Capitolo 33

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La ragazza dai capelli rossi uscì dalla stanza per tornare nel salone, dove tutti l'attendevano guardandola insistentemente. Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al centro della stanza.

<<Adesso spetta a lei>> disse <<Mettiamoci a lavoro per farla ritornare>>

Non appena aveva chiuso gli occhi, si era sentita cadere tra le nuvole. Il freddo le toccava l'anima, raschiava nella pelle. Le girava la testa, stava per entrare nel primo regno dei morti, per la prima volta; faceva uno strano effetto. Sentiva ogni pezzo del suo corpo divenire aria, aria irrespirabile e ancora più fredda. Pian piano che cadeva si sentiva più leggera, la mente si liberava, ma continuava a girare. Atterrò sulla riva di un fiume dalle acque nere e urlanti, urla femminili. Il Mamele Raului, il fiume delle madri, secondo la leggenda veniva alimentato dalle lacrime e dalle urla di disperazione delle madri che avevano perso i loro bambini. Il solo stare nelle vicinanze di quelle acque le incuteva un senso d'angoscia immane, gli occhi iniziavano a pizzicare, irritati dalle nubi che si sollevavano dal fiume. La leggenda raccontava che, dopo tre giorni dalla morte, i bambini vengono immersi completamente nel corso dalla Valva Negra detentrice delle anime del limbo; in questo modo i bambini venivano legati al limbo e non potevano più abbandonarlo, così come il pensiero della loro morte avrebbe assillato in eterno le madri. La maggior parte di quei bambini era morta di fame o di freddo, quelli assassinati dalle madri venivano spediti nel turbine d'odio, generato dallo sbattere delle ali delle furie infernali.

La prima cosa che doveva fare era trovare il fiore perduto per farlo annusare al bambino. Il fiore era una sorta di incrocio tra il giglio e la rosa: il corpo color dell'oscurità pieno di spine, i petali bianchi e brillanti incastrati e aperti verso il fuori come il labirinto di Dedalo. Il fiore cresceva proprio sulle rive del Mamele Raului, alimentato dall'amore delle madri.

Si alzò in piedi, scrollandosi di dosso la polvere. Iniziò a vagare per la riva, ma di fiori non ne vedeva nemmeno uno. Continuò a camminare, vide in lontananza una luce fioca bianca. Si avvicinò alla luce strisciando i piedi per terra, quel luogo le metteva tanta pressione addosso, come un carico per un mulo. La stanchezza si faceva sentire subito, troppo presto. Continuando a camminare arrivò a vedere la fonte di quella piccola luce: i fiori perduti. Si avvicinò ancora di più, trovandosi davanti un'intera pianura in cui crescevano i fiori. Nonostante la quantità dei fiori, la luce era davvero poca.

<<Perché la luce è così misera per così tanti fiori?>> si chiese la ragazza.

<<Perché l'oscurità di questo luogo supera la loro luce>>

La principessa si voltò di scatto, alzando lo sguardo in aria per ammirare una figura femminile dalla pelle rossastra e minime vesti nere: la Valva Negra. Le sue forme erano molto in vista, i suoi capelli ondulati come il mare e neri come l'inchiostro fluttuavano insieme a lei, i suoi occhi di un verde luminoso fissavano la ragazza davanti a lei come fosse incuriosita, i suoi stivaloni erano lunghi fino al ginocchio dai tacchi altissimi.

<<Perdonatemi, non mi sono presentata>> disse la ragazza atterrando <<Mi chiamo Ashaja>>

Non le tese la mano, ma un tentacolo di piovra si allungò dalla sua gonna fino a stritolare la mano della principessa. Quando la lasciò andare aveva i segni delle ventose sul palmo.

<<Che...?>> iniziò lei.

<<Sono qui per te, stupida!>> affermò la Valva, sembrando quasi delusa dalla semi domanda della ragazza <<Si vocifera di te, tra noi custodi>>

<<Perché? Che si dice?>> si era messa sulla difensiva, allungò la mano verso la parte inferiore e posteriore della schiena, lato destro, dove di solito portava il pugnale, ma si ricordò presto di essere tra i morti e che lì c'era solo la sua anima.

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