Capitolo IV - («Io vorrei...) Non vorrei, ma se vuoi»*

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Mercoledì


«Andiamo, non può essere vero! Come cazzo è possibile? Non se ne parla nemmeno! Io non la voglio tra i piedi, né ora né mai!» sbottai, mosso dall'irrefrenabile istinto di sbarazzarmi di un'assai scomoda presenza. Di quella scomoda presenza.

Ryan Vermut storse il naso e arricciò le labbra, regalandomi un'occhiataccia di sommo rimprovero. Soltanto in quel fottutissimo, terribile momento mi accorsi di aver perso del tutto il controllo della situazione e, non da ultimo... di aver sbroccato senza alcun riguardo contro il direttore responsabile del Ciak, si gira! e altri, innumerevoli periodici di settore. Quel mercoledì mattina era iniziato proprio male. Terribilmente male. «Mi scusi tanto, signor Vermut, è solo che...» farfugliai, in un maldestro tentativo di smorzare il fuoco che avevo aizzato con una stupida ammenda. Quelle profetiche parole mi morirono letteralmente in gola. Stavo consumandomi da una rabbia cieca ma, al tempo stesso, sapevo benissimo di non potermi opporre in alcun modo alla volontà del direttore.

Ryan inforcò gli occhiali da vista, senza smettere di scrutarmi. Poi, come suo solito, incrociò le braccia e se ne stette in silenzio per un paio di minuti. Esaminai l'espressione di sonoro ammonimento che campeggiava sul suo viso smunto, gli occhi infossati eppure lucenti, carichi di un'energia che contrastava del tutto con l'avanzare dell'età, testimoniata dalle rughe profonde che solcavano gli angoli degli occhi azzurri e della bocca, sottile come il gambetto di un piccolo fiore. «Non accetto un no come risposta, signorino Malcom. Il tuo comportamento, devo ammetterlo, mi ha lasciato non poco perplesso e mi ha altrettanto deluso. Che fine ha fatto la tua professionalità? Sei stato il miglior caporedattore che io abbia mai avuto, ti ho assunto in quest'azienda che eri ancora un adolescente in piena crisi d'identità, almeno per certe questioni, sei stato l'unica – e dico l'unica! – persona cui io abbia concesso di darmi del tu dopo soltanto un paio d'anni di servizio. Insomma, ti ho concesso tutte le opportunità di crescita di questo mondo, e ora... Vorresti farmi credere che ti senti minacciato? Da una donna, per giunta? Andiamo, non sei per nulla credibile! Per carità, lungi da me dal fare commenti sessisti, la signorina Rossi vanta una certa esperienza nel settore, è una ragazza molto in gamba. Ma lo sei anche tu, conosco bene il tuo operato! Per quale motivo non vuoi buttarti in questa nuova avventura?»

Deglutii a fatica nell'istante in cui sentii quella parola. Avventura. In un momento, immaginai di scaricare la passione che mi portavo dentro e di avventarmi sulle labbra di quella Megan, di palpare sfacciatamente ogni angolo del suo corpo. Di avventurarmi con lei sulle note di un qualcosa che, almeno da un lato, avrei voluto reprimere con tutte le mie forze, ma che dall'altro bramavo sin dal momento stesso in cui il mio sguardo si era posato sulla sua armoniosa figura. In realtà, avevo provato sensazioni contrastanti durante quella serata. La prima di una lunga seria. Vederla aggirarsi in quel di Firenze mi aveva impressionato, aveva scatenato in me uno sconvolgente turbinio composto da un qualcosa che tuttora non sapevo definire. La sua indiscutibile bellezza mi aveva colpito, ma non potevo dire lo stesso del suo sguardo. In quello sguardo percepivo un qualcosa di vagamente familiare. Quello sguardo aveva dipanato ogni certezza, provocando in me un improvviso susseguirsi di domande che cercavo di ignorare da non so quanto tempo.
Non volevo ripensarci, non volevo ricascarci. Da quel giorno, però... nulla era stato più lo stesso. Alzai di nuovo il capo. «D'accordo, Ryan. D'accordo... accetterò di collaborare con quella Megan», sospirai, rassegnato.

Gli occhi del mio interlocutore s'illuminarono all'istante. «Benissimo, così ti voglio! Caparbio, determinato e... sempre a caccia di notizie! Sono sicuro che ne uscirà fuori un capolavoro! Tu e la Rossi farete un lavoro eccellente, me lo sento», sputò, ormai del tutto infervorato. «Avanti, che la tua bella ti sta aspettando nell'atrio.»

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