27: Spettri inattesi

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Grevor sedeva di fronte all'ampia finestra del castello, avendo ormai abbandonato le prigioni da un pezzo. Contemplare lo scenario raccapricciante di cui era artefice lo gratificava fino a un certo punto: preferiva che fossero le guardie ad occuparsi di sangue e torture, mentre lui restava, come sempre, ai piani alti e luminosi.

Il sorriso soddisfatto che gli increspava le labbra rendeva ancora più aggraziati i suoi lineamenti, così come i capelli freschi di cure, che riflettevano i raggi chiari del pomeriggio.
Aveva sempre voluto essere conte anche per quei minimi particolari, per i sussulti che il suo aspetto elegante suscitava.
Finché i suoi pensieri sarebbero stati celati sotto a quell'aria gentile che ormai gli calzava alla perfezione, si diceva, non avrebbe avuto nulla da temere. Persino i candidi alaronesi, in fondo, giudicavano dalle apparenze.

Ogni tanto, a Grevor veniva da ridere, quando ricordava che Faolan, anni prima, aveva fatto richiesta d'esser conte. Non aveva proprio la stoffa, lui, per quelle cose! Aveva forse avuto idee nobili e giuste, ma a cosa servivano la giustizia e la parità? Grevor era totalmente convinto che fossero soltanto un'idea astratta, inculcata a forza nelle menti degli Alaronesi,
Pensare che, senza le macchinazion di Grevor, ora su quel trono ci sarebbe stato il fratellastro! Il fratello bastardo, l'inetto, il solitario.
Grevor non riusciva ad immaginare lo sfacelo che avrebbe portato: probabilmente, Evan nemmeno lo avrebbe selezionato per la sua missione, infinitamente più vantaggiosa di quella di Alaron, così come non aveva selezionato Blez.

Aveva selezionato lui. Solo lui! Quel pensiero riempiva Grevor di gioia. A partire da un basso gradino, fino a giungere ad una scala dorata, stava percorrendo un percorso che lo portava sempre più in alto: non ci sarebbe stato occhio, presto o tardi, che non si sarebbe posato su di lui senza una traccia di sincera ammirazione.
Era diverso: ma non diverso come Faolan, come quei ragazzini incantatori che stava cercando da giorni. Era diverso perché aveva ambizione, qualità che, ne era certo, gli altri non possedevano nemmeno in minima parte.

E avrebbe accontentato Evan, poco importava se le cose, adesso, erano ancora irrisolte! La sua caccia stava prosciugando tutte le sue forze, la rete intricata di guardie che teneva in piedi era sempre più aggrovigliata: presto, quelle fatiche avrebbero dato i loro frutti. E Zeliha e Evan avrebbero riconosciuto il suo metodo.

-Signor conte.-

Una voce riscosse il flusso entusiasta dei pensieri di Grevor. Voltò il capo, e vide che Akùr, il giovane scudiero della contea di Nevis, fermo davanti alla sua porta, aveva un'espressione allarmata.

-Come, prego?- domandò Grevor, la voce dolce quasi per abitudine, tante volte l'aveva storpiata.

-Non sentite un rumore?-

-Che rumore?-

-Rumore di temporale! Tuono, fulmine..pioggia..-

Grevor si alzò di scatto, andando ad affiancare Akùr, tendendo le orecchie, scettico.

Non sentì nulla, ma vide, e ciò che vide fu destabilizzante oltre ogni descrizione.

Sembrava il caos in persona, una creatura potente e impietosa, che aveva raccolto nella sua evanescente figura tutta la rabbia dell'intero Universo. Non era la luce cerulea che avvolgeva il suo spettro, nè le ali nere dispiegate in tutta la loro ampiezza, e neppure il passo fluttuante, a farlo apparire chiaramente come alieno, bensì la sensazione che si provava non appena si incrociava il suo sguardo argentato.

Le statue lo ritraevano, i libri lo raccontavano, ma nessuno che avesse memoria lo aveva visto di persona: era Evan Lebrow, la Tempesta.

-GREVOR GRENWALL. Finalmente ti ritrovo.-

SILVER SOUL 2 (Fire Flakes)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora