Alex
Bene. Avevo dato l'indirizzo del posto in cui mi nascondevo ad un poliziotto, e l'avevo per giunta invitato a passare di lì il giorno dopo -be' avevo davvero bisogno di aiuto in geografia. Un disperato bisogno di aiuto in geografia.
Anche se si trattava di Gabriel, c'era qualcosa che stava cominciando a non andare in me.
In certe cose non potevo essere impulsiva, con lui spesso e volentieri non facevo che quello.
Era così forte la tentazione di lasciarmi andare con lui... giri in moto, emozioni, baci.
Provavo qualcosa di cui non sapevo nulla, non mi restava molta scelta se non seguire l'istinto.
E poi c'erano così tanti sbalzi d'umore: mi sentivo arrabbiata, delusa e poi improvvisamente... felice. Quando aveva ammesso di tenerci a me.
Per Gabriel doveva essere un gran passo avanti.
Ammetterlo ad alta voce. A me. A se stesso.
Dio, perché è così facile far entrare nella vita le persone, e poi dannatamente difficile farle restare?Gabriel
Be'. Io ci ho provato a stare alla larga da questo garage, dove lei mi ha dato appuntamento oggi.
Ho chiesto a Riley di farci una nuotata, ma era impegnato al negozio dove lavora per l'estate.
Ho proposto a papà di guardare insieme una partita di cui non mi fregava nulla, ma lui ha preferito organizzarsi con i suoi colleghi.
Il resto degli amici è sparso in giro fra vacanze ed esami al college.
Era praticamente inevitabile che restando solo in casa, avrei preso la moto e sarei piombato qui.
Non so cosa fare adesso.
Me ne sto seduto sulla moto di fronte al garage da dieci minuti buoni, e aspetto che lei apra.
O magari che non lo faccia.
Così potrei andarmene e...
E la porta si apre.
Alex mi fissa con un sorrisetto dalla soglia. È in versione casalinga: pantaloni della tuta, un top corto scolorito e i capelli sciolti e spettinati che le ricadono intorno.
Le sfiorano quasi il sedere, chissà da quanto tempo non li taglia.
<<Speravi che non aprissi la porta eh?>>
Infilo le mani in tasca e alzo le spalle, facendomi strada all'interno di quella strana abitazione.
Resto a fissare l'ambiente non troppo grande ma confortevole, sembra non mancare niente di essenziale.
<<Ti aspettavi che vivessi in qualche squallido buco? Sorpreso?>>
Deve smetterla di leggermi nel pensiero.
L'avrà capito che quando non le rispondo significa che ci ha preso in pieno?
<<Non rispondi mai quando indovino quello che ti passa per la testa>>
Ecco appunto.
<<Sei da sola?>>
<<Si. Jason è uscito>>
<<Quindi è con lui che stai>>
<<Si prende cura di me. Perché lo vuole. Lo vuole senza aspettarsi niente in cambio. È questa la famiglia che voglio>>
Annuisco in silenzio e vedo l'affetto nei suoi occhi per questo ragazzo.
Sono contento che qualcuno si prenda cura di lei, se lo merita.
Anche se il fatto che viva con un ragazzo poco più grande, da da pensare.
<<State assieme?>> mi esce così, di getto.
Mi prenderei a pugni da solo.
<<No!>>
Lo dice come se soltanto l'idea fosse assurda.
<<Perciò hai campo libero>> aggiunge.
Penso di aver strabuzzato gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di un'auto.
<<Scherzo. Rilassati>>
Scherza. Molto divertente.
La cosa buffa è che per un attimo, l'ho davvero vista in quel modo.
<<Ci diamo da fare o no?>>
Mmh, mi è uscita male.
Il sorriso le arriva all'attaccatura dei capelli.
<<Per stavolta ti risparmio, nessuna battuta>> mi rassicura.
Grazie a Dio.Le serve aiuto in geografia.
Trovo che ci sia una velata sfumatura crudele nel far studiare il mondo a dei ragazzi obbligati a starsene chiusi in quell'Istituto.
Non che per lei la cosa valga granché.
Alex mi fa sedere sul divano, si mette all'estremità opposta, e posa un libro gigante -almeno trecento pagine- fra noi.
