50. Fast.

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La mattina dopo la sentenza mi alzo parecchio tardi. Sto veramente riprendendomi da tutte le notti insonni dentro quel tugurio. Clara ancora dorme quindi faccio piano.

Ieri sera abbiamo parlato tanto e abbiamo fatto le due di notte tra confessioni e pianti.

Mi alzo e sospiro. La camera é perfettamente sistemata, grazie a mia madre e Alessia che ieri pomeriggio mi hanno aiutato un sacco. Vado di sotto e trovo la colazione pronta e un bigliettino da parte di mia madre.

Alle 11.30 vai in Centrale. Nella stanza 203. C'è qualcuno che ti aiuterà.

Ti voglio bene. Mamma.

Bene, ho solo mezz'ora per prepararmi e arrivare in Centrale senza sembrare una forsennata.

Vi starete chiedendo come sto circa ieri... Bhe, me lo chiedo anche io a volte. L'unica cosa che mi viene in mente é pura serenità. Serena che quella carogna se ne sia in carcere a scontare le pene. Poi è venuto fuori che ha ucciso moltissime persone e torturate altrettante.

Spero bruci all'inferno.

Mangio quello che mia madre mi ha preparato e vado in bagno per farmi una doccia. Le ferite e i lividi stanno piano piano sparendo fortunatamente. Mi lavo e ritorno nella mia stanza.

Clara giace inerme al lato del mio letto e ridacchio. Sta anche sbavando. Che schifezza!

Mi vesto con un paio di jeans neri e un a maglietta dell'Hard Rock di Londra e vado di sotto. Prendo il cellulare, le chiavi e esco di casa.

Il sole batte forte su di noi e mi riscalda. Adoro Roma soprattutto per questo. É caput mundi! Non c'è nulla da fare.

Arrivo alla Centrale esattamente alle undici e mezzo e corro a prendere l'ascensore. Salgo al secondo piano e cammino rapidamente verso la stanza 203. Busso e una voce maschile mi dice di entrare.

Obbedisco e apro la porta.

L'ufficio é ben arredato, da dottore praticamente. La scrivania é grande color crema decorata da foto, portapenne e cartelle.

-Sono Valentina, posso?- chiedo.

Mi sorride e noto i denti bianchi spuntare dalle labbra carnose rosate. Ha gli occhi marroni e i capelli biondi. Avrà più o meno trenta anni o forse trentacinque. Indossa il camicie bianco.

-Certo, signorina, venga. Io sono il dottor Rossi, ma chiamami Andrea. So cosa é successo, ma non parleremo di questo, ma di te, che ne pensi?-

Stringo la sua mano e mi siedo.

-Non mi piace stare troppo al centro, però se non possiamo fare altro...- borbotto.

Si siede comodo e e prende un quaderno per scrivere. É uno psicologo se non lo avete capito.

-Come stai?- chiede.

-Scombussolata, tu?- chiedo.

Ridacchia e sospira.

-Deve diventare un mantra: parleremo di te.- asserisce.

Già giusto.

-Scombussolata, soprattutto da ieri. Però sento che mi sto riprendendo.- rispondo.

Annuisce e scrive qualcosa.

-Bene. Con i tuoi coetanei come va?- chiede.

Corrugo la fronte, non capendo il senso di queste domande.

-Bene, i miei amici sono stati fantastici con me.- rispondo sorridendo.

-E il tuo ragazzo?- chiede.

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