~Cinquantacinque~

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Gabriel

Sono stato momentaneamente sospeso dal lavoro.
Era l'unica attività che mi teneva impegnato per buona parte della giornata, e che non mi faceva sentire inutile ventiquattro ore su ventiquattro. È davvero orribile avere un sacco di tempo a disposizione quando non sai che farne.
Quando finisci per passarlo a logorarti il fegato, ripensando ai problemi che già ti assillano abbastanza di loro iniziativa.
Ogni tanto passo da Riley che sta ancora al garage di Jason, ma com'è prevedibile finiamo per parlare di Alex e be', soffrire in compagnia non fa poi meno schifo di quando si è da soli.
Jason mi ripete sempre che conta su di me. E io non gli rivelo che ormai conto a mia volta su mio padre perché non so più dove sbattere la testa.
Gli rispondo che sto cercando una soluzione, che non ho intenzione di arrendermi.
È vero, lo penso.
Ma sono anche consapevole di quanto difficilmente possa bastare.

🌻🌻🌻

Due sere prima dell'ultima udienza, dopo cena, papà mi raggiunge in camera.
<<Ho sistemato la storia con Javier>> mi dice subito. E per quanto mi faccia piacere, non è quella la storia che desideravo si risolvesse per prima.
<<Ho parlato con il tuo superiore. Ha archiviato l'episodio, ma se vuoi proseguire su questa strada -e in questa città- se ci tieni ancora al tuo lavoro, basta cazzate, basta gesti impulsivi. Non ci passeranno sopra un'altra volta>>
<<Mi stupisce che l'abbiano già fatto adesso>>
<<Be', il fatto che Raul ha convinto Javier a ritirare la denuncia ha aiutato, e non poco>>
<<Che cosa? Non voglio nulla da quel bastardo...>>
<<Gabriel non iniziare una guerra per una cazzata del genere, per favore. Abbiamo una storia più importante di cui occuparci, no?>>
Annuisco mentre cerco di decifrare il suo volto, giurerei che ci sia qualcosa di diverso stasera. Credo addirittura che abbia una buona notizia.
Una seconda buona notizia, ma l'unica di cui mi importi.
<<Hai trovato una soluzione? È così, vero?>>
<<Potrei averla trovata, si, però Gabriel, è importante che capisci una cosa... Non andrà come vuoi tu. Non la lasceranno libera per magia, non potrà continuare a stare a San Diego. Nessun giudice emetterebbe una sentenza simile. Posso solo immaginare quanto ci starai male, però sono certo che anche per te la priorità è proteggerla, giusto? Se è davvero l'unico modo per non metterla nelle loro mani, sarà sufficiente... dimmi che lo capisci, ti prego>>
Questo inizio non mi piace. Questo inizio non mi piace per niente.
<<Parla e basta papà>>
<<Dobbiamo farla scappare. Prima dell'udienza posso pagare un ragazzo perché si sostituisca a uno dei poliziotti che la terranno d'occhio, posso distrarlo io nel frattempo. Ho preparato un biglietto dell'autobus che la porterà alla stazione, da lì potrà prenderne un altro, potrà andare dove vuole. Il tribunale sarà affollato perché c'è un'udienza importante, ho controllato, dovrà riuscire a mimetizzarsi fra la folla, e poi correre per non farsi prendere. Non immaginerebbero mai che salirà su un autobus, ma Lexie dovrà seminarli. Dal momento in cui avrà i soldi e il biglietto, dipenderà tutto da lei. Gli ho scritto tutto in un foglio che metterò nella busta insieme al resto>>
Ci metto un po' a rielaborare.
<<È pericoloso papà! Potrebbe..>>
<<È l'unico modo! Se non si volterà indietro, se non si fermerà a parlare e perdere tempo con nessuno, ce la farà. È scaltra, è furba, ed è quello che fa da anni>>
Se non si fermerà a parlare con nessuno.
Si riferisce a me. E a Jason. Le uniche persone che ha al mondo.
Sarebbe completamente sola...
<<Lexie non può averla una vita in questa città, lo sai. Devi lasciarla andare se vuoi salvarla>>
<<Non potrei neanche salutarla, e non ci parlo da settimane!>>
la tocco, né la bacio...
<<È la cosa giusta>> mi ripete attirandomi a sé.
Sarà anche la cosa giusta, ma fa male.
Fa un male cane, cazzo.
Penso che quelle settimane dove non l'ho toccata e non ci ho parlato potrebbero trasformarsi in 'per sempre'. In 'mai più'.
E non so se riesco a concepirlo. Non so se posso accettarlo.
Chi voglio prendere in giro? Certo che non posso accettarlo.
Diventerei un uomo disperato.
Lo sono già.
E le menti disperate elaborano soluzioni altrettanto disperate.
Mentre fingo di essere d'accordo con mio padre, la mia è già al lavoro.

