~Ventotto~

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Gabriel

Che cavolo di giornata.
E menomale che non ero neppure di turno, mi sarei dovuto riposare.
Invece è successo di tutto.
Stamattina per caso ho incontrato Raul, ho provato a cambiare strada ma lui mi ha bloccato.
Ha cominciato a lamentarsi del fatto che non riesce a trovare Alex ormai da troppo tempo, e mi ha ricordato più volte di tenere gli occhi aperti.
Infine, prima di lasciarmi in pace, mi ha lanciato una strana occhiata inquisitoria, come se io sapessi qualcosa al riguardo.
Cioè, come se sapesse che io so qualcosa al riguardo.
In quel momento mi sono reso conto di quanto io sia stato sconsiderato con lei.
Tutti quegli incontri non facevano che metterla in pericolo. E ovviamente mettevano in pericolo il mio lavoro.
Chissà perché l'ho davvero pensata in quest'ordine.
Subito dopo sono andato al negozio dove lavora Riley, per distrarmi, e al posto del solito sorriso disponibile e amichevole ho trovato una persona parecchio nervosa e scontrosa.
Non è assolutamente da lui, non ho idea di cosa gli stia succedendo, Riley non me ne parla e i pensieri invece di diradarsi si infittiscono.
Fantastico, sono un vent'enne che si fa problemi che neanche due genitori con famiglia, mutuo e dieci figli adolescenti a carico si pongono.
A pranzo avevo tutte le intenzioni di affogare i dispiaceri nel cibo.
Poi è arrivata Katlin.
Che dopo un discorso su quanto Rebeccah fosse una gran bella e brava ragazza, mi ha praticamente chiesto cosa aspettassi a fidanzarmi con lei.
Non le ho mai raccontato nulla su noi due. Nulla di quel poco che è accaduto che si avvicini all'essere una coppia.
Il fatto che dia per scontato che finiremo insieme, la dice lunga.
Per mia fortuna ha troncato lei il discorso prima che mi imbarazzassi, non sapevo cosa dire.
Non volevo deluderla.
E la parte peggiore, è che non voglio deluderla perché mi sento... in debito nei suoi confronti.
Questa donna mi ha cresciuto.
Mi ha cresciuto senza che mi dovesse niente.
Ha sostituito gli abbracci che avrebbe dovuto darmi mia madre, le chiacchierate, gli insegnamenti, gli avvertimenti. Le gite, le giornate a scuola mamma-figlio.
Dalle cose più stupide, a quelle più importanti.
Quale bambino non ha bisogno di quelle cose? La sua presenza ha in qualche modo affievolito la mancanza della mia vera madre.
Ha fatto tanto, e anche se di sua spontanea volontà perché non glielo ha chiesto nessuno, mi sento in debito.
E io odio sentirmi in debito con qualcuno. Perfino per le più piccole e stupide questioni.
Figuriamoci per una cosa del genere.
Ho paura che me lo rinfacci.
Già, ecco l'ennesima rivelazione, già che siamo in vena di ammissioni.
Non so perché Katlin mi dia questa impressione, ma se dovesse accadere sul serio, ne morirei.
Perché tutto l'affetto di questi anni svanirebbe.
Diventerebbe un dovere, non un piacere. Io mi trasformarei in un peso.
Chi vuole sentirsi così?
Me lo porterei appresso a vita.
E questo debito a quel punto, non potrei mai ripagarlo. Mai.
Mi chiedo fino a dove sarò in grado di spingermi. Mi chiedo perché questi problemi nascano solo adesso, dopo vent'anni dove la mia vita mi è sempre andata bene.
So perfettamente che c'entra lei. Alex.
E un po' la odio per questo. Mi ha tirato fuori dalla mia bolla tranquilla e felice.
Si può chiamare sul serio felicità questa?
Fino a due mesi fa credevo di sapere tutto. Su di me, sulla mia vita.
Oggi non so più niente.

Parli del diavolo...
Quel pomeriggio, ciliegina sulla torta, spunta Rebeccah alla casa sulla spiaggia.
Sospetto che Katlin c'entri qualcosa.
Me la ritrovo in camera, con un sorriso smagliante e un elegante tailleur panna.
Mi sento quasi un barbone al confronto, con una tuta vecchia e scolorita.
Con grande rammarico di Katlin, i vestiti non sono proprio il mio forte.
Non so abbinare niente che non sia nero o bianco o blu, e non sopporto nulla che non sia comodo.
Comunque sono solo vestiti.
Riley dice che con gli occhi, i capelli e il viso che mi ritrovo, nessuno fa caso a come mi vesto.
<<Bella tuta>> esordisce Rebeccah.
A quanto pare lei ci fa caso eccome.
Sebbene nel suo tono non c'è alcuna nota infastidita o sarcastica.
Anzi, forse un po' sarcastica sì.
Ad Alex non sarebbe importato.
Non dello stato o della qualità o della marca di ciò che indosso. Però ricordo come mi guardava quella sera in spiaggia con quell'abbigliamento diverso dal solito.
Ricordo ogni volta che l'ho sorpresa a squadrarmi da sotto le ciglia lunghe, con un timido e al contempo avido interesse.
No, lei non fa caso ai vestiti. Vede me e basta.
<<Vedo che sei libero. Che ne dici di uscire un po'?>>
Nonostante avessi palesemente la testa da un'altra parte, ha insistito per portarmi fuori.
E così siamo finiti a fare shopping. Per me.
Mi ha costretto a provare pantaloni eleganti, polo e camicie per due ore.
Ne ho comprate due colorate soltanto per farla stare buona. Non le indosserò mai.
Quando l'ho accompagnata alla sua macchina, mi ha salutato con un lungo bacio sulla bocca.
E mentre ricambiavo, pensavo di dover decisamente prendere una rapida decisione in merito.
A quanto pare avevamo smesso di viverci ognuno le proprie vite, quei tempi erano già finiti.

Non mi importa se sono ormai le sette di sera passate. Non appena resto finalmente da solo, prendo la tavolo ed esco in mare.
Se non c'è anima viva in giro è ancora meglio, e a dir la verità è la prima cosa che non va storta oggi.
Perché avevo proprio un gran bisogno di starmene per conto mio.
Nessuno che mi parli, nessuno che faccia caso a me.
Pace.
<<Mi insegni ad andare sulla tavola?>>
Quella voce tanto vicina alla mie spalle, mi fa sobbalzare.
Alex.
Com'è che spunta sempre fuori dal nulla?
Mi giro appena, e incontro il suo mezzo sorriso.
Dovrei essere infastidito, ha fatto evaporare il mio piano.
Stranamente dopo tutte le persone con cui sono stato oggi però, mi accorgo che adesso non mi dispiace affatto concludere la giornata con lei.

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