47: Zoe

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La visita di Anastasia al vecchio cantiere le è costata cara:
adesso è debole e i miei capelli si stanno colorando di grigio, segno che sta invecchiando ancora.
Torno alla residenza Fletcher; mio padre e Claire si sono appena svegliati.
Anastasia mi ha costretta ad attaccarli poco prima che uscisse e li ha legati in sala da pranzo, al tavolo.
Papà crederà che sia io a fare tutto questo, che gli stia facendo del male; non potergli dire che in realtà non è così mi distrugge.
"Zoe, che cosa fai? Perché ci hai legato?" chiede Claire; ha appena aperto gli occhi ed è piuttosto confusa, anche stordita.
"Buon pomeriggio, Claire. Scusa, mi sono preparata un bicchiere di vino prima e per sbaglio ho sporcato la moquette, spero non ti dispiaccia" rispondo con un insopportabile sorriso sulle labbra.
Anastasia mi sta trasformando nella persona più odiosa al mondo.
Claire, domandandosi sicuramente il perché di questo mio comportamento saccente, mi guarda.
Anche papà si sveglia e, con aria stanca, apre gli occhi debolmente.
Quando si rende conto di essere legato a una sedia, sussulta.
"Ma che succede?" domanda.
"Succede che tua figlia è fuori di testa; dovevo aspettarmelo, in fondo è anche figlia di Megan" risponde Claire scorbutica.
"Che cosa stai insinuando?" chiede papà accigliandosi.
"Che non potremmo definirla proprio una persona stabile, non credi?"
La fulmina con lo sguardo, poi si rivolge a me:
"Zoe, tesoro, piccola mia, perché...perché ci hai legato?"
Prende tempo prima di terminare la frase.
Lo guardo a mia volta e, senza scompormi, mi passo una mano tra i capelli.
"Perché ho bisogno di un favore, uno bello grande" dico.
"I tuoi capelli, che cosa succede ai tuoi capelli?" domanda papà; mi ha osservata bene, restando sconcertato nel vedere come il colore di alcune ciocche dei miei capelli sia cambiato.
Anastasia, che fatica sempre più a controllarmi, si innervosisce.
"Nulla che ti riguardi" rispondo.
"Che cosa vuoi?" chiede Claire che mi rivolge uno sguardo sprezzante.
Dato che Anastasia sta perdendo le forze, non riesce a farmi rispondere subito come vorrebbe e resto zitta per un po'.
"Quattro semplici parole: il libro degli spettri" dichiaro poi avvicinandomi a loro con aria minacciosa.
"A cosa ti serve? Avevamo deciso insieme di tenerlo al sicuro" risponde Claire sbigottita.
"Al sicuro vuol dire nelle mie mani" asserisco.
Anastasia sta provocando la persona sbagliata, Claire non cederà mai alle sue minacce, soprattutto se ad esporle sono io.
"No, vuol dire nella soffitta, che è chiusa con un incantesimo" ribatte lei.
"Dimmi come aprirla" ordino incattivita.
"Zoe, finché non troverete un modo per chiudere quel libro, sarà meglio che resti in soffitta" dice papà.
Anastasia perde ancora la calma e, guardando mio padre con un sorrisino arrogante sulle labbra, mi obbliga a rispondere:
"Sai, papà, tutto questo è colpa tua."
"Che intendi?" chiede ricambiando titubante le mie occhiate.
"Tu mi hai costretto a venire qui, rovinando la mia vita. A Manhattan mi hai fatto credere di essere una persona normale, poi, a New Hope, mi hai fatto diventare un mostro, e non hai mai avuto il coraggio di dirmi che mia madre...che lei...lei mi ha ucciso" continuo a dirgli cattiverie e papà mi guarda con espressione triste e cupa.
Si dà per davvero la colpa e Anastasia ne è a conoscenza, ecco perché sta dicendo queste cose:
si diverte a vederlo soffrire.
"Basta, non devi giocare anche con lui!" protesto ma, come al solito, nessuno può sentire i miei reali pensieri.
"Perché no?"
