~Ventidue~

8.7K 518 52
                                    

Alex

Una maledetta settimana.
Un'altra maledetta settimana chiusa dentro questo Istituto.
Mi stavano tutti addosso in questi giorni, è stato un inferno.
Specie perché ero doppiamente preoccupata per Kayla da qualche parte là fuori, e per un Jason che ho lasciato sottotono.
Si sarà spaventato a morte quella sera non riuscendo a trovarmi, ma con la polizia ovunque l'avrà anche capito.
Ad ogni modo, adesso che sono tornata alla vita reale, noto un certo cambiamento in lui.
È ancora pensieroso, ma dal comportamento avverto che si tratta di pensieri diversi.
Non voglio costringerlo subito a confidarsi, aspetterò i suoi tempi.
E mi occuperò un po' di me.
Ho un urgente bisogno di lavorare e raccogliere soldi per il mio ipotetico futuro. Per fortuna stasera ho un turno al solito locale, nonostante quello che è successo l'ultima volta.
Il locale. L'ultima sera. Il tizio che mi ha aggredita. La polizia. Gabriel.
La mia testa segue un bizzarro filo conduttore, e più mi impongo di non pensare a lui...
Sono furiosa se lo penso.
No, non del tutto.
Ma poteva almeno avvisarmi che sarebbero arrivati rinforzi, no?
Forse dalla faccia che aveva non lo sapeva neppure.
E, in fondo in fondo, so che non poteva sul serio fare granché per liberarmi senza generare sospetti e mettersi nei guai.
Ma sono incazzata con lui lo stesso.
Dopotutto, la sedicenne che è in me dovrà pur saltare fuori in qualcosa.
Quando si tratta di lui sembra saltare fuori ogni singola sfumatura di me. Anche quelle che non conoscevo.
Tipo la parte che bramava voleva toccarlo dove quella donna aveva la sua stupida mano, e la parte che non riusciva quasi a distogliere gli occhi da quella canottiera che lo copriva poco e niente.
La sua pelle si è leggermente abbronzata dalla prima volta che l'ho visto. E ora mi ricorda tanto il colore intenso del caramello.
Già, faccio pensieri di questo tipo da quando lo conosco.
Ma ora è il caso che smetta.
Non posso ricordare quali clienti servire e quali ingredienti mettere nei cocktail, se la mia testa è offuscata da occhi blu e muscoli color caramello.

Gabriel

Non credevo che vedere Alex essere portata via dalla polizia, avrebbe causato tanta ansia e preoccupazione in me.
È sparita da una settimana.
E io mi sento come un padre che non vede ancora tornare in casa la figlia a tarda notte, o una moglie che aspetta il marito che torna dal lavoro, o qualcosa del genere.
Assurdo. E la parte peggiore dei sentimenti è che non puoi spegnerli, né tantomeno ignorarli.
Se ne stanno lì, radicati dentro di te e sei costretto a portarteli appresso e imparare a conviverci.
Piu provi a voltare pagina, più si rafforzano.
Quasi ironico, davvero.

Quella sera decido di uscire a bere qualcosa, più per evitare mio padre che perché ne abbia sul serio voglia.
Vedo le domande che vuole farmi a proposito di Alex riflesse nei suoi occhi, e sto facendo di tutto per evitarle.
Prendo la moto, ferma da giorni, e guido piano verso il pub dove vado spesso con Riley.
C'è meno confusione del solito, ma è ancora presto.
Mi basta muovere un passo all'interno del locale per vederla.
I miei occhi finiscono proprio lì, al bancone al bar, oltre il quale c'è Alex che armeggia con dei bicchieri.
Sta di nuovo lavorando qui.
Sta di nuovo indossando quella roba che lascia un sacco di pelle scoperta.
Ha lo sguardo basso, non mi nota.
Come un automa vado verso di lei, non ho idea del trattamento che riceverò.
C'è uno sgabello libero proprio davanti a lei. Mi siedo e aspetto che si accorga di me.
Alza gli occhi.
Solo un attimo di sorpresa.
Poi indifferenza.
<<Cosa vuoi?>> chiede.
Non è nemmeno fredda. Non ha nessuna inflessione nella voce.
E non sembra neanche vedere me, con quello sguardo quasi mi passa attraverso.
<<Io... sono venuto qui per caso. Non sapevo ci fossi tu...>> cerco di spiegare.
<<Da bere. Cosa vuoi da bere>> chiarisce.
Ah. Giusto.
<<Un Martini>> ordino.
Si volta e comincia a prepararlo. Me lo mette davanti e passa oltre.
Non è arrabbiata. Non è offesa. Non è sorridente né in vena di farmi impazzire come al solito.
Non è niente. Sono uno come tanti.
È come se avesse spazzato via i momenti che abbiamo condiviso.
Svuoto il bicchiere in cinque minuti e me ne resto lì senza sapere cosa fare.
Cosa dirle.
<<Perciò adesso mi ignori?>> mi costringo a chiedere, appena mi ripassa davanti.
Ci fissiamo per due secondi.
Poi si avvicina, incrocia le braccia sul bancone e mi ritrovo il suo volto vicinissimo. Quel respiro che già troppe volte mi ha sfiorato la pelle.
<<Ma tu cos'è che vuoi? E se non sbaglio, è quello che mi hai chiesto qualche tempo fa. Ignorarti, starti lontano>>
È vero.
Non so rispondere a questa domanda.
<<Dove sei stata?>> cerco di aggirarla.
<<Indovina?>> sibila sardonica.
Stringo le labbra. Per prendere tempo mi rigiro il bicchiere vuoto fra le mani.
Finché lei non me lo porta via e lo mette a lavare.
<<Stai occupando uno sgabello senza motivo, te ne devi andare>>
Ma io non me ne voglio andare.
<<Fammene un altro>> ribatto di getto.
<<Come vuoi>> mormora infastidita.
Le da addirittura fastidio che stia qui.
E continua ad andare in questo modo per ancora metà serata, bevo lentamente le due birre successive ma alla fine devo smettere, non voglio ubriacarmi e ho già superato i miei standard.
Pago ed esco controvoglia dal pub, ma invece di salire in moto e tornare a casa, mi apposto vicino alla porta, nel buio, e aspetto.
Aspetto che finisca di lavorare.
Neanche fossi un dannato stalker.
Dio, questa ragazza mi sta trasformando nelle cose contro cui combatto.
Non passa neanche un'ora. Alex esce dalla porta a pochi metri da me ma non mi nota, comincia a camminare nella direzione opposta.
Non ci credo, se ne sta passeggiando tranquillamente per le strade buie alle undici e mezza di notte.
La seguo.
Dovrei fermarla e invece senza fare rumore le vado dietro.
Voglio scoprire dove va.
Poco dopo però, la sua voce rompe il silenzio.
<<La pianti di seguirmi acquattato nel buio? È inquietante>>
Se ne è accorta.
Si ferma, si volta, e per poco non le finisco addosso.
<<Sul serio, cosa vuoi Gabriel?>>
La sua voce è stanca adesso.
<<Mi dispiace per l'altra sera. Non pensavo arrivasse la polizia, e non potevo fare nulla per aiutarti, lo sai... capisco che tu ce l'abbia con me...>>
<<Non è per quello>>
<<E allora per cosa?>>
<<È perché mi sono stancata. A te un attimo prima ti importa di me, e quello dopo non più. Non lo sai cosa vuoi, o forse non lo ammetti a te stesso. E io non seguirò ancora i tuoi sbalzi emotivi. O ti piaccio, o no. Ma se decidi che ti piaccio, è così sempre. Se decidi che non ti piaccio, lasciami perdere e basta>>
<<È difficile lasciarti perdere quando sei sempre sulla mia strada>>
<<E per quale ragione è difficile?>> sbotta scettica.
<<Perché mi importa di te>> ammetto semplicemente.

Per Te Sono ImportanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora