Gabriel
<<Ti prego finisci questa storia in fretta>> è l'unica cosa che riesco a mormorare.
E se sento ancora di quel bastardo che la sfiora o di un altro simile tentativo di rimandare il matrimonio, giuro che non rispondo delle mie azioni.
Dentro di me sembra essere partito un timer, e iniziato il conto alla rovescia prima di esplodere.
Manca davvero poco.
Un informazione di troppo in più, e perdo il controllo.
<<Sono rimasta in ospedale un paio di settimane. Al ritorno a casa, non parlavo più con nessuno. Letteralmente con nessuno. Mi lasciarono in pace per un mese, e poi tornò Javier con quella storia del matrimonio. Un'altra data. Stavolta dovevo andarmene sul serio, una volta per tutte>>
Sussulto.
<<Nel senso di scappare Gabriel, non di morire. Non ho mai voluto morire>>
Ne sono felice. Ma una parte di me non le perdonerà mai di averci provato.
<<E così sei arrivata qui>> concludo, togliendole la parola.
Non voglio sentire altro. Non posso sentire altro.
<<Si. In qualche modo sono arrivata qui. Ci ho messo tre settimane. Tre settimane stipata in treni-merce, autobus, navi...>>
<<Perché proprio San Diego?>>
Me lo chiedo da quando mi ha confessato di essere nata in Giordania.
Cosa l'ha portata in California?
E poi, da me?
<<Mia madre era americana. L'unica cosa che sapevo, era l'esistenza di una sorella maggiore che viveva qui. Non so cosa sperassi di ottenere, ovviamente non ho idea di dove possa essere>>
Mi limito ad un cenno della testa. Non so che dire, mi ci vorrà senz'altro del tempo per elaborare tutta questa storia.
Mi cade l'occhio sull'orologio al polso: le due di notte. Dormire è l'ultimo dei miei pensieri. E questa notte di certo non se ne parla.
<<Se non riesci più a starmi accanto... lo capisco. Non completamente, ma un po' lo capisco>>
<<Perché dici così?>>
<<Perché lo leggo nei tuoi occhi che tutto questo è troppo per te. E restare, significa averci a che fare ogni giorno. Ricordarlo ogni giorno. Nonostante quello che ci siamo detti prima -che io stessa ti ho detto prima- immagino che adesso, vedere me equivale a vedere un mucchio di altre cose. Non sono più la stessa per te Gabriel, sono sempre io ma con il triplo dei casini che immaginavi. Una parte di me è danneggiata, non so quanto tu abbia voglia di averci a che fare. Non so quanto tu ne sia in grado...>>
Ma ormai mi sento danneggiato anch'io, vorrei dirle. Però sarebbe stupido, davvero stupido, perché non ne ho il diritto e non posso mettermi sul suo stesso piano. Neppure lontanamente.
E, allontanarla? Non se ne parla nemmeno. Non più.
È tutto il contrario.
È appena diventata la mia priorità.
Cioè, ho finalmente accettato che è così.
Prima la guardavo e avevo paura, perché non aveva niente a che fare con quello che avevo conosciuto in vent'anni.
Ora la guardo, e quei vent'anni improvvisamente svaniscono.
Non valgono quanto i pochi giorni trascorsi con lei, no. E di certo non valgono quanto Alex.
È dura ammetterlo, e rendermene conto è come risvegliarsi su un binario con un treno che avanza verso di te a tutta velocità. Non lo puoi ignorare quel treno, perché arriverà l'attimo in cui o deciderai di spostarti, o te lo ritroverai addosso.
E io ci ho provato un sacco di volte a spostarmi, ma ormai è tardi.
Alex è il mio treno in corsa, e io ho lasciato che mi travolgesse.
Vorrei dirglielo, ma penserebbe sia solo una conseguenza di ciò che mi ha raccontato.
E in qualche modo c'entra, sì, ma non completamente. Perché lei è sempre stata dentro di me.
Ci è entrata con quel sorriso al mare -quando non ho potuto fare a meno di baciarla- e ci è entrata con quel tatuaggio. E le volte che mi ha salvato, e con i suoi discorsi da adulta, con i suoi giochi da bambina, con i suoi sguardi intensi.
È come se pezzo dopo pezzo un'altra Alex si fosse ricostruita dentro di me.
E ora che è completa, ora che c'è tutta, prende troppo spazio per poterla ignorare.
Il suo passato invece, c'entra per un'altra ragione.
Perché mi ha fatto capire quanto rischio di perderla, ed è maledettamente vero che in quei momenti capisci tutto.
Non la volevo, però era lì. Anzi, potevo permettermi di dire che non la volevo perché era comunque lì.
Sembrava così naturale.
Ma avere una persona simile accanto è un dono, e di naturale non ha proprio niente.
E ti accorgi che non ti basta più sapere che è lì. Ti accorgi quanto è facile che dove è sempre stata -accanto a me- un giorno potrebbe non esserci più.
E io devo lottare, pregare, sperare, -e non sarà comunque abbastanza- per assicurarmi che accanto a me ci resti.
Lei è qui per me e io le devo tutto per questo. Tutto.
<<Non vado da nessuna parte>> chiarisco tirandomela addosso.
Me la stringo al petto e non le permetto di fare resistenza, è dove deve stare.
<<E non vai da nessuna parte neanche tu. Ci penso io a te>>
<<Che hai detto?>> chiede scettica.
<<Lo so che è difficile credermi. Ma non pensare alle parole che ti ho detto in queste settimane. Non solo, almeno. Pensa agli sguardi, pensa a quello che ti ho concesso, pensa a come comunque stavo con te. Lo so che lo sai cosa sento. E ormai lo accetto. Accetto di sentirti come nessun'altra, come nient'altro. Potresti affidarmi la tua vita, e non te ne farei mai pentire>>
Mi stupisco io stesso della serietà e dell'intensità che avvolgono le mie parole.
Alex mi guarda con un misto di paura e speranza.
La paura di crederci. La speranza che sia tutto reale.
<<Questo non sei tu>> tenta di farmi notare.
Ma no, non è vero.
<<Il ragazzo che negli ultimi tempi ti respingeva non ero io. Perché io ti volevo ma lui mi impediva di averti. Quel lui creato dai miei genitori. Non sono mai stato più me stesso di così, di quando sono con te>>
<<Cosa...>>
<<Basta parlare>>
La zittisco con la mia bocca perché davvero non potevo resistere più. Era troppo vicina, la volevo, e quello che voglio ormai me lo prendo.
Le do un bacio un po' dolce e un po' no. Le sfioro le labbra ma poi le invado la bocca, le accarezzo quello superiore con il mio ma poi lo mordo.
Cerco di farla stare bene, di farla felice.
Perché è vero che quando tenevo a lei mi bastava saperla al sicuro, e adesso che per me è importante ho bisogno che sia felice.
La lascio respirare liberandole la bocca. Comincio a strofinarle il naso sul collo, dove so che le piace. Dove la fa impazzire.
<<Gabriel... ti ho già detto che... che così è troppo perché non è abbastanza...>>
Finisce la frase a fatica.
<<Se non è abbastanza ti darò di più. Puoi avere quello che vuoi. Qualsiasi cosa>>
Gli occhi le si spalancano e si annebbiano un po'. Mi stringe le dita sui muscoli delle braccia.
Al mio 'qualsiasi cosa' il suo corpo si è acceso.
Qualsiasi cosa.
Sono due parole potentissime e pericolose se combinate insieme.
Ma è proprio ciò che desidero darle.
Qualsiasi cosa.
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ChickLitSan Diego: una città da proteggere per lui, una città dove nascondersi per lei. Gabriel ha vent'anni, ed è un poliziotto. Proprio come suo padre. Ma non è per seguire le sue orme che ha scelto questo mestiere. Gabriel è cresciuto con l'insegnamento...