Alex

Questo giorno è arrivato sul serio.
Ora che mi trovo qui, in tribunale, mi rendo conto che non mi ero mai immaginata realmente il momento.
Chissà come, credevo che alla fine l'avrei scampata in qualche modo. Una parte dentro di me almeno, lo credeva. Eh be', quella parte si è rivelata proprio ingenua eh?
A qualche metro dalla porta dell'aula, a qualche ora dall'inizio dell'incubo, un uomo mi tiene buona contro il muro stringendomi il braccio. Ha una pistola alla cintura.
La userebbe contro di me se azzardassi un passo falso? Non voglio scoprirlo.
C'è casino in giro, colpa di un qualche caso che ha attirato perfino l'attenzione dei media.
Scruto le decine di facce ben rasate e pettinate, gli abiti firmati, e quando scorgo un uomo in divisa venire verso di noi, il cuore sussulta appena.
Non è lui, solo suo padre.
Si ferma proprio davanti a me e chiede due minuti al poliziotto al mio fianco, poi fa un cenno a un altro tipo in divisa lì accanto per sostituirlo.
Il mio braccio torna a respirare un attimo prima che una nuova mano torni a stringerlo.
<<Cos'è, siete a corto di manette? O in sovrabbondanza di poliziotti scarsi?>> sibilo velenosa.
La risatina del ragazzo mi sorprende.
Con discrezione, si china verso il mio orecchio, e io nello stato in cui sono fatico a decifrare le sue parole.
<<Adesso infilerò una busta dentro la tasca della tua giacca, contiene dei soldi e un biglietto per l'autobus. Dopodiché, tu ti strattonerai via dalla mia presa, e inizierai a correre senza voltarti indietro. Leggi in fretta il biglietto che trovi nella busta e scappa Lexie. Adesso>>
Mi volto a guardarlo perplessa, faccio scivolare gli occhi sul poliziotto di prima che ora mi da le spalle, e incrocio lo sguardo del padre di Gabriel.
Non mi sta controllando. Mi sta dicendo vai.
E io in tre secondi netti torno in me ed eseguo le istruzioni.
Mi libero facilmente da quella presa leggera, e comincio a correre.
Corro come facevo una volta, e come non potevo più da troppo tempo.
Alle mie gambe mancava così tanto che praticamente volo.
Mi infilo fra la gente e poi fuori dal tribunale, prendo le strade più piccole e senza fermarmi studio il contenuto della busta. Leggo il biglietto e mi dirigo verso la fermata dell'autobus accelerando più che posso, suppongo che qualcuno sia già sulle mie tracce.
Non mi preoccupo neppure che possa trattarsi di una trappola: se Gabriel voleva fidarsi di suo padre, adesso che ho avuto questa opportunità mi fiderò anch'io.
Gabriel.
Non posso pensarci adesso, i pensieri mi rallentano.
Devo salire su qull'autobus, e dopo potrò abbandonarmi al resto.

Ce l'ho fatta.
Nessuno mi ha presa, nessuno mi ha rintracciata, e io sono seduta in fondo ad un pullman semi-deserto che mi porterà alla stazione, e poi ovunque desidero.
Ovunque, ma solo in avanti.
Non posso tornare indietro. Dove ho lasciato tutto quello che ho.
Dove ho lasciato Gabriel che forse non rivedrò mai più.
E mi manca già così tanto che sento un peso al petto che mi rende difficile respirare.
Mi ha ascoltata, mi ha lasciata andare trovando comunque il modo di mettermi in salvo.
Dovrebbe essere perfetto, no?
Cerco di convincermi che lo è.
Ci rinuncio subito dopo.

Arrivo in stazione in mezz'ora.
Studio la tabella dei pullman e scelgo al volo la prima meta: San Francisco. Poi magari mi sposterò verso il Canada.
Pago il biglietto e raggiungo svelta la linea numero tre dell'autobus.
Stavolta è più affollato, mi metto in fila mentre il conducente timbra i biglietti.
E più la fila si accorcia, più temo di sentirmi male proprio in questo momento.
Più penso a quello che sto lasciando qui, più le mie gambe si fanno pesanti e gli occhi si riempiono di lacrime.
Avevo trovato tutto e me lo sto buttando alle spalle per andare verso il niente.
C'e' solo una persona davanti a me.
Prendo un respiro profondo, faccio per muovere un passo, e delle dita familiari si chiudono intorno al mio polso, impedendomelo.
Mi volto subito, e i miei occhi vedono tutto ciò che desidero in questo mondo.
Se il suo pensiero mi rendeva debole, la sua presenza e il suo tocco mi riducono in un mucchietto di cenere.
Emotivamente parlando.
<<Devo prendere un autobus..>> mormoro, lasciandomi sorpassare dagli ultimi due passeggeri, e davvero non so dove trovi la forza di dirlo.
Quando la mia testa non fa che urlare: Gabriel, Gabriel, Gabriel.
La mano libera si posa sulla mia guancia, in una carezza dolcissima, e io vorrei soltanto poter sentire il suo tocco sul mio corpo per sempre.
<<Non devi prendere nessun autobus amore mio. Andiamo in macchina>>

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