Capitolo 60

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Passorono tre settimane da quando avevano salvato Cayl. Quattro ribelli fecevano la guardia alla villa, alternandosi in turni ogni giorno. Vali ormai viveva da Cayl, con la scusa di proteggerlo, tornò solo due volte e solo per un giorno, per salutare la sorella e il nipote. La relazione segreta tra i due cresceva man mano che andavano avanti: adesso Cayl non vedeva il suo amore solo come un principe dai capelli biondi e dagli occhi interessanti, ma come il suo cavaliere dalla scintillante armatura e questo non fece altro se non accrescere l’amore, ma anche la devozione, del contessino verso il biondo. Parlavano tutte le notti, prima di fare sesso; lei e Yar non parlavano quasi mai, per certi versi ne era anche gelosa, ma lei aveva la corona, suo figlio, il suo maestro e il suo migliore amico con lei. Parlavano di qualsiasi cosa: progetti futuri, del piccolo Rufus, della loro infanzia, di come avevano trascorso il tempo dall’ultima volta che si erano visti da bambini alla prima volta dal suo ritorno, dei loro gusti in fatto di cibo o libri. Vali gli raccontava un mito a notte, di qualsiasi credenza. La prima volta gli aveva narrato della storia di Giaminede, giovane principe troiano definito come il più bello tra gli uomini. Di questo principe erano innamorati il re di Creta Minosse, Tantalo, Eos e il grande Zeus. Quest’ultimo, secondo l’iliade, lo comprò per farne il coppiere degli dèi, dando al padre due cavalli divini e un tralcio di vite d’oro. Rapì il ragazzo sotto forma di aquila, nei pressi del monte Ida. Successivamente, Zeus trasformò il suo amato nella costellazione dell’aquario, associata all’aquila, per salvarlo dall’ira della moglie Era, gelosa del bel ragazzo più delle amanti donne del marito. A Vali quella storia piaceva particolarmente: parlava di un amore omosessuale, del disinteresse di un padre verso i suoi figli, di gelosia, amore totalizzante e di un principe che viene travolto da questa sensazione, anche se non si era mai paragonato alla bellezza di Giaminede. Quanto gli ricordava la sua situazione. Quanto gli ricordava il modo in cui aveva desiderato di vivere il suo amore senza mai poterlo fare realmente.

Durante quelle tre settimane, il piccolo Rufus aveva iniziato a camminare. Aveva fatto i suoi primi passi solo davanti ad Adaline, ma non davanti alla madre o a Vali. Lei lo aveva visto fare dei passi verso il gruppo mentre discutevano la nuova missione. Si era emozionata. Joseph le aveva chiesto “Capisci cos’ho provato quando ti ho vista camminare?”. Lui avrà avuto circa cinque anni quando lei aveva fatto i primi passi e lo ricordava ancora.

Dopo circa un mese da quando avevano programmato la missione contro la strega, Aura iniziò a pensare a come localizzare tutti i Caini Orbi. Non aveva niente di quei mostri e, anche se lo avesse avuto, sarebbe stato inutile, perché avrebbe funzionato solo su quello a cui apparteneva l’oggetto, che con molta probabilità sarebbe già stato ucciso. Allora aveva pensato di usare i poteri di Lilith, ma lei non le rispondeva. La risposta gliela aveva data Rufus che, già da molte notti, pensava di dirle di sua madre e di come fosse morta. Ma decise di non farne parola, si limitò a raccontarle di un incantesimo che aveva appreso in passato. Erano seduti nella camera di Aura dove, al posto della culla ormai inutile dato che il piccolo dormiva tra lei e Yar nel letto, era stato costruito un tavolo da studio. Lei era seduta al tavolo, piegata su libri di magia e cartine del regno con le mani nei capelli, quando Rufus bussò alla sua porta. Le mise le mani sulle spalle e iniziò a massaggiargliele.

<<Puoi fissare quelle pagine quanto vuoi, non comparirà un nuovo incantesimo che ti risolverà i problemi>>

<<Devo trovare qualcosa>> disse, massaggiandosi le tempie.

<<Da quanto sfogli questi libri?>>

<<Ho perso la cognizione del tempo, ma sicuramente un bel po’>>

Rufus si sedette ai piedi del letto, mentre Aura si girava per guardarlo, tenendo le braccia incrociate. Rufus ci pensò un po’ prima di parlare, non voleva tradirsi.

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