~Quarantasette~

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Gabriel

<<Oh mio Dio!>>
Io e Alex sobbalziamo appena mettiamo piede al garage, trovando Jason e Riley che se la spassano sul divano.
E almeno sono vestiti.
<<Ragazzi! Scusate>> dice Jason, con aria più divertita che dispiaciuta. Il suo umore si è ribaltato ora che Alex è tornata, e anche Riley è più sereno non dovendosi preoccupare dei suoi sbalzi emotivi.
Questa ragazza ci fa stare tutti meglio con la sua semplice presenza, è incredibile.
Ancora mi do dell'idiota per quei giorni in cui la pregavo di starmi lontano.
<<Ma è un cane quello?>>
<<Si Jason, è un cane ovviamente. Non lo riconosci?>>
<<È quel cane?>>
<<Esatto! E adesso è mio. Cioè, nostro. Lo portiamo in camera, vieni Gabriel. Voi due continuate pure>>
La seguo nella sua stanza, e una volta chiusa la porta mi ci appoggio contro, incrocio le braccia al petto e guardo Alex posare in un angolo il cucciolo mezzo addormentato, togliersi il giubbotto, stirarsi i jeans sulle cosce, passarsi una mano fra i capelli...
<<Ti sei incantato?>>
<<In effetti sì>> ammicco, prima di prenderla per i fianchi e buttarla sul letto. Mi inginocchio su di lei e le cerco le mani per intrecciare le dita.
Quando il mio palmo sfiora il suo, sento una ruvidezza che non è normale e noto che sussulta leggermente a quel contatto.
È ferita.
<<Alex!>>
Ha i palmi pieni di graffi rossi e piccoli tagli. Ci passo piano un pollice e lei sussulta ancora. Smetto subito.
<<Chi è stato?>>
<<Nessuno Gabriel, non è niente>> prova a minimizzare. Cerca di confondermi le idee accarezzandomi il petto, ma io non glielo consento.
<<Dimmelo, devi dirmi tutto. Puoi dirmi tutto, lo sai>>
Alza gli occhi al cielo e sospira un "ti preoccupi per nulla".
<<Forse, lascialo decidere a me>>
<<Be' diciamo che stavolta è stato più complicato allontanarmi dall'Istituto. Non c'era mai una via d'uscita libera, trovavo adulti ovunque, ho addirittura pensato che mi seguissero. Ma a quel punto adesso non sarei qui, no? Comunque, sono scappata da una finestra del secondo piano, sono scivolata giù... ed ecco qui le mie mani graffiate>> le solleva per enfatizzare l'ultima frase, e poi le ritira giù con una smorfia.
<<Sei scivolata giù dal secondo piano?>> ripeto incredulo.
Devo praticamente ringraziare il cielo che sia ancora qui con me.
<<Non metterti mai più in pericolo in questo modo, Alex! Volevo quanto te che uscissi da quel posto ma non a costo della tua stessa vita per la miseria!>>
<<E che avrei dovuto fare? Restare lì fino a chissà quando?>>
Si sta scaldando in risposta al mio tono, ma io non volevo questo.
È pure infastidita, però provo a immaginare la giornata che ha passato e non gliene faccio una colpa. È in quella fase dove scatti per poco e niente.
<<Ti avrei fatta uscire io!>>
<<Ah si? Ti saresti giocato il lavoro, non puoi esporti>> mi fa notare con un'insolita nota sarcastica.
In qualche modo credo di intuire il filo dei suoi pensieri e non posso evitare di agganciarmici.
Ciò che sono ogni tanto rischia ancora di dividerci. E nonostante gli sforzi da parte nostra per sorvolare, lottare... questa cosa riemerge prepotente.
Non voglio permetterlo, non posso permetterlo. E un po' mi ferisce che lei apra questa porta.
Ma non importa, ha già combattuto tanto -troppo- per noi. Tocca a me, giusto?
<<Ormai mi gioco tutto quando si tratta di te>> ribatto aggressivo, stringendole il viso fra le mani per avvicinarlo al mio. <<Al diavolo il lavoro, al diavolo la vita che conosco e che ho sempre conosciuto! Mi toccherà ricominciare da capo? D'accordo, sarà quello che farò, ma devi esserci tu, tu devi essere qui, con me, viva e in perfetta forma. Se ho te, ho tutto. Se ti perdo, sono rovinato! Rovinato Alex, e potrebbe essere soltanto per qualche mese... o per molto più tempo. Ora come ora, punterei sulla seconda>>
