Capitolo 56

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Il viaggio era stato lungo, lento e stancante come avevano previsto. I due giorni e la notte più angosciante delle vite di quelle persone. Ma era felice di tornare a cavalcare la sua adorata Milìta, non intraprendeva un’avventura con lei da molto tempo. Abituata alle prodezze e alle marce forzate della principessa, questo viaggio era uno scherzo per la cavalla dal manto del colore dell’oblio. Si fermarono per la notte poco lontano la città di Alistar, dove c’era una fitta foresta di sempreverdi adatta a nascondere quel plotone. Yar aveva detto ad Aura di portare con sé qualche gioiello, se le erano rimasti. Lei aveva portato una collana d’oro e un bracciale in madreperla, gli ultimi gioielli rimasti che avrebbe venduto. Quando Yar glieli chiese, glieli diede seguendolo per capire cosa volesse farci. Il corvino radunò un gruppetto di ragazzi che doveva aver già radunato in precedenza, tre maschi e una ragazza. Fece indossare la collana alla ragazza, dicendole di dire che era un regalo di famiglia per il suo matrimonio e che purtroppo suo marito era deceduto lasciandola in mezzo ad una strada a fare la puttana. Le fece indossare una gonna stracciata e un corsetto. A quanto pare si erano già organizzati. Ai ragazzi diede il bracciale, dicendo loro di andare nella locanda tra il macellaio e il fabbro a fingere di ubriacarsi, il proprietario li avrebbe assecondati con dell’acqua. Uno di loro doveva fingere di comprare la ragazza con il bracciale, mentre gli altri due bevevano con i soldati e raccontavano come l’amico avrebbe rubato la collana della puttana e non le avrebbe dato niente. Avrebbero guadagnato la stima dei soldati ubriachi e misogeni e avrebbero avuto più possibilità di farli parlare. Per ora i soldati erano ancora pochi, ma comunque abbastanza per far preoccupare Aura nel mandare quattro ragazzi poco più giovani di lei in missione. Anche se, a quanto pare, si erano preparati già prima di partire. Chiese a Yar perché non l’aveva messa al corrente del piano, perché sembrava che le avesse dato un ordine come se lei fosse una del suo manipolo di scagnozzi pronti ad ogni prodezza uscisse dalle sue labbra. Lei era la futura regina, lui non poteva comportarsi come voleva durante una mossa tanto pericolosa come l’attacco alle truppe di Manislav. Alla mattina, i ragazzi tornarono completamente sobri, quindi almeno erano rimasti vigili e professionali. Raccontarono di aver scoperto di un traffico di prostitute gestito niente di meno dal consigliere Anghel: i soldati giravano per le città, rapivano belle ragazze poco più che quattordicenni e le portavano negli accampamenti, dove fungevano da svago sessuale per tutti coloro che volessero approfittarne; il generale incaricato di ucciderle appena diventavano troppo stancanti o vecchie o se si ammalavano era proprio Manislav. Ad Aura avrebbe fatto ancora più piacere ucciderlo. “È mio!” fu l’unica cosa che disse, prima di montare in sella alla sua cavalla.

Il viaggio continuò fino al tramonto di quel giorno, quando finalmente raggiunsero Ludringa. Aggirarono la città ad almeno cinque miglia di distanza, preoccupati di essere avvistati dalle guardie. Raggiunsero il bosco quando gli ultimi bagliori di luce scomparvero all’orizzonte. Si sentiva lo scrosciare del fiume, era così rilassante e allo stesso tempo così terrificante. Si accamparono, cercando di costruire tende di fortuna. Ma c’era comunque chi, come Aura, preferiva dormire appoggiata alla sua cavalla: non era la prima volta che lo faceva, questo le aveva dato un senso di sicurezza quando avevano viaggiato da sole da Firenze alla foresta delle moar, cercava la stessa sensazione adesso. Poi c’era chi dormiva appoggiato ad un albero, come Yar e Jude, o chi preferiva gli spazzi vuoti sui carretti, tra armi e cibo, come Uline e Joseph. Quella sera fu senza turni di guardia, dormirono tutti, ma l’atmosfera era talmente tesa che se un pesce avesse tentato un’acrobazia nel fiume, sarebbero scattati tutti in piedi.

Si svegliarono con il rumore dei grilli, segno che era l’alba. Il freddo e l’umidità della notte si fecero sentire subito, chi aveva dormito fuori da quelle tende di fortuna o senza qualcosa a coprirli si ritrovò intorpidito e con una sensazione di tremore. Quando furono tutti svegli, Aura disse di accendere diversi fuochi, stando attenti a non causare un incendio.

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