~Cinquantotto~

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Alex

Sin da bambina, quando stavo troppo spesso chiusa in cameretta, il mio più grande desiderio era poter sentire il calore di una famiglia -una famiglia vera.
Me lo immaginavo un po' come il periodo di natale: la magia che avvolge e riempie la casa, l'atmosfera di serenità e felicità, la sicurezza di avere qualcosa di importante indipendentemente da come va il resto.
Buona parte di quel calore lo avevo trovato grazie a Jason.
Ora, mentre mi sveglio all'alba fra le braccia di Gabriel, lo avverto completamente.

Gabriel

Quanto avrei voluto poter rimanere a letto per tutta la mattina, con Alex fra le braccia e le persiane della finestra chiuse.
E magari rifare l'amore mezzi addormentati, e poi scendere al bar a comprare la colazione, portargliela a letto, guardarla mentre si porta una tazza di latte alla bocca, ancora avvolta nelle lenzuola.
Sarebbe il risveglio perfetto. Il risveglio che ci meritiamo, che soprattutto lei si merita.
E invece ancora non possiamo permettercelo.
Alle sette stiamo già abbandonando la stanza, nel corridoio le luci artificiali non si sono neanche spente tanto è presto.
C'è una donna a qualche metro da noi, e una bimba bionda di a malapena due anni, che appena ci vede sgambetta verso Alex fino a buttarsi sulle sue gambe, e stringerla all'altezza delle ginocchia.
Lei si accovaccia subito e le sorride, mentre con una mano la sostiene per la schiena e con l'altra le scompiglia i capelli.
Per la prima volta mi immagino davvero con un figlio.
Certo, c'era sempre stato nei miei piani, ma adesso mi sembra quasi di vederlo sul serio: un bel bambino col sorriso di Alex e forse i miei occhi, che ci tira i capelli e ci chiama mamma e papà. Che corre in giro in una casa solo nostra. Che cresce, insieme a noi.
Voglio un figlio da questa ragazza, e se lei potesse avvertire l'intensità di questo improvviso desiderio, probabilmente si spaventerebbe a morte. Ha solo diciassette anni.
<<Amore, dobbiamo andare>> la richiamo, intrecciando le dita alle sue.
Annuisce e mi segue dopo un ultimo cenno alla bambina e alla madre.

Facciamo colazione in auto, mentre io imposto il navigatore perché ci porti fuori dal Paese.
Non so quanto arriveremo lontano, ma credo che per il momento raggiungere il Canada sia sufficiente.
Verso le nove chiamiamo i ragazzi, Alex e Jason restano al telefono per minuti interi, e in sottofondo sento abbaiare il nostro cucciolo.
Il loro, ormai.
So che li sta facendo impazzire, ma non si libererebbero di lui per nulla al mondo.
Un giorno ce lo riprenderemo. Un giorno ci riprenderemo la nostra città.
Intanto dobbiamo sopravvivere fino ad allora.

Passiamo ancora una giornata in viaggio, con tre sole soste per mangiare e comprare qualcosa di essenziale per Alex. Io per il momento mi farò bastare quello che sono riuscito a infilare nel borsone.
È tardo pomeriggio quando arriviamo a Toronto. Mi basta cogliere le espressioni estasiate della mia ragazza mentre si guarda intorno, per decidere che è qui che ci fermeremo.
Piuttosto che cercare l'ennesimo hotel, prendiamo direttamente una di quelle casette che si affittano ai turisti.
Piccola, accogliente, gestibile, economica. Perfetta per noi.
Quando dopo cena finalmente i proprietari vanno via, e ci chiudiamo la porta alle spalle lasciando ogni altra cosa là fuori, esaliamo per la prima volta da troppo tempo un sospiro di sollievo.
Fuggire è... sfiancante. E non immagino come Alex possa averlo sopportato per anni.
<<Secondo te per quanto possiamo restare qui, e smetterla di controllarci le spalle?>>
<<Non preoccupartene adesso. Siamo al sicuro. Anzi, non dovrai preoccupartene mai più, nessuno ti farà del male se resti accanto a me>> le sussurro stringendola forte.
Il suo piccolo corpo morbido premuto contro il mio, resterà sempre una delle sensazioni migliori a questo mondo.
E mi ricorderò di ringraziare Dio ogni giorno per averla potuta riprovare ancora.
<<Be', visto che hai insistito tanto per seguirmi, credo proprio che approfitterò di questa storia dello starti accanto. Inauguriamo il letto?>>

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