Capitolo 4

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Anghel si avviò, barcollando lungo il sentiero, seminudo, scalzo e sanguinante. Vedeva tutto sfocato, come se stesse per svenire. Pregava, chiedeva aiuto al suo Dio, come se gli fosse dovuto, come se non avesse commesso nessun peccato. Ma questa è una prerogativa delle persone, guardano solo gli sbagli degli altri e mai i propri, credono che pregare per un paio di minuti li salverà, magari le disgrazie che capitano sono proprio a causa di quest'atteggiamento incoerente. Tutti si predicano religiosi, tutti glorificano il loro Dio, venerano qualcosa che forse nemmeno esiste, mentre lasciano che le persone che hanno intorno soffrano o muoiano perché loro fingono di non vedere. Signori e signore, questa è l'umanità; è sempre stata così e così sarà per sempre. Preferiscono aver a che fare con il loro Dio, certo, lui non parla e quindi non giudica, alle persone fa paura essere giudicate. Quindi preferiscono credere che solo lui o lei possa giudicarli, piuttosto che affrontare la realtà che li circonda. Questa è la religione, sempre è stata e sempre sarà solo un sfogo alla paura, dove l'umanità affoga a causa di sè stessa.
Pregare non gli servì a niente, non era abituato a sforzi fisici di nessun tipo, persino dopo il sesso si sentiva troppo affaticato. Il freddo gli entrava fin nelle ossa, il vento pungeva ogni millimetro della sua pelle. Mancava ancora un giorno intero di cammino, ora che non aveva più né carrozza né cavalli ce ne sarebbero voluti almeno tre, considerando l'inesistente prestanza fisica del consigliere. Sentiva rumore di passi, dell'erba calpestata, rami e cespugli che si muovono. Pensò che fossero solo allucinazioni, non c'era niente, ma i passi si avvicinavano, con il diminuire della distanza dei passi a lui aumentava la paura nella sua mente. Tremava, tanto per il freddo quanto per la paura di quella cosa che si avvicinava. Cadde a terra, ferendosi le ginocchia, dalle quali uscì altro sangue. Iniziò a trascinarsi con le mani, sfregando le ginocchia ancora di più. Sentì una risata acuta, vicina e spaventosa, che riecheggiava tra gli alberi. Poi svenne. 


Erano rimasti fermi tra le tenebre di quel vicolo per qualche altro minuto, ad Aura venne in mente la scusa usata da Anghel per giustificare l'assenza della figlia la suo ritorno.

<<Hanno disertato!>> disse, fingendosi disperato, fingendo di asciugare una lacrima inesistente. Chi non ha cuore versa lacrime solo perse stesso.

<<Cosa?!>> il re era stranito , credeva di aver sentito male.

<<I soldati della città da cui tornavamo, hanno disertato, ci hanno attaccati per riprendersi i soldi, io sono l'unico sopravvissuto, mia figlia è stata brutalmente assassinata, l'hanno data in pasto ai cani da caccia>>

Le era sembrato molto strano, perché attaccarli nella foresta in pochi quando potevano farlo in città? Perché dare i soldi e poi andare a riprenderseli facendosi riconoscere? Perché lasciare vivo Anghel? Stava mentendo, ma il padre non le avrebbe mai creduto, quei poveri cittadini avrebbero pagato per gli imbrogli di quell'uomo e per la stupidità del loro re.

<<Ma allora perché lasciarti vivere? Ormai li avevi visti>> fortunatamente c'era Rufus con loro, pronto a prendere le parti della ragione <<Non ha senso che ti abbiano lasciato andare sapendo che li avresti riconosciuti, e poi perché attaccare nella foresta? Farlo in città sarebbe stato più veloce e sicuro, avrebbero avuto l'appoggio dei cittadini>> Anghel diventava sempre più nervoso <<Infine, perché dei soldati? Potevano fomentare gli uomini del villaggio, armarli e farli venire, nascondendosi dietro una distrazione>>

<<Mi accusate di essere un bugiardo, con quali prove?>>

<<E voi con quali prove accusate quelle persone? Non avrebbero mai ucciso una donna di corte e lasciato integro il loro principale problema>>

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