39: La torre

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Le guardie erano temporaneamente bloccate, distratte dal gruppo di amici. Non c'era un solo istante da perdere: Ivy era davvero dispiaciuta di lasciarli in mezzo al pericolo, ma non c'era momento migliore per recuperare gli zaffiri. Lei e Erik avrebbero fatto del loro meglio.

Il passaggio era tutto fuorché sgombro: c'erano armi abbandonate a terra, probabilmente dalle guardie, mattoni e pezzi di muratura crollata. Doveva esserci stato un bello scontro, in quelle segrete, per provocare quelle frane. Era probabile che le spie avessero utilizzato qualche incantesimo, per tenere a bada i sospettati imprigionati.

Ivy ed Erik continuarono a correre, fino a quando non giunsero di fronte a un bivio: da una parte c'erano le celle, come lasciavano intuire le grida vicine dei prigionieri, mentre dall'altra, un vicolo stretto. Bastò dare una rapida occhiata alla seconda strada per intravedere una parete semicircolare in fondo al corridoio. Doveva trattarsi della base della torre.

Ivy aveva i polmoni in fiamme. Dopo tutte quelle disavventure, era ormai abituata a correre, ma mai come in quel momento le sembrava di avere la morte ad inseguirla. Era terrorizzata, per se stessa e per Erik, che da un momento all'altro poteva crollare, in preda al conflitto del suo stesso corpo. Aveva paura di non essere in grado di recuperare lo zaffiro e di finire dritta tra le grinfie delle guardie.

Fortunatamente, il tragitto da percorrere era breve.

Ma Tecla non aveva mentito, quando aveva detto che la torre era piena di allarmi. Non appena Ivy ed Erik ne varcarono la soglia, risuonarono per tutto il castello, perforandogli i timpani con acuti squilli.

Erik imprecò, fermandosi di colpo. La sua espressione era colma di terrore, così come la sua voce, tremante e spezzata. Dovette fare un grande sforzo, per dire ad Ivy di non preoccuparsi, sbrigarsi e salire: ci avrebbe pensato lui, a tenere le guardie lontane, mentre lei recuperava lo zaffiro.

Ivy non riuscì a negarsi un sospiro, mentre il timore che Erik si facesse male l'assaliva. Sapeva di non aver tempo per i ripensamenti: ogni istante di esitazione sarebbe costato caro ad entrambi. La cosa migliore che poteva fare per aiutare il ragazzo era fare la sua parte.

Si avvicinò al muro, premendovi i palmi delle mani. Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare la sua attenzione verso la superficie fredda dei mattoni, per poi riaprirli e sollevare il capo, puntando lo sguardo verso l'alto. La torre era alta parecchi metri, e non riusciva, da quella postazione, a vedere alcuna nicchia. Chissà dov'era nascosta la pietra!

Ma non era una superficie impossibile da ricoprire di rampicanti. Mantenendo saldo il contatto tra le mani e la parete, tornò a chiudere gli occhi, lasciando fluire il potere dai polpastrelli. Nella mente, visualizzava il tipo di pianta che voleva evocare: rampicanti dal fusto robusto, di quelli che si avvinghiano alle pareti e sembrano volerci restare per sempre.

Cominciò proprio dal muro dinanzi a sé, cercando di ricoprirne ogni centimetro, quanto più velocemente le riusciva. Erik, nel frattempo, aveva protetto l'entrata, evocando una barriera di fuoco. L'idea che ci fossero delle fiamme nella stanza di certo non faceva impazzire Ivy di gioia, ma se non altro, si fidava di Erik e del controllo di quel potere.

Dopo aver steso i rampicanti su tutta la parete, Ivy diresse il pensiero al proprio corpo, avvolgendosi le piante a polsi, gambe e fianchi, cercando di imbastire una sorta di imbracatura di sicurezza che poi assicurò al fusto principale.

Prese un ampio respiro, prima di iniziare a arrampicarsi. Di positivo, poteva solo dire di avere esperienza con gli alberi e una certa resistenza, avendo trascorso gli ultimi tre anni a lavorare quasi ininterrottamente.

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