Capitolo 55

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I giorni passavano velocemente e lentamente allo stesso tempo. Vali e Rufus avevano scritto, bruciato e riscitto la lettera otto volte. Se non la ritenevano abbastanza convincente, la bruciavano per non lasciarne traccia. Alla fine, ne avevano tirata fuori una talmente reale, che potevano crederci persino loro.

“Generale Wallas Manislav, la corona ed io abbiamo bisogno di voi: abbiamo saputo, da degli informatori, che un gruppo di circa un centinaio di ribelli attaccherà e saccheggerà la cittadina di Ludringa entro la fine di questo mese. Sappiamo che lei voi e alcuni dei vostri uomini siete originari di Ludringa, vi chiediamo di appostarvi in quella città per impedire che la distruggano per tutto il tempo stabilito. Resterete lì per trenta giorni. Se grazie alla vostra presenza armata non dovesse succedere niente, risalite il fiume Momorègn fino al lago, per assicurarvi che non si siano appostati fuori città ad attendere la vostra ritirata. Risalirete entrambi i bracci del fiume contemporaneamente, per essere certi che non si nascondano, perlustrerete il bosco e la montagna. Se non troverete niente, vi ritirerete il giorno dopo; nel caso troviate qualcosa, vi aspetteremo a braccia aperte con tutti i prigionieri che riuscirete a prendere. Ovviamente, ritengo che i ribelli possano essere alquanto pericolosi, non vedremo con malocchio un numero consistente di morti, ma gradiremmo almeno un paio di prigionieri per avere delle informazioni. Le auguro di non fallire, la corona spera di poterla chiamare comandante generale al suo ritorno.”

Aura aveva riconosciuto che quelle parole erano così simili a quelle che sentiva spesso pronunciare ad Anghel quando era piccola, era così reale. Disse di mettere la data di due giorni prima e di farla spedire da un ragazzo adulto e vestito come il messaggero della corona, con pantaloni neri e camicia gialla. Disse anche di farlo seguire a vista da una dozzina di ragazzi armati per essere sicuri che la lettera arrivasse.

Riguardo agli arcieri, Yar stava facendo un pessimo lavoro. Per quanto la sua mira fosse eccellente, lo era con la pistola, non sapeva tenere in mano arco e freccia. Aveva trovato poco più di venti ragazzi veramente capaci e con un’ottima mira. Molti altri avevano il suo stesso problema: risultavano saper sparare con una pistola ma non con arco e freccia. Aveva chiesto più volte ad Aura di lasciare che usassero le pistole, di farne costruire altre e di cercare altra polvere, ma lei rifiutava sempre. Aveva usato persino il sesso per convincerla a dare l’ok, ma la ragazza era più lucida durante l’orgasmo di quanto lui fosse mai stato normalmente. Gli aveva detto che quasi tutta la polvere era andata persa durante il primo attacco alle mura, che nelle città vicine non ce n’era a sufficienza e non c’era tempo per cercarla altrove o fabbricarla. Non c’era tempo per costruire cento pistole. I colpi sarebbero stati troppo limitati e le pistole avrebbero potuto incepparsi come era capitato spesso alla sua. Arco e freccia non hanno bisogno di polvere, né tempo eccessivo per essere costruite, sono decisamente più semplici da fabbricare e possono avere colpi illimitati senza incepparsi. In più, di legno e ferro ne avevano a sufficienza, mal che fosse andata avrebbero abbattuto qualche albero e qualche animale per prenderne le ossa per le punte. Poi, una pistola troppo carica sarebbe potuta saltare nelle mani di un ribelle se inceppata, del legno non ti salta in mano. Alla fine, Yar si trovò costretto a dover imparare come usare l’arco, prima di reclutare altri ragazzi dall’ottima mira e insegnarlo a loro. In questo, trovò aiuto in Amara che, a quanto pareva, era esperta nel tiro al bersaglio. Anche se Aura era convinta che l’unico bersaglio della ragazza fosse il suo uomo. Ma, al contrario di lui, lei non dava né in escandesceze né contraccambiava con una ripicca.

Jude si era scoperto un ottimo artigiano, davvero delle mani d’oro. Aveva fabbricato, da solo, la bellezza di quaranta archi perfettamente funzionanti in una sola giornata, utilizzando il legno di casa Fassman e quello delle case del borgo buttate giù dall’esplosione. Insieme ad una piccola cerchia di bravi falegnami e fabbri cittadini, finì centoventi archi e millecinquecento frecce in quattro giorni, in modo che, se anche qualche arco di fosse rotto, ne avrebbero avuti di riserva. Anche se Aura aveva chiesto di continuare a produrre frecce finche non fosse finito il materiale, Jude le disse che gli uomini erano troppo stanchi, dopo aver lavorato non stop per tutto il tempo e che avrebbe dovuto aspettare. Rufus, invece, le disse di non sprecare risorse, di non farne costruire altre e di contare sui suoi uomini.