<<Ehm... quanto tempo hai per impararlo?>> c'e' scetticismo nella mia voce.
<<Finché non torno all'orfanotrofio e dovrò fare l'esame. Comunque questo mese mi tocca soltanto l'Europa. Saranno un cinquanta pagine>>
<<Oh, d'accordo. Meglio cominciare subito. Qual'è il tuo metodo di studio?>>
Scuote la testa.
Ok. Niente metodo di studio. Andremo sul classico.
<<Allora leggi pagina per pagina più volte, quando ne avrai memorizzata una me la ripeterai>>
<<Cosa? E che razza di aiuto sarebbe il tuo? Potevo anche ripetere allo specchio>>
<<Non posso mica impararlo al tuo posto!>>
<<No ma... inventati qualcosa! Non riesco a memorizzare tutti quei paesi, e le città. Ci ho provato e li confondo tutti! Sono solo nomi a caso per me, non li ho mai visti quei posti e non ho idea di come siano. Come posso collegarli nel modo giusto?>>
Ha ragione. Non posso contraddirla.
Però mi viene un'idea.
<<Hai un computer?>>
<<Jason ne ha uno, lo prendo?>>Si sta divertendo un sacco.
Non sono neanche sicuro che stia sul serio imparando qualcosa ma guardando le foto delle capitali d'Europa i suoi occhi si riempiono di meraviglia e stupore.
Andiamo avanti da un'ora ormai.
<<Pausa>> dichiara a un certo punto, alzandosi sul divano e tornando cinque minuti dopo con due ciotole stracolme di gelato e panna.
Mangiamo in silenzio per un po', mentre con la coda dell'occhio osservo il cucchiaino fare avanti e indietro fra la ciotola e la sua bocca.
Mi sono ipnotizzato.
<<Cosa ti ha convinto a venire?>>
<<Non avevo niente di meglio da fare>> è più o meno la verità.
Mi becco un'occhiataccia.
E poi mi spalma pure della panna sulla guancia.
Resto perplesso e mi immobilizzo.
Lo rifà, stavolta sul collo.
Ha un sorriso di sfida sulle labbra. <<Fallo>> mi sprona.
E io l'accontento. La sporco di panna su metà faccia.
Non ho mai fatto una lotta col cibo in vita mia.
È... davvero divertente.
Ridiamo come due stupidi e la mia è una di quelle risate che non puoi fermare, di quelle che si esauriscono solo quando ti fa malissimo la pancia e la mascella.
Continuiamo a giocare finché per sbaglio, invece di toccarla sul collo, la mia mano finisce sopra lo scollo del suo top, in una zona pericolosa.
Mi fermo e le risate si spengono.
Le sono quasi addosso, non me ne ero accorto.
<<Scusa>> mormoro con quel poco di fiato che mi è rimasto.
Porto quella stessa mano sul suo fianco.
Il top già corto si è alzato fin sotto il seno, e finisco per toccarle la pelle nuda.
È bollente, il calore in qualche modo si irradia dentro di me.
<<Non scusarti per quando ti lasci andare Gabriel. Fallo per quando ti trattieni>>
Quelle parole mi fanno rendere conto di qualcosa che tendo a scordare spesso.
Sono un ragazzo di vent'anni.
Sono cresciuto in fretta e non lo sembro affatto ma la realtà resta quella. Sono un ragazzo di vent'anni.
E per quel semplice ragazzo, starsene qui a ridere e a toccare una ragazza di sedici anni è la cosa più normale del mondo.
<<Perché mi hai baciato al mare? Perché mi hai baciato in quel modo?>>
La domanda le esce di getto, come se aspettasse da quel giorno di farmela, e non riuscisse più a tenerla per sé.
Probabilmente è così.
Vorrei chiederle cosa intende con "in quel modo", ma lo so già.
<<Gabriel?>> insiste impaziente.
Lascio rispondere il ragazzo di vent'anni.
<<Perché eri bellissima>>
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ChickLitSan Diego: una città da proteggere per lui, una città dove nascondersi per lei. Gabriel ha vent'anni, ed è un poliziotto. Proprio come suo padre. Ma non è per seguire le sue orme che ha scelto questo mestiere. Gabriel è cresciuto con l'insegnamento...