Anastasia non pronuncia queste parole, le pensa soltanto, in modo tale che sia l'unica ad ascoltarla.
Mi costringe a sorridere di fronte allo sguardo avvilito di papà.
"È per questo che mi hai legato? Mi vuoi punire?" domanda lui con poco coraggio.
"No, papà, non sono una persona cattiva" replico e mi piego verso di lui, fino a ritrovarmi il suo volto a pochi centimetri di distanza.
Sta tremando, ha paura di quello che stia per dire; non è il solo.
"Ma posso diventarlo" aggiungo.
Gli stringo la spalla, procurandogli dolore.
Lui grida e tira la testa all'indietro mentre Claire si dimena.
"Zoe, fermati, non puoi farlo!" strepita allarmata.
Anastasia non le presta attenzione e io, che vorrei fermarmi ma non ne sono in grado, continuo a fare del male a papà, che urla sempre più forte.
"Basta, così lo ucciderai!" urlo ma la mia voce rimbomba solo nella mia testa.
"Allora sarà meglio che Claire mi dia quel libro" risponde Anastasia.
Grido e tento di attivare i miei poteri; non possiedo abbastanza forza e questo mi motiva a provarci ancora, finché non avrò trovato una soluzione.
Finalmente, Anastasia si ferma e papà urla per qualche altro secondo, prima di mordersi il labbro.
"Perché mi fai questo? Io sono tuo padre!" sbotta. Sta soffrendo molto, credo mi odi anche dopo ciò che gli ho fatto.
Lo guardo con fare arrabbiato e rancoroso, ma non sono io a provare queste cose; si tratta di Anastasia.
"Perché nessuno di voi sa cosa vuol dire soffrire davvero" dico e, ascoltando le parole che Anastasia mi ha spinto a buttare fuori, ho un lampo di genio.
"Mostramela allora" le propongo.
"Cosa?" chiede Anastasia immediatamente.
"Mostrami la tua sofferenza" spiego e, come per magia, Anastasia pare calmarsi un po'; non prova più rabbia ma malinconia.
Spronata da Anastasia, mi alzo in piedi e mi dirigo nel salone.
"Zoe, dove vai adesso?" domanda Claire.
Non ho la possibilità di risponderle; Anastasia mi obbliga a restare zitta.
"Dove mi porti?" le chiedo, potendo parlare solo nella mia testa.
"Nel mio mondo" risponde Anastasia.
La luce si spegne e vengo sommersa dall'oscurità. Una forza disarmante mi porta via all'improvviso, trascinandomi in un vortice di ricordi confusi.
Vedo solo la nebbia e, ancora una volta, il fango che mi sporca le scarpe.
Poi mi trovo in una casa, nella vecchia mansione dei Perry, la stessa dove ha vissuto Anastasia Barks nel '900.
Controllo nuovamente il mio corpo e cammino verso la cucina; qualcuno canticchia in modo allegro.
Si tratta di Anastasia, sta preparando la cena; è felice, sul suo volto è dipinto un dolce sorriso che esprime serenità.
Da quando la conosco si è sempre comportata maliziosamente con i miei amici, ma qui è diversa, spensierata.
"Bambine, venite a tavola, la cena è pronta" le chiama mentre sistema il cibo nei piatti.
Si volta verso di me e non dice nulla, facendomi presupporre che non possa vedermi.
Le bambine corrono in cucina saltellando e discutono per chi delle due dovrebbe avere il piatto con più cibo.
"Io voglio quello a destra, ha più carne!" dichiara May.
"Ma tu non mangi mai tutto, lo voglio io!" si oppone Katy.
"No, non è giusto!"
"È giusto invece!"
Rido spontaneamente; in questo modo sembrano due semplici bambine come tutte le altre, non dei fantasmi assassini.
"Bambine, per favore, se dopo cena volete che vi legga una storia, sarà meglio che facciate le brave" le interrompe Anastasia.
"A me non piace leggere, voglio giocare a nascondino nel buio, e chi perde, la prossima volta avrà il piatto più piccolo" propone Katy.
