non sono poi così entusiasta di ciò che mi aspetta.
Sbaglio a pensare che sarò come una sorta di trofeo da esporre?
So che l'intenzione non è quella -be' almeno un po' si, quale genitore non loda i successi dei propri figli?- ma è comunque esattamente in questo modo che mi sentirò.
Odio stare al centro dell'attenzione.
Il suono del campanello alla porta arriva attutito alle nostre orecchie, sovrastato dalle onde del mare.
Potrei far finta di non averlo sentito. E anche papà pare avere questa intenzione.
Ma poi la voce di Katlin ci avvisa di tornare dentro.
Nascondo un sospiro e volto le spalle al meraviglioso tramonto che inizia a scomparire sul mare calmo di San Diego.

Non mi sento più la mano.
Perché accidenti le persone devono stringerla tanto forte?
Finito finalmente il giro di saluti, torno a rifugiarmi sul portico, dove trovo i miei amici seduti sul dondolo a bere cocktail colorati.
<<Chi diavolo è tutta questa gente?>>
Prendo il bicchiere dal contenuto incerto che mi porge Riley, il mio migliore amico, e scuoto le spalle sedendomi accanto a lui.
<<Avvocati. Poliziotti. Colleghi di papà e Katlin>>
Sì, anche quando parlo con gli altri spesso non la chiamo mamma.
<<Quindi lavorerai con queste persone d'ora in avanti, eh>>
<<Più o meno. Loro sono pezzi grossi: commissari, ispettori, questori. Io sarò in prova per qualche mese>> spiego.
<<Niente di pericoloso?>>
<<Non ancora>> lo rassicuro.
Riley non è proprio al settimo cielo per la mia scelta. La rispetta, e mi sostiene.
È che ha sempre avuto una vita tranquilla, il pericolo non gli è familiare. E conoscendomi da tempo, non può evitare di nutrire dei dubbi riguardo alla mia scelta lavorativa.
Dubbi e preoccupazioni.
Non me lo ha mai detto, ma credo pensi che io stia solo seguendo le orme di mio padre.
Non è così, davvero.
<<Avrai ancora tempo per fare surf con il tuo vecchio amico?>>
Rido.
<<Riley, avrò dei turni di lavoro durante la settimana, non mi sto chiudendo in un convento>>
<<Era per sapere>> si difende.
Non potrei mai abbandonare il surf, è uno dei pochi sfizi che ho.
E di certo non posso abbandonare il mare.
È qualcosa di troppo importante per me, è il mio luogo di pace.
Mi è sempre bastato galleggiare sull'acqua ad occhi chiusi per ritrovare la serenità.
Il fatto che poi abbia imparato ad usare una tavola e cavalcare le onde, è merito di Riley.
Lui è proprio il classico surfista californiano, in tutti i sensi.
Capelli biondi, pelle abbronzata.
È solare e amichevole con chiunque, e sorride così tanto da riuscire a contagiarti perfino in una giornata nera.
<<Mmh, mi sa che qualcuno ti sta cercando>>mormora, indirizzandomi con lo sguardo verso la finestra che fa da vetrina e mi permette di guardare ciò che succede dentro casa.
Osservo la marea di invitati e capisco a cosa si riferisce. Rebeccah.
Avvolta in un costoso vestito viola, si guarda intorno impaziente.
<<Perché dovrebbe cercare proprio me?>>
Non appena finisco di dirlo, i suoi occhi mi trovano al di là della vetrata, mi sorride e alza una mano per salutarmi.
Ricambio ma non entro.
Non ho alcuna voglia di lasciare la fresca brezza marina che mi accarezza la pelle, né tantomeno di tornare in mezzo a quella gente che conosco a malapena.
Ad ogni modo, si, credo cercasse me.
<<Perché dovrebbe cercare proprio te dici? Be', in primo luogo, sei l'unico che probabilmente conosce qui oltre ai suoi genitori, e...>>
<<Gabriel!>>
La voce di mio padre interrompe il nostro discorso e mi costringe ad entrare davvero stavolta.
È accanto alle scale che mi aspetta, insieme ad un sorridente uomo della sua età. Raul.
Lo conosco, è il suo ex partner di lavoro.
<<Gabriel, congratulazioni!>>
E vai con l'ennesima stretta di mano.
Lo ringrazio, e resto intrappolato nella classica conversazione fra un esperto del campo che vuole dare consigli a chi è da poco entrato nel settore.
Lo ascolto educatamente finché grazie a Dio un messaggio non attira la sua attenzione.
<<Scusate, sono in servizio. Ero passato per un saluto ma ora devo andare>> si scusa.
<<Il mio collega ha trovato quella piccola peste>> spiega, rivolto a mio padre.
Non so di cosa stiano parlando ma li seguo verso l'uscita.
Raul apre la porta, e sotto le luci tenui dei lampioni sulla strada, riesco a vedere l'auto della polizia a qualche metro di distanza, e un uomo in divisa che spinge con forza sui sedili posteriori una ragazza.
Le vedo soltanto la schiena, coperta da una cascata di capelli lunghissimi, ma ad attirare il mio sguardo è il modo in cui si dimena fra le braccia del poliziotto, tentando di liberarsi.
Deve intervenire Raul perché riescano a farla entrare in macchina.
Servono due uomini tanto grandi e grossi per placcare un corpo che non sembra pesare neppure cinquanta chili?
<<È una piccola combattente>> bisbiglia mio padre, più a se stesso che a me.
Ha un leggero sorriso di ammirazione sul viso mentre osserva la scena.
<<Chi è?>> non posso fare a meno di chiedere.
<<Ah, è possibile che presto la conoscerai anche tu. Lexie Jones. Preparati, potrebbe diventare uno dei tuoi problemi da risolvere>>

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