~Nove~

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Gabriel

Sono già rientrato nella solita routine. Ormai conto i giorni che mi separano dall'essere un poliziotto ufficiale, dal poter collaborare in ricerche ben più importanti.
Passeggiare per i quartieri poveri della città mi fa sentire inutile, sprecato.
Non capirò mai fino a che punto sono portato per questo lavoro se non mi succede niente intorno.
Un momento.
Nella stradina che ho imboccato sono nascosti due ragazzini davvero giovani, che girati di spalle confabulano fra loro e si scambiano chiaramente qualcosa.
E chiaramente immagino anche cosa sia.
Mi avvicino senza fare rumore, ma giunto a circa due metri da loro, si accorgono di me.
Si voltano, e vedo soldi e bustine di quella che a occhio e croce sembra erba, cadere per terra.
<<Sei uno sbirro?>> mi chiede uno, estraendo un coltellino dalla tasca, mentre l'altro si affretta a raccogliere i soldi e la droga ai suoi piedi.
Sono proprio piccoli, avranno a malapena quattordici anni.
<<Metti via quel coltello o peggiorerai la tua posizione, non voglio farti male>>
Provo ad avvicinarmi ma il ragazzino col coltello scatta di lato, mi supera e me lo ritrovo alle spalle, un braccio sulla vita e uno che mi punta il coltellino alla gola.
Come cazzo sono finito in questa situazione?
Cerco di mantenere la calma, perché non fanno altro che ribadirci questo al corso di formazione.
<<Hai idea di quanto l'accusa nei tuoi confronti si stia mettendo male? Lasciami e farò finta che non sia mai successo>>
<<Anche se ti faccio sparire e scappo sarà come se non fosse mai successo. Set, vattene e porta la roba al sicuro>>
Provo a raggiungere la pistola che porto al fianco, la lama che preme forte alla base del collo mi blocca.
Se ne è accorto. Ci rinuncio e metto in moto il cervello, o trovo una soluzione o non finisce bene.
Un tonfo dietro di me.
Il ragazzo si stacca e il coltello vola lontano.
Mi giro svelto e lo vedo a terra, si tiene il fianco con una mano. A torreggiare su di lui c'è Alex.
<<Stai bene?>> mi si piazza davanti e sento le sue piccole dita scorrermi sulla gola.
Sono abbastanza sorpreso e ci metto un po' a metabolizzare.
A metabolizzare il fatto che sia qui e che mi abbia salvato.
Intanto un rumore di passi che battono sulla strada mi fa capire che il ragazzo è scappato.
Non riesco a seguirlo, ho i piedi piantati a terra e sbatto le palpebre già da un minuto buono per accertarmi che ciò che vedo sia reale.
<<Gabriel? Sei sotto shock o qualcosa di simile?>>
Alex mi scuote piano un braccio e allora mi riprendo.
<<Come fai ad essere qui? Ti abbiamo riportata all'orfanotrofio soltanto ieri!>>
Non sono passate neanche ventiquattro ore.
<<Ti sei già stancato di vedermi?>> scherza.
Boccheggio senza dire nulla.
E non saprei proprio cos'è che potrei dire al momento.
Mi guardo intorno nel vicolo deserto, come se quei due potessero ricomparire.
<<Ormai sono andati. Ho fame. Mi offri da mangiare per sdebitarti?>>
Fa sul serio?
Riporto gli occhi su Alex che si è gia incamminata verso il centro della città.
A quanto pare si.
E io non so neanche perché la seguo.

In qualche modo, siamo finiti nella mia auto a mangiare patatine e tranci di pizza.
Quando ho osservato che non sarebbe stato il caso di farci vedere in qualche ristorante a mangiare tranquilli e beati, mi ha detto che infatti non aveva alcuna intenzione di trovarsi in pieno giorno in un posto affollato, e che io avrei preso da mangiare ma saremmo rimasti in macchina.
Ho acconsentito, ancora una volta senza sapere perché, e sono andato verso il miglior fast food della zona.
Ci gustiamo il cibo in silenzio per un po', poi la mia incapacità di restare zitto torna presto prepotente.
<<Questa cosa non è normale, lo sai?>> sbotto pulendomi le mani.
Alex si gira verso di me con una patatina fra le labbra e le sopracciglia corrucciate.
Cazzo è carina da morire.
Chissà a quanti ragazzi fa girare la testa.
Tra l'altro, noto solo adesso che mi prendo del tempo per osservarla dei suoi capelli sciolti.
Sono lunghissimi e mossi. Una cascata di onde che le arrivano alla vita.
Indossa una semplice canotta e dei pantaloncini di jeans che coprono meno di quanto scoprono, ma sono certo che il suo intento non sia affatto quello.
Semplicemente, come me non mostra particolare attenzione per l'abbigliamento.
Ma forse è perché comunque non ne avrebbe la possibilità.
<<E perché non sarebbe normale?>>
<<Io dovrei riportarti in quell'orfanotrofio! E non starmene in auto a mangiare con te come fosse la cosa più normale del mondo! Tu non prendi neanche in considerazione il fatto che io sia un poliziotto e potrei legarti e riportarti indietro da un momento all'altro!>>
<<È un complimento se non lo prendo in considerazione. Vuol dire che non penso tu sia uno stronzo>> mi spiega calma e sicura del suo ragionamento.
<<Alex. Sono serio. È il mio dovere, il mio lavoro, e tu mi porti fuori strada maledizione>>
<<Il tuo dovere è assicurarti che io stia bene! E io sto bene qui fuori, non rinchiusa là dentro. Te l'ho detto, ho chi si occupa di me, fidati e basta!>>
Tutto ciò è assurdo.
Questa discussione non dovrebbe avere luogo. Che sto facendo? Se mi lascio fuorviare da una ragazza al mio primo mese di prova, non andrò da nessuna parte. Devo riprendere il controllo di me stesso.
<<Hai sedici anni e io non posso lasciarti da sola per strada. Non posso ignorare la legge Alex>>
<<Alla legge non gliene é mai fregato un cazzo di me Gabriel!>> esplode furiosa.
Ha lo sguardo troppo intenso quando mi guarda, è come se volesse entrarmi dentro.
<<Dici troppe parolacce per la tua età>>
Fa una risata ironica e scuote la testa, incrocia le braccia e si appoggia allo schienale.
Dovrei accendere l'auto e fare ciò che ho detto. Subito.
<<Ti ho salvato la vita, e non mi hai neppure detto grazie>> sussurra delusa.
È vero. Questa cosa è enorme per me, accettare che se non fosse per lei, ora chissà come sarebbe finita.
In quell'attimo la mia intera esistenza è passata dalle sue mani.
<<Grazie. Ma non è detto che quel ragazzino mi avrebbe fatto del male sul serio. Era così piccolo...>>
Per qualche ragione sento il bisogno di lasciare uno spiraglio, una possibilità che sarebbe comunque andato tutto bene.
E questo mi costa un altro sguardo deluso -profondamente deluso- che colpisce dritto in un qualche punto dentro di me.
<<Mi sbagliavo. Sei come tutti gli altri, non riesci ad accettare che io non abbia esitato un attimo per impedire che ti accadesse qualcosa, e che ci sia riuscita. Ero lì per te quando eri completamente solo, ma siccome sono io... questo non vale niente. Perché anche per te alla fine, io non valgo niente>>
Non le urla quelle parole, le sussurra lente e cariche di tristezza.
Così tanta tristezza che mi si stringe il cuore.
Poi apre lo sportello e si fionda fuori.
Non sopporto che pensi questo di me. Non sopporto che mi veda in quel modo.
Impreco, sbattendo un pugno sul volante, e spalanco la portiera.
La sto seguendo, di nuovo.

Alex

Lo avevo creduto diverso dagli altri praticamente da subito.
I piccoli gesti forse non sono sufficienti per giudicare qualcuno, ma di certe persone quello che pensi nasce da una sensazione che si ha a pelle.
Erano sensazioni che avevo continuato a provare quando si era preoccupato per la mia ferita, e quando ero stata fra le sue braccia dopo il trauma di quell'uomo mandato da Raul.
Era stato dalla mia parte per dei brevi momenti.
Ma ora... stava spazzando via tutte le cose belle che avevo attribuito alla sua persona.
Faceva male, oltre ogni logica ma era così.
<<Alex!>> le sue mani mi fermano.
È alle mie spalle.
<<Se tenti di farmi rinchiudere di nuovo in quell'istituto, giuro che ti do un calcio sulle palle e ti lascio per terra in balia di altri piccoli delinquenti armati di coltelli...>>
<<Io sono diverso>> sottolinea serio. <<E non penso affatto che tu non valga niente. Hai ragione, probabilmente mi hai salvato la vita. E questo significa che ora vali molto più di tanta altra gente per me>>

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