"No, non è giusto, tu sei più brava di me, e non hai paura di bruciarti con la candela!" risponde May.
"Invece è giusto!" ribatte Katy.
Non reprimo un ulteriore sorriso nel vedere anche Anastasia così felice.
"Vostro padre tornerà a momenti, poi ci giocheremo tutti insieme" dice lei sorridendo.
"Ma sono le 10, doveva essere già qui" replica Katy.
"È vero, mamma, dov'è papà?" chiede May, poco prima che il telefono squilli.
Seguo Anastasia verso il salone; lei cammina con passo elegante e si ferma davanti al telefono, ossevandolo per qualche attimo di troppo, poi risponde con titubanza.
Mi fermo lì davanti; non posso sentire ciò che le stanno dicendo ma, dal modo in cui la sua espressione cambia, facendosi più cupa, capisco che deve essere successo qualcosa.
La mano che regge il telefono incomincia a tremarle e i suoi occhi vengono illuminati da un'improvvisa cattiveria mentre annuisce, fingendo che ciò che ha appena sentito non le abbia procurato alcun dolore.
Termina la chiamata e guarda dritto verso di me, anzi, dietro di me, dato che non può vedermi.
Ha l'aria spenta, sembra stia per mettersi a urlare, invece si limita a camminare nella mia direzione.
Resto immobile e aspetto che mi raggiunga, guardandola dritta negli occhi.
Quando si ferma davanti a me, avverto un'immensa angoscia nel petto; sono terrorizzata da ciò che potrebbe accadere.
Mi afferra il collo e lo stringe forte, togliendomi il respiro.
Subito dopo, mi ritrovo in quel vortice buio e colmo di ricordi sconnessi tra loro.
"Anastasia, dove sei?" chiedo smarrita.
Giro lo sguardo ovunque. Fa freddo qui dentro, come se avesse improvvisamente incominciato a nevicare e l'aria gelida stesse picchiando sulla mia pelle.
"Sono qui" dice Anastasia spuntandomi davanti.
Sobbalzo e lei scompare.
"Oppure qui" continua, sta volta parlando alle mie spalle.
"O qui."
Appare di nuovo di fronte a me, poi al mio fianco, e dappertutto.
Se giro lo sguardo, o alzo la testa, o se la abbasso, riesco a vederla.
Anastasia è ovunque e la sua risata acuta rimbomba nelle mie orecchie come l'allarme fastidioso di una macchina.
"Che cosa stai facendo?" chiedo mentre sento di star diventando pazza.
"Voglio farti provare quello che ho provato io novantanove anni fa" risponde incattivita, poi mi colpisce la pancia con un pugnale.
Grido e sputo a terra del sangue.
"Che provi quel senso di smarrimento e di vuoto, di arrendevolezza, che ho sentito nel momento in cui sono morta" prosegue e, di conseguenza, vengo pugnalata alla spalla.
"Ti prego, basta!" strepito, devastata dal dolore.
I miei vestiti sono ricoperti di sangue e ho perso sensibilità in tutto il corpo.
"Mi hanno pugnalata dieci volte allo stomaco" dice e mi colpisce ancora in quel punto.
Sputo altro sangue e indietreggio.
"E poi alla schiena" va avanti, ferendomi anche lì.
La vista mi si appanna e le mie urla sono strazianti da ascoltare perfino per me.
"E poi, quando credevo che sarebbe finita..." comincia e prende una pausa.
Non riesco più a trovarla.
"Mi hanno pugnalata al cuore" termina, per poi colpirmi dritta al petto.
Impallidisco e il sangue che esce dalla mia bocca si colora di nero.
Non ho nemmeno la forza di urlare; cado a terra, paralizzata sia dal dolore che dalla paura.
Ho l'impressione di star morendo, che non sia più solo il fuoco a potermi uccidere, ma che queste pugnalate saranno letali.
Combatto per mantenere gli occhi aperti, finché non perdo del tutto conoscenza.
Vengo sollevata da terra e trasportata sull'asfalto, in un vicolo di New Hope.
