Capitolo 28

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Aura ricevette notizie dai due amici solo dopo sei mesi. Succedeva sempre la solita storia: stava in pensiero, arrivavano delle minime notizie, tornava a stare in pensiero. Pensava di scrivere lei una lettera, ma aveva sempre paura di rovinare tutto, in più non aveva la minima idea di come fargliela arrivare o, se anche lo avesse saputo, se l’avrebbero mai letta. Fortunatamente, la lettera che ricevette portava notizie decenti: erano arrivati da tempo al villaggio, ma avevano aspettato di far perdere le loro tracce per scriverle. Loro stavano bene, ma le condizioni del regno erano molto peggiorate: la popolazione fuori la nobiltà viveva molto al di sotto della soglia di povertà, nella miseria assoluta; la nobiltà ormai era come rinchiusa nei prorpi palazzi; le guardie infestavano le città come api nell’alveare.

Aura era palesemente preoccupata, ormai riceveva lettere ormai rarissimamente, dicevano tutte le stesse cose: miseria, dittatura, violenza ed esecuzioni. Ogni tanto capitava qualche racconto di avventure pericolose che Yar, come secondo al leader della rivoluzione, era costretto ad affrontare. Se non ci fosse stato il ragazzo che tanto amava, avrebbe adorato quelle storie così come le mitologie antiche, piene di pericoli e sfide, mille morti e tante fantasie assurde.

A Firenze si sentiva totalmente inutile, lontana dal luogo dove avrebbe veramente potuto fare qualcosa. Si diede alle arti magiche: insieme a Rufus passava tutte le notti a studiare pozioni, cristallomazia, divinazione, rituali di propriziazione e l’arte dell’evocazione. Quando aveva chiesto al suo maestro di aiutarla ad eccellere con la magia, bianca o nera che fosse, egli si era quasi tirato indietro. Lei era troppo importante per finire come sua madre, non poteva permetterglielo. Ma la principessa era ostinata, pensava che le arti magiche, in special modo quelle oscure, l’avrebbero aiutata nella prova che avrebbe dovuto affrontare e nella rivoluzione. Dopotutto non aveva tutti i torti,  soprattutto non poteva usare la storia di sua madre per toglierle quel pensiero dalla mente, lo aveva giurato. Aveva accettato di supervisionarla solo per proteggerla, tenerla lontana dall’evocare lo spirito di sua madre. “Io vedo gli spiriti in cerca di vendetta” gli aveva detto una sera “I poteri li ho, aiutami a portarli avanti”. L’evocazione era la cosa più impegnativa, ma la facevano di rado, richiedeva troppa forza vitale e la ripresa era troppo lenta. Al maestro sembrava di parlare con la madre, in special modo quando diceva la frase: “La magia non è un gioco, ogni volta che la usi devi pagare in respiri”. Aveva cercato anche di divinare la sua sorte e quella della rivoluzione, ma vedeva sempre lo stesso simbolo, o meglio, l’unione di due simboli: il simbolo runico dell’infinito, di cui una sfera era vuota, segno dell’infinito positivo, l’altra con una linea orizzontale, simbolo dell’infinito negativo. Non capiva cosa volesse dire, per quello che sapeva non si potevano divinare due futuri nello stesso momento.


Il tempo passò, non tanto velocemente come avrebbe voluto, ma abbastanza impegnato da non farla sentire troppo inutile. Arrivarono i fatidici giorni prima della partenza, Lorenzo le stava incollato come un cucciolo, sapeva che probabilmente non l’avrebbe mai più rivista, insisteva perché prolungasse la durata della sua permanenza, ma lei rispondeva sempre molto male a quella proposta, diceva che non sarebbe scappata dal suo dovere, che era solo per non far insospettire suo padre se non era partita prima. Litigò con lui il giorno prima di partire, aveva cercato di sedurla per non farla partire, lei aveva reagito come una belva.

Lorenzo conosceva la situazione del suo regno, conosceva il piano e tutte le conseguenze possibili, lo sapeva già da molto tempo. Più si avvicinava il giorno della sua partenza e più si deprimeva, per quanto gli dicesse di non dar a vedere in giro che c’era qualcosa che non andava lui continuava imperterrito.

La notte prima della partenza di Aura arrivò. Aura aveva deciso di non vedere nessuno, aveva passato cinque anni in compagnia di quelle persone, aveva vissuto con loro dei momenti bellissimi. Non avrebbe voluto partire così, era difficile, come quando aveva abbandonato Napoli, ma doveva. La serata proseguì tra il controllo dei bagagli e la scrittura di lettere ai suoi compagni. Contro ogni aspettativa, la lettera alla quale si interessò di più fu quella per Clarice: le diceva di quanto la ritenesse forte, quanto aveva aiutato la famiglia Medici sposando Lorenzo e di quanto lui fosse fortunato ad avere una donna così al suo fianco. Prese un libro di incanti prima di riporre la lettera nella propria busta. Sapeva di aver creato molto disagio alla donna con il suo legame con Lorenzo, sapendo ciò che lui provava per lei, voleva farsi perdonare con un incanto benevolo, anche perché Lorenzo si era convinto che i suoi poteri fossero dovuti ad una grazia divina che voleva spingerla a fare del bene per il suo regno. Le faceva un po’ ridere questa strana convinzione, ma dopotutto era ciò in cui l’uomo e tutta la sua famiglia credevano. Ogni notte che passava con Lorenzo, anche se non ci aveva mai avuto un rapporto sessuale, pensava ai suoi figli, al fatto che lo stava sottraendo alla sua famiglia. Pensò a quanti incanti potesse fare per rendere felice la ragazza, allora decise di puntare tutto sulla figlia primogenita, Lucrezia. Pensò a cosa era davvero importante per Clarice, ma dovette mettere via le lettere e il libro quando sentì bussare alla porta.

<<Principessa, sono Lorenzo, vorrei bere un ultimo calice di vino con voi, se non vi dispiace>>

Aura si controllò velocemente in uno specchio, assicurandosi di non sembrare volgare o trasandata, o almeno sperando si essere presentabile. Dopo essersi specchiata più volte ed essersi sistemata i capelli con uno chignon, aprì la porta.

<<Che ne dici di un ultimo brindisi?>> le disse lui, guardandola negli occhi con un’espressione triste, che cercava di essere felice.

<<A cosa vorresti brindare?>> chiese lei, lasciandosi la porta alle spalle, che lui chiuse.

<<Alla tua vittoria, alla futura regina, ad un nostro futuro incontro…>> disse lui, porgendole il braccio <<Qualsiasi cosa proporrai>>

Lei annuì, afferrò il braccio dell’uomo e si avviò con lui nella sala banchetti. Camminando per le scale, pensò di chiedere a Lorenzo qualcosa che la moglie voleva davvero per la figlia, un desiderio aulico.

<<Lorenzo, c’è qualcosa che tu e Clarice sperate per il futuro di Lucrezia?>> chiese a brucia pelo.

<<Lei mi dice spesso che spera in un buon matrimonio per lei, sa che le donne solitamente sono usate come merce di scambio dai genitori>>

<<Com’è successo a lei>> commentò Aura.

<<Perché me lo hai chiesto?>>

<<Curiosità>> disse lei, riflettendo su qualche idea che le era venuta in mente.

Lorenzo spalancò la porta massiccia della stanza, mostrando davanti a loro una sala piena di persone urlanti. La luce delle candele era quasi come quella del sole, calda e avvolgente; il tavolo era gremito di cibo e bevande. Tutta la famiglia Medici abitante nella casa, il suo maestro, suo fratello, Botticelli e Poliziano. Erano tutti seduti attorno al tavolo, gli unici posti vuoti erano quelli dei due appena arrivati: Aura sedeva a capo tavola dal lato sinistro, da un lato aveva Vali e Rufus, sull’altro aveva Lucrezia, la madre di Lorenzo, e Clarice, con la piccola Lucrezia seduta sulle gambe. Appena li videro, tutti alzarono i bicchieri in alto, puntati verso di loro. Si sarebbero sentite le urla di accoglienza anche fuori Firenze.

<<Principessa, abbiamo pensato di organizzarvi una piccola festa di addio>> disse Lucrezia Tornabuoni, avvicinandosi alla ragazza.

<<O di arrivederci>> precisò il figlio, che intanto prendeva posto.

Aura andò a sedersi al posto che le era stato riservato, prendendosi un secondo prima di sedersi per ringraziare e avvertire tutti i presenti.

<<Vi ringrazio di cuore per tutto questo, anche per tutta la fiducia e l’amicizia che ci avete donato; spero che ci rivedremo presto, magari in circostanze migliori>> sorrise lei debolmente, guardando Lorenzo che sorrideva tristemente, conoscendo il piano <<Credo di dover iniziare io la serata, con il primo brindisi>> prese il calice pieno di buon viso leggero <<Allora, brindo ad un futuro più roseo e ad un incontro futuro in circostanze migliori>>

La ragazza alzò il calice, seguita da tutti i presenti, per poi buttare giù il suo contenuto in un solo sorso. La serata passò tra un bicchiere di vino e un boccone di carne, tra una chiacchiera e un augurio. Aura si trovò, dopo tanto penare, ad avere qualche secondo con Clarice.

