Capitolo II - Attesa Inerte

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Indugiai sulla soglia. Ancora una volta, trassi un lungo respiro e guardai l'orologio. Come di consueto, mi attendeva un'estenuante giornata di lavoro e sarei stato sin troppo contento se nessuno mi avesse rotto le uova nel paniere, per non dire altre parole. Aprii di scatto la porta del mio ufficio e mi guardai attorno con fare circospetto. Sembrava che tutto fosse rimasto al suo posto. Mi abbandonai a uno sbuffo sollevato. Il mio vecchio portatile, la mia fidata pila di romanzi thriller sulla scrivania, la preziosa raccolta di CD sui Caldera* e mille altri gruppi fusion e hard rock disposti ordinatamente sulla piccola vetrina alla mia destra. Le bozze dei miei articoli, pronte per essere...

«Cazzo!» imprecai, a mezza voce. «Dove sono finite le mie bozze?» Esaminai i cassetti dello scrittoio in preda a una spasmodica ansia, quindi li richiusi. Dopo un attimo di smarrimento, strinsi i pugni, sbattendoli l'uno contro l'altro. Alzai gli occhi al cielo. «Aaargh! Michelle!»

In fretta e furia, mi avviai verso l'ufficio di quella donna. Senza premurarmi di bussare – a mio rischio e pericolo, perché quella mina vagante ne sapeva una più del diavolo – spalancai la porta del suo studio. Un sorriso strafottente mi accolse, insieme a una manciata di carte tenute sospese a mezz'aria. Quella manciata di carte. «Cercavi queste?» domandò, inscenando fittizia innocenza.

«Tra qualche ora devo farli uscire! Dai, dammi qua!» Allungai la mano per afferrare quella busta, ma lei fu assai più rapida e se li mise dietro la schiena, scuotendo la testa. Le gambe accavallate – parzialmente fasciate da una gonna nera super aderente –, la camicetta semiaperta che lasciava intravedere un reggiseno in pizzo del medesimo colore, ospitante un seno molto generoso. Digrignai i denti. Che volesse provocare il sottoscritto era più che evidente. Come tutte le mattine, del resto. «Forza, signorina Pantano. Mi dia quelle bozze. Immediatamente», sottolineai, facendo appello a una severità che, pur essendo il mio marchio di fabbrica, da un po' di tempo non sentivo più mia.

L'altra si leccò le labbra. Avevo sempre pensato che quel rossetto – di un colore sin troppo vivo – fosse un pugno in un occhio. «Altrimenti cosa mi fai, si può sapere?»

«Nulla che tu vorresti, te lo posso assicurare», ribattei, per nulla colpito dal suo atteggiamento malizioso, per non dire infantile. Non la sopportavo proprio. «Mettiti a lavorare, piuttosto», la redarguii. Mi avvicinai a lei per riprendere quei benedetti fogli, ma la cara Michelle roteò verso destra, poi di nuovo a sinistra, quindi ancora sulla destra. Ah, quella sedia girevole! L'avrei volentieri scaraventata addosso al muro, rompendola in mille pezzi. «Ti sto facendo girare la testa, non è così? Anche se mi piacerebbe molto fartela girare... in un altro modo, non so se mi spiego... lavorare su di te sarebbe il mio sogno proibito, sai?»

Dopo qualche secondo di lotta libera, facendo attenzione che le mie mani non si posassero per errore su luoghi piuttosto sensibili, riuscii a vincere l'ardua partita. Mi passai una mano tra i capelli scombinati. «Attenta a quello che dici, Michelle. Questo posto è fatto per lavorare, non certo per fantasticare sui tuoi colleghi.»

Michelle mise su il broncio. «Così mi offendi, però! A titolo informativo, mi piace fantasticare su di te, Malcom. E solo su di te», replicò lei, alzandosi in piedi. La guardai dall'alto in basso. Quel tacco dodici la faceva sembrare un lampione. Anzi, un'autostrada lunga due metri. Mi allontanai immediatamente, onde evitare che si attaccasse al sottoscritto come una cozza su uno scoglio. «Devo scappare, Michelle. Stammi bene, okay?»

Facendo attenzione a tenere ben stretti i miei appunti, accennai un saluto distratto e richiusi la porta dietro di me. Ogni volta che entravo nel suo studio mi girava la testa. Sulla sua scrivania sembrava fosse successo un quarantotto. Era strapiena di dossier inutili, scontrini della spesa piuttosto datati e... persino qualche libercolo dal contenuto vietato ai minori. Mi rassettai la cravatta grigia. La mia giornata era appena cominciata e io già mi sentivo un morto vivente. Bene così, mi dissi, tornando, a passo stanco, nel mio ufficio.

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