Mickey, dopo aver trovato gli aiutanti per Jude, si occupò di trovare del cibo, andando a caccia e trovando un posto abbastanza in salute e ben nascosto nel bosco per coltivare. Avevano deciso di far crescere solo frutti di bosco e mele, per non destare sospetto in caso di ronde dei soldati. Il luogo non era né troppo vicino né troppo lontano dal rifugio: non troppo vicino, per non renderlo ovvio; non troppo lontano, per assicurare la fuga o i soccorsi in caso di attacco e trasportare in sicurezza i frutti. Le coltivazioni erano iniziate da poco, se ne occupavano delle donne e degli uomini che non erano abili a cacciare. Qust’ultima, invece, diede subito i suoi frutti: in meno di due giorni, Mickey e i suoi cacciatori portarono al rifugio un bottino di due alci e un bisonte, animali selvatici e tipici dei boschi rumeni. Anche la pesca era iniziata ma, per farlo, circa venti uomini facevano un viaggio di un’ora andata e ritorno verso un lago situato in una pianura vicina e circondato dalle colline, dove prendevano anche l’acqua che scorreva dal fiume che ci si gettava dentro, per farla ripulire dalle distilliere a cui Uline aveva insegnato personalmente come separare l’acqua che si poteva bere dalle cose nocive.

Proprio l’incarico di Uline, creare qualcosa in grado di benedire, anche a distanza, le armi di tutti i ribelli del regno, creava dei problemi non indifferenti. Non esisteva in nessuno dei suoi libri un incantesimo simile e non aveva mai sentito di qualcuno in grado di farlo, tantomeno sua madre ne aveva mai parlato. Lei era nuova in quel settore, aveva iniziato a produrre pozioni e incanti solo quando aveva raggiunto il rifugio, dopo la morte di sua madre. Prima di allora, aveva sempre e solo fatto degli impacchi e intrugli curativi con le ricette di sua madre. Lei preferiva tenerla fuori dai suoi intrighi magici. Aveva dovuto imparare in gran fretta e senza un mentore adatto. Gustav era certamente un ottimo medico e amico di sua madre, era a conoscenza di molte cose anche riguardo la magia e le pozioni, ma si limitava a quello: conoscenza e medicina. Sapeva poco più di Uline e questo non bastava. Finchè Vali non le portò qualcosa di davvero interessante. Il biondo aveva scavato nella sua memoria quella notte, non avendo con sé i suoi libri da consultare: durante il soggiorno a Napoli, lei e la sorella avevano parlato con una donna di Benevento, che si diceva una strega dalle capacità sorprendenti; certo, loro l’avevano vista solo copiare le loro voci e leggere nei loro pensieri, ma a questo giocavano molti finti maghi. Ad Aura quella donna non piaceva, la reputava una vecchia zitella balorda, in grado solo di raccontare sciocchezze e di truffare la gente; si era dovuta ricredere quando aveva iniziato anche lei a leggere nelle menti e copiare le voci. Lui vi era tornato altre due volte, ne era talmente incuriosito, non c’erano molti scritti che parlavano delle abilità magiche delle streghe di benevento. Nella seconda volta, la donna gli aveva insegnato come maledire un oggetto a distanza usando come miccia il tocco di qualcuno di preciso. Aveva maledetto la coda della sua gatta nera e, appena quella coda toccò il tavolo, quello di dissolse in un mucchio di polvere. Andò a raccontarlo ad Uline, sperando di poter usare lo stesso incantesimo, apportando ovviamente qualche modifica. Lavorarono giorno e notte senza sosta, come dei matti, ma alla fine ci riuscirono. Vali ricordava a stento quel giorno, Uline dovette entrare a scavare nei suoi ricordi per estrarne l’incantesimo usato dalla strega beneventina. Dopo aver recuperato la formula, non rimase che modificarla: per benedire, invece di maledire; per colpire ad una distanza grande tanto quanto poteva esserlo il regno; per estendersi a tutti coloro che avevano intenzione di compiere azioni rivolte alla liberazione del regno. Alla fine di una lunga ed estenuante settimana, dalla quale Vali uscì con la testa in fiamme e molti ricordi scombussolati, avevano finalmente l’incanto, non restava che lanciarlo. Andarono da Aura per averne il consenso, lei volle assicurarsi prima che tale incanto non fosse momentaneo, perché non potevano semplicemente lanciarlo ogni volta che l’effetto sembrava essere svanito e se fosse svanito durante un combattimento proprio contro quegl’esseri mostruosi sarebbe stata la fine. Allora Uline lo lanciò solo sull’arma di Aura, che disse che avrebbe dato lei l’ordine di lanciare l’incanto il giorno prima della partenza, sperando che non fosse nulla di temporaneo. Tenere quell’arma benedetta alla cintura le provocava fastidio, sentiva come un formicolio per tutto il corpo, nel sangue, come se la lama benedetta respingesse il demone dentro di lei.

Joseph, invece, aveva incontrato difficoltà meno complicate ma più a lungo termine. A quanto pare, la stragrande maggioranza delle donne e delle ragazze del borgo che aveva fatto visitare a Gustav erano, parole testuali, “Talmente incinte che anche un cane se ne accorgerebbe”. Ovviamente non potevano combattere, quindi restavano gli uomini e quelle poche donne con una salute fisica e una prestanza atletica sufficiente. L’addestramento, come voleva Aura, iniziò subito per gli uomini e subito dopo le visite per le donne. Joseph sembrava un vero comandante dell’esercito: dettava regole, un regime alimentare e di sonno, mostrava gli esercizi a tutti i soldati e organizzava turni di guardia adatti a non stancare troppo quei neo-soldati. Alcuni di questi furono delle vere rivelazioni, non tanto per la prestanza fisica quanto per la volontà di dimostrare qualcosa, cioè che non erano disposti a mollare. Ma Joseph si stava mostrando per quanto più insopportabilmente duro potesse essere e molti crollavano, piangevano, dicevano di non farcela o si facevano male, altri non lo rispettavano in quanto molto giovane ed Aura era dovuta intervenire più volte per chiarire le posizioni: lui dà gli ordini, voi eseguite, se non vi sta bene potete rinunciare, ma sappiate che questa ribellione è la vostra unica possibilità, non ce ne sarà un’altra. Alla fine si ristabiliva uno pseudo ordine. Ma era sicura che, quando si sarebbero trovati confusi sul campo di battaglia, avrebbero eseguito ogni ordine gli avesse dato la prima squadra. Era vero, se sbagliavano morivano quasi tre migliaia di persone, ma era un rischio e una responsabilità che lei, in quanto futura regina, era e doveva essere pronta a prendere. Loro dovevano solo accettare che erano giovani, ma non per questo incapaci o inesperti. Per quelli che si davano degli incapaci, lui aveva una sola parola: Vali. Anche lui pensava di essere totalmente incapace nel combattimento e forse aveva anche ragione, ma quando qualcuno a cui voleva bene si era trovato in pericolo, aveva sempre trovato la forza di affrontare e vincere le sue battaglie. Combattere non era un capriccio, era necessario, dovevano trovare la forza di andare avanti per le persone a cui volevano bene e per loro stessi, per ciò che volevano e in cui credevano. Prima di tutto, dovevano credere in loro stessi, perché l’autostima è ciò che non deve mai mancare in una persona.

Il piccolo Rufus stava crescendo tanto in quei giorni, ormai aveva sviluppato pienamente tutti i dentini e i suoi capelli erano diventati chiari quasi come quelli di Vali, ne aveva la testa piena. Era così evidente che non era figlio suo, così evidente che non era un Maghiari: non aveva i suoi occhi, non aveva i suoi lineamenti o il suo colore di capelli. Non sapeva dire se era un bene o un male, ma di certo le persone lo avrebbero amato di più senza riconoscergli quegl’occhi maledetti. Passava sempre meno tempo con lui, solo pochi minuti la notte, mentre lui era già addormentato. Ormai stava succedendo come con lei e con Vali: Adaline faceva da madre e il bimbo cresceva senza l’affetto di un genitore. Le faceva male questo, ma ormai il suo mantra era “Devo riportare il sole a splendere soprattutto per lui, deve poterlo sentire sulla propria pelle come non abbiamo mai fatto noi”.

Il mese stava passando in fretta, ormai sembrava tutto pronto e mancava poco alla partenza. Cento arcieri ormai perfettamente in grado di agire, con un carico di frecce più che sufficienti. Mille soldati armati di spade, pugnali e scudi di legno, in assenza di abbastanza metallo per farne anche solo un centinaio. In meno di un mese, Joseph aveva fatto un lavoro unico: sarebbe stata felice di arruolare tutti quei soldati nel suo esercito, una volta regina. Di cibo e acqua ce n’era a sufficienza per le persone che sarebbero rimaste al rifugio per circa due o anche tre settimane. Avevano l’ordine categorico di non uscire mai e di non fare troppo rumore, solo due persone a guardia di ogni ingresso, nascoste e con dei turni. Avevano costruito dei carri per trasportare le armi, o dei feriti o morti per dopo la battaglia, ma ovviamente questo secondo fine non era stato annunciato ad alta voce, anche se chiaro a tutti. Rufus, che sarebbe rimasto al rifugio con Adaline e il bambino, tracciò un percorso da seguire con la carovana, in modo che monti e boschi coprissero la schiera in movimento. Con quel percorso, sarebbero arrivati in due giorni, fermandosi anche per la note. Aura non poteva rischiare la salute dei suoi uomini, dacendoli stancare obbligandoli ad una marcia forzata, per questo accettò l’itinerario segnato dal suo maestro. La benedizione di Uline venne lanciata il giorno prima della partenza.

Quando il canto lontano di un gallo segnò l’inizio del nuovo giorno, Aura si girò nel letto, guardando il ragazzo dormiente al suo fianco. Lo svegliò, sussurrandogli nell’orecchio.

<<Dobbiamo metterci in viaggio, dormiglione>>

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