<<Lucrezia è molto bella, assomiglia alla madre>> le disse, sorridendo guardando la bambina.

<<Un giorno avrete anche voi figli, principessa>>

<<Chiamatemi Aura, sono cinque anni che ve lo dico>> le disse, accarezzandole la spalla.

<<Sapete già chi sposerete?>>

<<Direi di no, sono sempre l’ultima a sapere le cose a palazzo>> scherzò.

<<Spero che farete un buon matrimonio>>

<<Sarà lui a doversi ritenere fortunato a stare accanto a me>>

<<Avete molta stima di voi stessa>> osservò la donna, distogliendo lo sguardo dalla figlia per guardare Aura.

<<Quando si è una donna in politica l’autostima è la cosa più importante, nessuno crede in noi, se non noi stesse>>

<<Magari avessi questa caratteristica, l’avrei potuta dare a mia figlia>>

<<Vi preoccupa molto il suo matrimonio?>>

<<Quando diventerete madre capirete, non voglio che mia figlia finisca come la maggior parte delle donne odierne>>

<<Capisco, magari le vostre preoccupazioni un giorno saranno mitigate>>

<<Non datemi false speranze>> disse, tenendosi le braccia e scuotendo desolarmente la testa.

<<Lorenzo è un uomo buono, se gli esprimerete le vostre preoccupazioni sono sicura che vi lascerà lo spazio che vi serve per aiutarlo nella scelta del marito pe vostra figlia>>

<<Credete?>>

<<Se pensavate che vostro marito avrebbe anteposto la politica a sua figlia e sua moglie, allora non conoscete il suo buon cuore>>

La donna annuì, senza sapere che aveva appena dato alla ragazza l’idea perfetta per quello che volevo fare. La notte proseguì così com’era iniziata.

Aura tornò in camera sua prima del termine della festa, era decisa ad incantare la piccola Medici per darle un dono che purtroppo la società non le garantiva. Prese una piccola boccetta di profumo bianco, iniziando a riscaldarlo, aggiungendoci man mano un infuso di more. Aveva trovato un incanto che faceva proprio al caso suo: la donna che portava il bacio di Era avrebbe attirato a se un matrimonio sano e fedele, una grande fertilità e un’enorme bellezza. Le sembrava perfetto. Iniziò a recitare l’incanto, in greco mischiato al latino. In sintesi l’incanto era formato da un’invocazione in greco, una richiesta in latino e una chiusura ripetuta prima in greco e poi in latino.

<<Eugenes Hera, prostatis tou gamou: gia tin oikogrneia kai tin pisti, se timò kai se kalei>>

-Nobile Hera, protettrice del matrimonio: per la famiglia e la fedeltà, io ti onoro e ti invoco-

<<Est puer tuus indiget mulieris osculum, benedicat Lucretia di Laurentius Medices ut fruar accepit benedictionem tuam>>

-C’è una giovane che ha bisogno del tuo bacio, benedici Lucrezia di Lorenzo de’ Medici affinchè goda della tua benedizione-

<<Ego gloriam et gratias ago tibi>> disse prima in latino <<Se timo kai se efcharisto>> poi in greco.

-Ti onoro e ti ringrazio-

Dopodichè baciò la boccetta lasciandovi l’impronta delle sue labbra, che incantata da quella magia rimase impressa indelebilmente sul vetro, di un colore simile al rosso del vino. Prese la boccetta e la nascose nel vestito, per poi uscire dala sua stanza, per andare in quella dove dormiva la piccola Lucrezia. La porta era socchiusa, doveva fare piano, si erano appena addormenti tutti e i genitori dormivano nella stanza accanto. Fece scorrere le dita sulla porta per spingerla ad aprirsi, mentre con l’altra mano sollevava di qualche millimetro la porta per non fare rumore. Entrò nella stanza e bagnò la bambina di alcune gocce di liquido, poi mise la boccetta sotto il cuscino e corse silenziosamente in camera, dove terminò la stesura delle lettere.


Il mattino dopo, alle prime luci dell’alba, si sentì un terribile urlo che squarciò il silenzio della casa, facendo accorrere tutti nella sua direzione. Il primo ad arrivare fu Vali, con dietro Rufus. Una delle serve era caduta all’indietro, rovesciando il vassoio in terra. I presenti si affacciarono alla stanza incuriositi e spaventati: al suo interno, steso sul letto come una mummia, vi era il corpo esamine della principessa Aura, ancora con gli occhi spalancati.

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