Capitolo 30

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Il viaggio era stato lungo, struggente, faticoso e solitario. Più volte aveva portato lei e la sua cavalla al limite della resistenza per passare le campagne, le montagne e le acque in meno tempo possibile. Avevano mangiato pochissimo in quei cinque giorni, così come il bere, per non fermarsi in troppi villaggi. Viaggiavano ancora camuffate, una come una guardia fiorentina e l’altra come un normale cavallo tutto nero. Avrebbero dovuto aggirare gran parte del regno ed entrare dalla foresta delle moar, per non essere notata dai soldati, ma era estremamente pericoloso. In quella foresta venivano addestrati i soldati reali, che sopportavano il freddo infernale della foresta, il buio più profondo, la fame e la sete data l’aridità della foresta; di sicuro c’era dell’altro, i soldati tornavano traumatizzati, diversi. Rufus diceva che chi entra nella foresta delle moar perde quella luce negli occhi, segno di vita e speranza. Sarebbe stato un viaggio emozionante.

Arrivò ai confini del regno, ma si tenne a distanza, avrebbero cavalcato dietro la prima fila di alberi che riusciva a tenerla nascosta. Vedeva un cumulo di guardie armate lungo i confini, Milìta si era agitata appena li aveva visti.

<<Non preoccuparti, finchè ci teniamo dietro questi alberi non possono vederci>> disse alla cavalla continuando la corsa più velocemente possibile.

Quando Aura alzò lo sguardo verso le mura, vide che le guardie che c’erano pochi secondi prima erano sparite, girò lo sguardo più a sud e sgranò gli occhi, una ventina di cavalli si stavano avvicinando.

<<Facciamo che sto zitta la prossima volta>> disse spronando la cavalla ad andare più veloce <<Come hanno fatto a notarci?>> chiese, quasi sperando che l’animale le desse una risposta.

Continuò la cavalcata estrema, continuarono per chilometri, c’erano momenti in cui non vedeva più gli inseguitori e momenti in cui le sembravano estremamente vicini, ma non era ancora riuscita a capacitarsi che l’avessero vista. Come avevano fatto da quella distanza, con gli alberi davanti e senza la luce del sole?

<<Milìta, credo di capere chi abbiamo alle calcagna>> disse voltandosi ancora, per dare uno sguardo veloce al gruppo che le inseguiva imperterrito <<O meglio, cosa>> si voltò e deviò la corsa verso la laguna fangosa che c’era a pochi minuti da lì <<Abbiamo a che fare ancora una volta con i Caini Orbi>>

La laguna si stagliava davanti a loro, con le sue rive fangose e puzzolenti. Milìta si rifiutava di mettere zoccolo nel fango, ma Aura ce la spinse a forza, scendendo da cavallo per trascinarla. Entrarono lentamente nell’acqua fredda, camminando finchè l’acqua non era fin sopra le loro teste e li copriva. Da quel misero centimetro sott’acqua, poteva ancora vedere i mostri affollare le rive, confusi dai diversi odori del posto, mentre si voltavano in svariate direzioni prima di voltarsi per tornare indietro. Tennero il respiro per quasi due minuti, altri pochi secondi e avrebbero ceduto. Alzarono di poco la testa dall’acqua, giusto per respirare, i Caini se ne erano andati.

Uscirono dall’acqua. Milìta si dimenò vigorosamente, bagnando ancora di più la ragazza, cosa che fece tanto ridere l’animale. La sua criniera, così come la sua coda, era tornata bianca e adesso le striature argentee si vedevano ancora di più.

<<Menomale che siamo arrivate, non ho più pece con me e non penso gradiresti il fango>> disse lei, disfandosi di tutto quel pesante costume che aveva dovuto tenere per così tanto tempo.

La paglia e le stoffe, fortunatamente, avevano tenuto asciutti i suoi vestiti. Si rimise a cavallo, senza aspettare che il vento asciugasse l’animale, e la spronò a ripartire.

<<Potrai pulirti gli zoccoli quando torneremo sull’erba>> le disse, vedendo che continuava a divincolare gli zoccoli sporchi.

Cavalcarono ancora per qualche miglio prima di raggiungere il confine con la foresta delle moar. In quel periodo non avrebbero dovuto esserci guardie o soldati in addestramento, sperava che il re non avesse deciso di porre l’esercito o di alzare un muro al suo confine interno. Rimasero ferma, senza fare né un passo in avanti né indietro, come paralizzate.

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