Capitolo 9

14 2 2
                                    

Il vicolo li nascondeva bene anche alla luce del sole, ma non erano stati cauti, non si erano assicurati di non lasciare tracce, c'erano orme di sangue ovunque, dal corpo al loro nascondiglio. L'oste era corso fuori con il fiatone, sporco di sangue. Appena vide il corpo decapitato lanciò l'urlo più squillante e meno adulto che sia mai stato emesso, tanto che i due latitanti per poco non scoppiarono a ridere. Purtroppo per loro delle persone iniziarono ad accorrere, altre si affacciarono alle loro finestre, gli avventurieri della taverna saltarono giù dal letto. Quelle orme iniziavano a diventare un serio problema, dovevano andarsene. 

<<Sai correre a piedi scalzi?>> chiese Yar mentre si toglieva le scarpe. 

<<Stai scherzando?! Stai parlando con una principessa>> disse, per poi appoggiarsi al muro e togliersi le scarpe. 

<<Che fine ha fatto la principessa?>> rise il ragazzino. 

<<Ho dimenticato di dirti che salto sugli alberi scalza e corro sui cornicioni delle torri>> confessò lei sollevando le spalle. 

Si gettarono le scarpe alle spalle e iniziarono a correre per i vicoli intricati del villaggio, stando sempre molto attenti a guardie e popolani di ritorno dalla baldoria. 


Avevano ormai oltrepassato il tratto popolato, ma continuarono a correre per l'ora che si era fatta, avevano poco tempo prima che Adaline la chiamasse per la colazione, doveva essere presentabile e soprattutto nella sua stanza. Mancava poco al passaggio, correvano a più non posso. Aura cadde a terra, inciampando su una pietra. La caviglia stava bene, ma dalle piante ormai usciva abbastanza sangue, e ora anche dal ginocchio. Yar l'afferrò per gli avambracci e la sollevò, prendendola in braccio a mo' di sposa, correndo a rotta di collo. Lei era troppo stanca per dirgli di metterla giù e che era capace di continuare a correre così come lo era lui, si limitò a ringraziarlo mentalmente e a maledire la sua debole attitudine ai grandi sforzi fisici in ambienti avversi. In altre parole, ringraziò lui e bestemmiò su suo padre e Anghel. Erano fuori dal passaggio, dovevano salutarsi, lei doveva essere veloce e silenziosa, non farsi vedere. Lui la mise giù, lentamente, come se avesse paura di spezzarla, immaginandola più fragile di quanto fosse realmente. La guardò negli occhi, anche se non voleva ammetterlo, le si era affezionato, in una sola notte. Aveva perso il suo migliore amico, aveva visto una bambina prostituirsi, poi il suo cadavere e quello del cliente, lo spirito, e come se non bastasse anche l'omicidio per beneficenza. Era stato tutto troppo per una sola notte, la scelta di aiutare la principessa era stata davvero un punto di non ritorno, aveva vissuto troppo in troppo poco. Ma adesso, al solo pensiero di dirle addio, gli tremava la voce. Quella bambina di nove anni che ragionava come una stratega, parlava come una politica e agiva come una mercenaria. Più le stava accanto più sapeva che non poteva esserci solo quello, voleva scoprire sempre di più su di lei, a proprio rischio e pericolo. 

<<Questo è un addio?>> disse titubante, esaminando bene il volto della ragazzina mentre poneva la domanda. 

<<Tra cinque giorni, in questo punto, quando suoneranno le campane della torre militare, ci rivedremo, ho tante altre cose da sapere, tanti altri posti da vedere>> disse entrando attraverso il passaggio, tenuto aperto dal ragazzino <<Ma soprattutto, ho tanta voglia di vedere ancora la tua espressione sconcertata e divertita>> 

Lui non sapeva che dire, sorrise e annuì, si sentiva come con un peso in meno sullo stomaco. Ma aveva paura, paura di rimanere solo nel ritorno, solo con pensieri ed angoscia: quando aveva visto Cameron morire al suo posto, era stato peggio di come sarebbe stato ricevere lui stesso quel colpo fatale. Ora non aveva più scuse per non pensarci, anzi, doveva correre dai genitori, stavano aspettando lui per seppellirlo. 

The Power's choiceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora