CAPITOLO 26

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«Attento alla testa!»

Esclamo, ma ormai è troppo tardi. Un forte rumore nel buio mi fa socchiudere gli occhi in una smorfia di dolore.

«Cazzo!»

Borbotta Jonathan allontanandosi dal letto.

«Si è svegliata?»

Domanda guardandomi nella penombra della stanza.

«Credo di no... Con la botta in testa che si è presa credo che dormirà fino alla settimana prossima...»

Mormoro trattenedo a stento le risate. Per tutta risponde lui sbuffa ed esce dalla stanza. Lo seguo richiudendo la porta dietro di me.

«Non si ricorderà niente, tranquillo, dopotutto con quella botta...»

Scoppio a ridere piano mentre lui mi guarda male.

«Non riuscivo a vedere niente e tu non volevi accedere la luce per paura di svegliarla!»

Esclama Jonathan sollevando le braccia con fare sconvolto.
Continuo a ridere di gusto mentre il rumore si ripete nella mia testa in un loop infinito.

«È meglio che andiamo...»

Sussurra sorridendo. Lo seguo fuori dal portone, e, in silenzio, scendiamo le scale fino ad arrivare davanti alla portineria. Dopo che Jonathan, con un certo imbarazzo, spiega la situazione al portiere che prende in consegna le chiavi dell'appartamento, usciamo dal palazzo. L'aria fuori è fredda, mentre il cielo nuvoloso minaccia di far piovere da un momento all'altro.

«Bene, allora io vado...»

Dico evitando il suo sguardo, una volta arrivati vicino alla mia macchina.

«Sì...»

Mormora lui rivolgendomi un sorriso tirato e visibilmente malinconico.

«Sei sicuro che il taxi-»
«Non ti preoccupare.»

Mi interrompe aprendo la portiera ed aiutandomi a salire in auto. Una volta dentro sposto il mio sguardo nel suo. Non mi ricordavo più di come con il buio i suoi occhi, di un azzurro simile al ghiaccio, si illuminassero come due fari bellissimi. Già, non me lo ricordavo più, ma so che mi mancano.

«Ok allora, grazie per l'aiuto... sinceramente non so come avrei fatto senza di voi.»

Gli sorrido sinceramente grata che nonostante tutto sia venuto ad aiutarmi.
Lui mi sorride, questa volta sul serio, sventolando leggermente la mano in segno di saluto.

«Non ti preoccupare, notte Lilia... Abbi cura di te.»

Sussurra allontanando di qualche passo dall'auto e salutandomi un'ultima volta con un cenno della mano. Prima di mettere in moto e partire mi soffermo qualche secondo a vedere la sua espressione. È difficile da decifrazione, dopotutto tutte le sue espressione sono per lo più incomprensibili, ma questa volta lo è ancora di più. L'unica nota, tra le tante altre, che riesco a cogliere è quella di una profonda tristezza, una di quelle che ti opprimono il cuore fino a schiacciarlo e per il quale non ci puoi fare niente.
Cercando di riportare l'attenzione sulla strada parto verso casa.

«Lilia, che diamine ti prende?»

Borbotto tra me e me maledicendomi.

«Perché dici di odiare i controsensi, ma tu stessa ne sei un esempio lampante?»

Continuo cercando di cancellare la sua immagine dalla testa.

«Ci siamo promesse che le cose non sarebbero più tornate come prima, ma ora tu, cioè io, cioè... Ah, insomma, noi stiamo facendo questa cosa, lo guardiamo e-e ci piace e-e... No. Questa cosa deve finire sul nascere.»

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