Jason
Ci sono sempre stato bene alle feste.
Non sono esattamente uno di quei ragazzi che si possono definire una testa calda, ma durante la settimana sapevo ritagliarmi i miei momenti per divertirmi.
Giusto qualche birra, un po' di musica a tutto volume per sciogliere i muscoli e zittire i pensieri, e una ragazza per sfogare i sentimenti negativi che covavo dentro.
Mai fatto niente di folle.
Niente di davvero folle.
Adesso invece mi guardo intorno, circondato dalla stessa atmosfera e dalle stesse ragazze che mi sono sempre piaciute, e mi chiedo cosa ci faccio qui.
Non sarei neanche venuto se Alex non mi avesse trascinato fuori di casa. Voleva solo passeggiare, uscire e farmi prendere un po' d'aria, poi da lontano ha adocchiato questo falò e ha pensato che mi avrebbe fatto bene venire. Per distrarmi.
Ma non cambia niente, non sto bene affatto.
E qualunque cosa faccia, non trovo un rimedio. Non so neppure se ci sia un rimedio.
Sono così stanco di tutto, da sospettare di essermi stancato perfino di me stesso, non mi piace più dove sto andando ma non ho idea di quale altra direzione potrei prendere.
Sono in una fase della mia vita dove non faccio che aspettare. Aspetto qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa sia una novità e possa tirarmi su.
Un'emozione, un'illuminazione, una persona d'amare. Una persona che mi ami.
Ho bisogno di qualcosa che renda questa vita importante. Che la renda degna di essere vissuta.
Ho Alex certo, non è della famiglia, ma se lo fosse sarebbe il componente a cui terrei di più.
Ora come ora è la persona a cui tengo di più.
Ma un giorno lei si costruirà la sua strada, e allora a me non resterà nulla.
Non ho un obbiettivo che sono determinato a raggiungere, non ho un lavoro che mi renda felice, non ho una persona da vivere e per cui darei la vita.
Vedo un sacco di tempo davanti a me, e invece di esserne entusiasta mi sento terrorizzato.
Non sopporterei ancora così tanti anni dove mi limito a sopravvivere, come sto facendo adesso.
La vita vera è un'altra cosa, e io ho paura che non la conoscerò mai.
<<Guarda che la festa è parecchi metri più avanti>>
Una voce amichevole mi arriva alle spalle.
Mi sono rifugiato su un molo poco lontano, seduto sul legno umido con i piedi che penzolano giù e quasi sfiorano l'acqua. C'è pochissima luce qui, solo quella che arriva dalla luna, e credevo non mi avrebbe notato nessuno.
<<Ah si? Non ci avevo fatto caso>> rispondo ironico.
Non sono in vena di fare conversazione con uno sconosciuto stasera.
<<Quel tono è il tuo modo gentile per suggerirmi di sparire?>>
Sospiro e mi giro per dare un volto alla voce dietro di me.
La prima cosa che spicca al buio, sono i suoi occhi chiarissimi. Ancora più chiari dei miei, già fatti di un azzurro intenso.
Sono le iridi più chiare che abbia mai visto, le sue. Dopo averle fissate per un tempo imbarazzante, studio il ragazzo a cui appartengono.
Mi somiglia per un certo verso, la cosa buffa è che se io con i miei tatuaggi e il piercing ho l'aria di un ragazzo di strada, lui con quel ciuffo biondo perfettamente pettinato e la camicia semi-aperta, ha l'aria di un ragazzo perbene.
<<Allora, devo andare via o no?>> insiste.
<<Il molo non è di mia proprietà>> ribatto alla fine, tornando a guardare l'acqua del mare.
Perché non l'ho mandato via e basta?
I passi si avvicinano e viene a sedersi accanto a me. Troppo accanto a me, il suo braccio per poco non mi tocca.
<<Questo è il tuo posto o qualcosa del genere? Fra poco ti sedevi in braccio a me>> osservo seccato.
<<Qualche problema?>> reagisce, puntandomi quegli occhi strani addosso.
<<Figurati>> sbuffo.
Non mi da poi tanto fastidio.
<<Non mi piace stare da solo>> dice con un tono improvvisamente malinconico.
<<C'è una festa laggiù>> gli faccio notare.
<<Sembrano tutti strafatti>>
<<Che sei venuto a fare allora?>>
<<Tenevo d'occhio un amico>> mi spiega. <<E tu?>>
<<Per starmene un po' per i fatti miei>> lo dico apposta, ma il sorriso che mi si apre sulle labbra smorza quella che doveva essere una frecciatina.
<<Mi sa che ti ho rovinato i piani>> e accompagna quelle parole mettendosi teatralmente più comodo.
Mi fa ridere.
<<Mi sa che non te ne frega niente di avermeli rovinati>>
<<No, è che odio stare solo più di quanto voglia essere gentile. Andiamo, sono così male?>>
No, non lo è.
Ma tengo quel pensiero per me e non rispondo.
Il suo cellulare inizia a squillare, lo tira fuori dai pantaloncini e sbircio il nome di una ragazza sullo schermo.
