Capitolo 54

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Decisero di iniziare l’evaquazione del regno quella sera stessa. Appena arrivò il tramonto, i ribelli uscirono dal regno per scortare le persone e i loro pochi averi, approfittando delle tenebre. Molti ribelli, ma anche cittadini, si erano preoccupati di chiedere dove avrebbero vissuto dopo l’attacco. Aura, sotto consiglio di Rufus, aveva già pensato a tutto: avevano già iniziato i lavori per scavare quattro tunnel in più, in modo da ospitare tutti gli abitanti del borgo. Stavano per uscire, lei, Vali ed Uline, scortati da Yar e Joseph. La pozione scudo della rossa poteva bastare a malapena per i tre attaccanti, per questo Yar e Joseph avrebbero avuto venti minuti per allontanarsi il più possibile. Mentre camminavano nella radura arida e fredda, con il tipico vento autunnale che lambiva i loro colli e faceva ballare i loro capelli, iniziarono a parlare ma, come sempre, l’argomento era tutt’altro che incoraggiante.

<<Raderemo al suolo le loro case, sicuramente non sarà il primo villaggio a soccombere a causa della rivoluzione>> parlottò Yar, riferendosi alle case del borgo.

<<Le ricostruiremo, con i soldi della corona, con l’appoggio del popolo>> disse speranzoso Vali.

<<Se non vinciamo questa guerra, non ricostruiremo niente>> disse seria Aura <<Pensiamo a portare a termine quello che stiamo facendo, solo così garantiremo la pace a quelle persone>>

<<Allora diamoci da fare, non voglio tirarla per le lunghe>> parlò Joseph <<Non vedo l’ora di ubriacarmi nella sala del trono con la mia regina>>

Yar, sentendo quelle parole, venne preso da un altro impulso di gelosia ed afferrò la pistola, stringendo il calce tanto da avere le nocche bianche. Vali, che camminava un passo dietro il ragazzo, poggiò la mano sulla sua e la tolse dalla pistola, sussurrandogli di calmarsi se non voleva litigare ancora con Aura. Continuarono a camminare, mentre Joseph e Vali decantavano le loro speranze per il futuro della Romania, il biondo voleva persino cambiare il nome al borgo, anche se non sapeva se ne avesse realmente uno. Pensava a qualcosa che marchiasse il valore del regno attraverso il nome della capitale, qualcosa che riprendesse la gloria ddegli antichi.

Quando arrivarono a pochi metri dalle mura, trovarono Mickey ad aspettarli. L’uomo era rimasto solo per avvertirli che il borgo era sgombero, avevano preso anche del legno integro e del ferro non arrugginito dalle case che sarebbero state rase al suolo. Se ne andò con i due ragazzi, Joseph fu l’ultimo a lasciarli, tenendo stretta la mano di Aura mentre entrambi guardavano le mura, quei colossi che sarebbero scomparsi a breve. Odiava la sensazione di impotenza, dover lasciare i tre da soli era una scossa di terremoto che attraversava il suo corpo. Quando se ne andarono, Aura attivò la clessidra.
Quando i venti minuti furono passati e l’ultimo granello di sabbia sceso, avvistarono un fumo in lontanaza: il segnale che erano usciti dal borgo. Uline diede ad entrambi una boccetta di liquido blu, bevvero tutta la pozione in un solo sorso, come fosse alcool. Aura riconobbe un sapore familiare, un sapore che le ricordava Firenze: vino di campagna.

<<Sa di vino campagnolo>> riflettè ad alta voce.

<<Ti sbagli, sa di spremuta d’arancia>> replicò il biondo.

<<Avete ragione entrambi>> rispose Uline, mandando giù la sua boccetta <<La pozione usa il sapore dei momenti felici per proteggerci>>

Aura aveva bevuto vino fiorentino in ogni momento importante della sua vita: a Roma, dopo aver stipulato l’accordo con il Papa e il re di Francia, insieme a Lorenzo; a Firenze, all’arrivo di Yar e alla festa di paese; al rifugio, dopo che aveva salvato suo figlio e la sera prima, insieme a suo fratello e al maestro. Vali era meno legato al vino, a lui piaceva il gusto asprò e dolce allo stesso tempo dell’arancia: quando avevano avuto la notizia del fallimento dei Caini Orbi a Roma; quando aveva brindato con i Medici alla festa popolana; quando aveva visto suo sorella scappare da palazzo dopo aver rubato il cuore di Valva, capendo che era sana e salva; la mattina dopo essere stato con Cayl; quando aveva tenuto in braccio suo nipote; per brindare con Aura al rifugio. Uline, anche se non lo avrebbe mai detto, collegava il sapore delle more e del tè d’alloro ai suoi momenti felici, l’ultima colazione con sua madre.

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