Qualsiasi traccia di rabbia o fastidio lascia i suoi occhi, che ora mi guardano con amore. Amore... e un pizzico di tristezza. Perché?
<<Ti ho ridotto io così>> mormora accarezzandomi il viso. <<Scusa>>
<<Ma che dici?>>
<<Forse un lato positivo nella vita che avevi prima c'era. Niente avrebbe potuto distruggerti. Adesso potresti andare in pezzi per colpa mia, sono il tuo punto debole... se colpiscono me, colpiscono te, e io sono un bersaglio sin troppo facile al momento. Mi dispiace, perché quando ho deciso che ti volevo, me ne sono fregata di tutte queste cose>>
Il suo discorso serio e sincero mi scaturisce dentro un mix di emozioni contrastanti. Dall'amore alla paura.
<<Cazzate Lexie! Mi sono innamorato di te, non sei una specie di artefice del mio destino>>
<<Ne sei sicuro? Perché quando mi pregavi di andar via... lontano da te... lo vedevo che se avessi continuato a starti accanto avresti ceduto. Me lo diceva il tuo corpo, me lo dicevano i tuoi occhi. Potevo accontentarti e lasciare tutto com'era... o stravolgerti la vita. Ho deciso la seconda, ho segnato il tuo destino>> pronuncia quelle parole come una condanna, come se fosse un dato di fatto, come se fosse vero.
È vero?
Comunque non riesco a pentirmi di averglielo permesso. Non riesco ad arrabbiarmi per... per quello che lei chiama insistere con me, e io chiamo combattere per noi.
<<Se è amarti il mio destino, non credo che mi lamenterò>> dico convinto.
Lei scuote la testa.
<<Non la vediamo allo stesso modo. Non l'abbiamo mai vista allo stesso modo>>
Stringo i denti per non aggiungere qualcosa di cui so mi pentirei.
Invece cerco dell'alcool e delle bende in bagno per disinfettarle le ferite.
<<Ho sbattuto anche le ginocchia>>
Ovvio. Con il silenzio che avvolge la stanza, le sfilo piano i jeans e li butto sul pavimento.
Non commento, ma mi assale di nuovo la rabbia a vedere come sono ridotte le sue ginocchia. Sempre in silenzio disinfetto anche quelle, e le copro con la garza.
Lascio tutto su una sedia e stringo i pugni. Non la vedo da giorni, non è così che dovrebbe andare adesso. Non dovremmo starcene distanti e arrabbiati.
<<Ti sei pentita di me?>> chiedo con la voce rotta. Mi sento uno stupido.
<<Certo che no>> risponde subito, con una semplicità che un po' mi fa bene al cuore.
Torno da lei e la sovrasto col mio corpo.
<<Giuralo>> le ordino afferrandole il viso e premendolo contro il mio, con un'aggressività che mi è estranea.
<<Te lo giuro>>
Nessuna esitazione, nessun bisogno di pensarci su.
Un bisogno però assale me: di averla. Di lasciarle il mio segno addosso, di farla impazzire ad un livello che nessun altro potrà mai raggiungere.
La schiaccio contro il materasso e la bacio. Non le permetto neppure di respirare finché non mi sposto sul suo collo e sulla sua spalla, strofinandoci piano le labbra contro, mentre con la mano scendo lungo la sua pancia, fra le gambe.
La tocco prepotente, veloce, senza delicatezza o dolcezza, e sorrido alla stretta delle sue braccia attorno ai miei fianchi.
<<Gabriel... piano... è troppo...>>
<<Si ma è bellissimo>>
E fra poco mi darà ragione. Non rallento nonostante i suoi "ti prego", la porto al limite della sopportazione. Che poco dopo si trasforma nel massimo del piacere.
La lascio riprendere fiato mentre la stringo a me e assorbo il suo calore, è bollente adesso.
<<Che cavolo era questo?>> mi chiede sconvolta.
<<Era la mia versione di segnare il tuo destino. Non ti pentirai di me, non mi dimenticherai, e se solo l'idea ti dovesse sfiorare la mente... l'abbandonerai all'istante, perché io sono il meglio che hai mai provato, e se pensi di essere stata egoista una volta, nel farmi cadere fra le tue braccia, confido nel fatto che lo sarai ancora, tenendomi lì>>
Stavolta annuisce senza ribattere nulla.

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