Lui sbuffa e chiude la chiamata.
Un secondo dopo suona di nuovo.
Stavolta lo spegne.
<<Stai scappando da qualcuno?>>
Scuote la testa pensieroso, lo sguardo lontano, penso che non riceverò risposta quando apre bocca e parla con un impeto che non gli avrei attribuito.
<<Perché le persone non capiscono quando vuoi essere lasciato in pace?>> sbotta.
<<Lo stai davvero chiedendo a me?>>
Ora sono io che faccio ridere lui.
<<Hai ragione. È che sono così... stanco di tutto!>>
Quelle parole attirano la mia attenzione. Ma lui non ci fa caso perché inizia a sputare confessioni che sembra aver represso troppo a lungo.
<<Perché una cosa che ti è andata bene per tanto tempo dovrebbe continuare ad andarti bene per sempre? Perché non può iniziare ad andarti stretta tanto da costringerti a cambiare? Se io per primo mi sento diverso, come posso continuare a vivere una vita che non è più come la voglio? E che soprattutto non mi offre più ciò che voglio?>>
Dio, cos'è la mia coscienza che è saltata fuori dal mio corpo per parlarmi? Come nei film?
Perché sembrano tirate fuori proprio da dentro di me quelle parole.
<<Perché desiderare qualcosa di nuovo dovrebbe essere tanto sbagliato? Si, fa paura, ma... non vale la pena provarci dopo che ci hai messo tanto a capirlo e l'hai accettato?>>
<<Se sei così fortunato da aver capito cosa vuoi, o averne anche solo una vaga idea, allora dovresti fare di tutto per prendertelo>> dico convinto.
Almeno lui ha avuto questo privilegio.
<<Lo pensi sul serio?>>
Annuisco e vedo una strana luce passargli negli occhi.
<<Anche se poi dovesse rivelarsi che non era così?>>
<<Dovresti provare comunque>> ribadisco.
Quasi sento la tensione e il nervosismo che lo assalgono, e vedo la vena che gli pulsa sul collo.
<<Mi aiuteresti?>>
<<Eh?>>
<<Mi aiuteresti a provare?>>
Ha uno sguardo tanto intenso e ipnotico che me ne resto semplicemente lì a ricambiarlo come un idiota.
Forse dovrei chiedergli che intenzioni ha. O se si sente bene.
Non faccio in tempo.
Mi ritrovo con le sue mani aggrappate alla maglietta, e la sua bocca sulla mia.
Un ragazzo mi sta baciando.
E la prima cosa a cui penso è che dovrei allontanarlo subito.
Poi mi rendo conto che sto pensando di allontanarlo solo perché in teoria questa cosa non è giusta... ma io non la sento sbagliata.
Al mio corpo non da fastidio, alla mia testa non da fastidio.
È un bacio e basta, forse mi piace persino.
Mi piace il suo modo di baciare.
È completamente diverso da quelli che ho dato e ricevuto da qualsiasi ragazza.
Questo è un bacio diretto, convinto, prepotente. Non c'è traccia della dolcezza che di solito si usa con le donne.
È quasi un prendersi tutto e subito.
Non appena lascia la presa sulla mia maglia, finisce anche il contatto con le sue labbra. E lui indietreggia.
Come se fossi stato io ad assalirlo.
<<Oddio>> mormora nascondendo la faccia fra le mani. <<Scommetto che ora vuoi tirarmi un pugno>>
No, non voglio.
Sono su di giri ma non perché voglio picchiarlo.
Tutt'altro. Credo di non averne avuto abbastanza di quel bacio.
Non ricordo di essermi mai sentito così vivo.
<<Hai avuto la conferma che cercavi?>> chiedo. E la voce si spezza.
<<No. Mi sento solo più incasinato. Devo andarmene>>
Si alza e si incammina sulla passerella del molo.
Non ci credo, sta andando via senza aggiungere altro.
Non chiedergli come si chiama, non chiedergli come si chiama, non chiedergli come si chiama.
Non farlo Jason, non farlo...
<<Io sono Jason>> gli urlo dietro.
Al diavolo.
Si ferma. Si dondola un istante sulle gambe, indeciso se rispondere o far finta di nulla.
E io me ne sto immobile e teso come una corda di violino, ad aspettare che dia fiato alla bocca.
<<Riley>>
Riley. Almeno conosco il suo nome.
E il suo sapore.
E che forse, come me, sta cercando di comprendere il senso della sua vita.
Ma mentre lui cercava di destreggiarsi tra dubbi e possibilità, sono io che ho capito qualcosa di me.
A me ha aperto gli occhi, ma non mi è sembrato pronto a fare lo stesso con i suoi.
Mentre svanisce nel buio, le sue spalle sono talmente piegate che paiono portare il peso di dieci vite.
O di una che fa per dieci già da sé.
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ChickLitSan Diego: una città da proteggere per lui, una città dove nascondersi per lei. Gabriel ha vent'anni, ed è un poliziotto. Proprio come suo padre. Ma non è per seguire le sue orme che ha scelto questo mestiere. Gabriel è cresciuto con l'insegnamento...