Credevo di essere morta ma si trattava solo di un'illusione.
"Quegli uomini mi hanno sacrificata a qualcuno di molto potente, avevano bisogno di una donna pura, una delle poche in città ad essere sempre stata fedele" mi riferisce Anastasia che cammina verso di me, agguerrita.
"Perché? A cosa serviva il sacrificio?"
Ride aspramente, poi si ferma davanti a me.
"Tu non puoi nemmeno immaginarlo."
Si piega sulle ginocchia e prende il mio volto tra le mani.
Inizialmente mi fa male, però resisto a questo dolore, controllando le mie sensazioni.
"Le mie bambine, loro sono morte per colpa mia, non lo meritavano" dice rammaricata.
"Non è così" controbatto.
"Lo è invece!" grida.
"Lo è, e non mi perdonerò mai per non averle protette abbastanza!" ripete abbassando il tono, avvilita.
Anastasia è una donna alla quale è stata strappata via la possibilità di vivere e scoprire sé stessa, di scappare da un matrimonio infelice, di proteggere le sue bambine. Ha sofferto molto e, adesso, vuole infliggere lo stesso dolore a chiunque provi a metterle i bastoni tra le ruote.
Tutto d'un tratto, il suo volto cambia: viene ricoperto da rughe e la pelle pare farsi di gomma.
Veniamo entrambe trasportate di nuovo alla residenza Fletcher e Anastasia mi fa correre velocemente al piano di sopra, verso il bagno.
Si guarda allo specchio e io vedo il mio riflesso.
L'adrenalina mi travolge mentre lo spirito di Anastasia lotta contro i demoni che continuano a tormentarla.
Gran parte dei miei capelli si colorano di grigio e perdo alcune ciocche quando li accarezzo.
"Anastasia" sussurro.
Mi fa tirare un pugno allo specchio che si frantuma in mille pezzi.
La mia mano si sporca di sangue; alcune gocce cadono sul pavimento e una lacrima scende lungo il mio volto, lentamente.
Afferro un pezzo dello specchio, vedendo il mio riflesso in maniera poco chiara. Sto invecchiando ed è tutta colpa di Anastasia.
"Non sei costretta a farlo, puoi ancora uscire e tornare nella seconda dimensione, lì smetterai di invecchiare" dico.
Lei non risponde; mi fa stringere il pezzo di vetro e, in pochi istanti, si rompe anche questo.
"Ho bisogno di quel libro" dichiara in preda al panico.
"E ne ho bisogno adesso!" aggiunge e lascia che i miei poteri si attivino.
Urlo a squarciagola e il vetro della finestra esplode.
Lo sportello del mobiletto che si trova accanto allo specchio si apre e sbatte violentemente, poi cala il buio; è appena saltata la corrente.
Anastasia sta utilizzando così tanta energia che potrebbe scatenare un blackout generale a New Hope se non si fermerà adesso.
Non ho altra scelta:
devo combatterla.
Ancora bloccata all'interno della mia testa, allungo le mani, concentrando in esse quel poco di energia che Anastasia non mi ha ancora rubato.
Il mio corpo si surriscalda e, chiedendo aiuto alla parte più cattiva che giace dentro di me, urlo talmente forte da far cadere il lampadario. I miei occhi, che diventano neri come quelli di un demone assetato di sangue, sono freddi e malvagi.
Recupero il controllo del mio corpo mentre Anastasia torna dritta nella mia testa; sta volta ci resterà per un bel po'.
"Zoe, no, non è possibile!" sbraita irrequieta.
Sorrido soddisfatta; ci sono riuscita, ho lottato contro Anastasia e ho vinto. Si tratterà anche solo di una battaglia ma adesso ho la determinazione necessaria per distruggerla.
"Fammi tornare dov'ero prima, ragazzina!" grida infuriata.
Purtroppo, non ottiene la risposta che avrebbe sperato:
"Ora, Anastasia, si gioca a modo mio" dico con aria maliziosa, guardando il mio riflesso deciso nello specchio.

Undead 2 (Il Libro Degli Spettri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora