6: Rimpianto

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Il castello di Grevor non era troppo distante dall'accampamento: per arrivarci entro un paio d'ore bastava saper guidare un trottavolo e conoscere le giuste scorciatoie.
Eppure, Faolan aveva l'impressione di viaggiare per giorni interi, ogni volta che cercava di raggiungere quel luogo. Era come avanzare in un mondo cristallizzato e immobile, in cui ogni passo era pesante e doloroso. Ogni metro in più era un nuovo passo verso l'inferno.

"Eccoti, ti stavamo aspettando", sembravano dirgli le torri della reggia, ogni volta che camminava calpestando le loro ombre. Faolan poteva quasi giurare di sentire il loro sguardo su di sé: erano come delle sentinelle che lo osservavano per conto di Grevor.
Ma nonostante la paura, Faolan si impose di camminare di fretta.

Doveva scoprire qualcosa in più su Blez e Oflodor, che ormai erano stati catturati da parecchie ore, a detta di Ivy. E doveva farlo il prima possibile: non sapeva in che condizioni fossero, né se Grevor avesse fatto loro del male. E l'unico modo per scoprirlo era recarsi di persona sul posto, per quanto rischioso fosse.

Dal fratellastro, dopotutto, Faolan si aspettava soltanto il peggio: pur sapendo che difficilmente avrebbe fatto del male a un'autorità famosa come la contessa Blez, era comunque preoccupato per Oflodor, così come per la salute di entrambi.

Non si sarebbe sorpreso, se avesse scoperto che Grevor stava infliggendo loro qualche tortura, pur di ottenere nuove informazioni.

Erik si era mostrato più ansioso che mai, all'idea che fossero lontani, in balia di un esercito oscuro. E Faolan non poteva certo biasimarlo: non c'era niente di peggiore di non conoscere la sorte delle persone si amano, saperle in bilico su un filo sottile.

Attraversò uno dei ponti del castello con passo composto e rilassato, cercando di ostentare una certa calma, nonostante l'animo inquieto come un mare in tempesta. Non poteva mostrarsi preoccupato o vulnerabile, non quando rischiava di imbattersi in Zeliha, o in qualunque altro collaboratore di Grevor. Doveva far apparire la sua visita come una consueta richiesta di informazioni, non certo come uno spionaggio per conto dei suoi nuovi amici.

Faolan, per l'ennesima volta, si chiese quanto sarebbe durata ancora quella recita: giorni, mesi, anni? Per quanto altro tempo avrebbe collaborato con Grevor, rinunciando a comportarsi come una persona amabile, trattenendo i suoi sentimenti e rinunciando a ciò che lo faceva stare bene?

Ormai si era quasi dimenticato com'era davvero, sotto la maschera che continuava a portare. I pochi momenti in cui era stato davvero sé stesso, negli ultimi anni, erano ciò di cui faceva più tesoro, ciò a cui si aggrappava per non perdersi: il momento in cui Ivy e Erik avevano iniziato a fidarsi di lui, affidandogli i loro piani e segreti, o le giornate passate a parlare con Darfel.

Per quanto consapevole di aver distrutto ogni brandello della sua potenziale felicità, Faolan, a volte, non poteva fare a meno di crogiolarsi nel ricordo di Darfel, nel modo in cui era riuscito a farsi comprendere dall'amico, nonostante i limiti in cui doveva costringersi. Era sempre bastato così poco, a Darfel, per fidarsi di lui: aveva imparato a riconoscere i suoi gesti più gentili anche quando non erano accompagnati dalle parole, le sue espressioni più rilassate, e persino quell'ultimo, lacerante dolore.

 Darfel riusciva a capirlo così tanto che allontanarlo era stata l'unica scelta possibile, per Faolan.

"Dovrei ricordarmi dei bei momenti e basta. Essere grato di essere stato me stesso con qualcuno, almeno per un po'", non poté fare a meno di pensare, mentre avanzava su un ponte di pietra.

 Ma era difficile ragionare razionalmente, quando aveva soltanto voglia di fermarsi e urlare, prendere pugni qualcosa e ripetere che non era giusto.

 Non era giusto dover abbandonare ogni buona occasione. Non era giusto voltare le spalle a chi amava, senza nemmeno la possibilità di dare una spiegazione.

 Se stava andando avanti, era soltanto per il desiderio di concludere quella storia e riprendersi ciò che aveva perso. Ma se fosse stato troppo tardi?

 Pensò a Ivy e Erik, giusto per non rimuginare ancora su Darfel o sui propri obiettivi.
"Posso aiutare loro,per lo meno", disse a sé stesso,provando un pizzico di sollievo. I due ragazzi si erano fidati di lui, pur conoscendolo a stento. Erik aveva seguito tutti i suoi consigli sull'allenamento, e lo aveva addirittura ringraziato per avergli salvato la vita. Era un ragazzo con fin troppo dolore da affrontare, ma era rassicurante pensare di poter aiutare almeno lui. Così come era rassicurante pensare di dare una mano ad Ivy: veniva da così lontano, e aveva bisogno di trovare un posto, un aiuto, in quel luogo improvvisamente scosso da guerre.

 "Forse,un giorno saremo amici. Forse potremo scherzare fuori dalle missioni, parlare quante volte vogliamo", si ritrovò a sperare Faolan, per poi sorprendendosi di quei pensieri.
Per l'ennesima volta realizzò che Darfel gli aveva insegnato una cosa fondamentale, di cui gli era terribilmente grato: poteva ricominciare a farsi volere bene dalla gente e volere nuovi amici, nonostante tutto.

-E quindi.. ora sei davvero dei uno nostri, mio caro Faolan.- gli disse una voce, improvvisamente, facendolo quasi sobbalzare e riscuotere bruscamente da quei pensieri. Una voce che conosceva fin troppo bene.

 -Shalenya.- disse Faolan, dopo qualche istante,con tono piatto.

 Era probabilmente l'ultima persona con cui voleva parlare, in quel momento,ma,purtroppo, sapeva di non poter evitare una conversazione con lei. Ora avevano lo stesso capo, dopotutto. 

Grevor stava manovrando entrambi, che gli piacesse o no.

SILVER SOUL 2 (Fire Flakes)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora