Capitolo XIX - Non Posso Più Volare

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Mercoledì


Affogai per ben due ore in un mare di fumo. Il mio mare. Per l'ennesima volta, aspirai a tutta forza il filtro della mia fidata sigaretta, ma lo stato di stress in cui riversavo non accennava a placarsi. La verità è che non riuscivo ancora a crederci. Non riuscivo proprio a credere che fosse capitato a me. Che mi fossi fatto fregare in quel modo. Che avessi aperto il mio cuore più del dovuto a una donna che non lo meritava. Che ci avessi fatto persino l'amore.
Ero stato un vero idiota.
Estrassi il cellulare dalla tasca, senza un valido motivo. Ritrovarmi solo soletto nella hall come un pezzente non rientrava nei miei piani. Mi sentivo come se mi avessero sbattuto fuori dalla mia comfort zone, mi sentivo un derelitto. Sfarzosi lucernari, divani Chesterfield – il cui nome, tra l'altro, mi ricordava un marchio di sigarette che acquistavo ben volentieri –, pavimenti in parquet. Tutto, intorno a me, risplendeva di luce. Mentre io mi sentivo spento come non mai. Ma una focosa rabbia mi accendeva. E continuava ad alimentare una pericolosa fiamma dentro di me. 

Nell'istante in cui avevo spento l'ennesima sigaretta, avevo riconsegnato la card al receptionista e avevo detto addio a quell'albergo dal gusto squisitamente fiorentino. Poi, avevo cercato delle informazioni sul conto di Megan Rossi. Lavorava nella redazione del suo stesso padre. Ma qualcosa mi diceva che non si sarebbe fatta trovare tanto facilmente. Provai a richiamare, coltivando la piccola speranza che mi rispondesse il caporedattore della testata di cui Megan era responsabile.

«Pronto?»

«Ehm... buongiorno, signor Baldini. Potrei chiederle gentilmente se Megan Rossi è in servizio oggi? Io sarei un suo collega.»

«Veramente no. Ha chiesto una settimana di aspettativa. Ieri mattina, però, ha fatto capolino nel suo ufficio per scrivere e pubblicare un articolo.»

Sorrisi, amaro. Sapevo benissimo di cosa stesse parlando. Megan l'aveva fatto davvero. Non c'era più alcun dubbio. «Per caso le ha detto dove andava?»

«Purtroppo no, mi dispiace.»

«D'accordo, la ringrazio. Buona giornata.»

«A lei.»

Richiusi il telefono e sospirai. Per me, quella giornata sarebbe stata tutt'altro che buona. Dove potevo rintracciare Megan?
Decisi di giocare a carte scoperte. Ripresi il cellulare e digitai il suo numero, cliccando quei tasti con rinnovata energia. Dopo un paio di squilli, partì la segreteria. «Vigliacca del cazzo!»

Decisi di mandarle un messaggio via WhatsApp. Non contento, gliene mandai anche uno tradizionale. 

Ti devo parlare. Potresti dirmi dove ti sei cacciata?  

Il Diavolo veste Prada 2.

Mi firmai in quel modo perché non volevo assolutamente che lei mi considerasse un idiota. Io, a differenza di lei, avevo le palle. E non mi riferivo certo a quelle palle.

Dopo qualche minuto, sorprendentemente, ricevetti risposta. 

Sono nel tuo ufficio. Ti aspetto qui.

Nel mio ufficio? Quella poco di buono nel mio ufficio?! Decisi di chiamare un taxi seduta stante, quindi raggiunsi l'aeroporto. Presi il primo volo disponibile per Los Angeles. Senza fiatare, mi ritrovai a guardare il paesaggio fuori dal finestrino circolare del velivolo. Sarebbe stato così semplice se lei non mi avesse lasciato. O se anche io avessi lasciato questo mondo. Vivere senza di lei era stato dissacrante, e chissà quanto altro inferno mi aspettava. Il colpo infertomi da Megan era stato davvero forte. Mi aveva messo completamente k.o. Perché dal momento esatto in cui l'avevo conosciuta, tutti i miei dèmoni erano tornati a farmi visita. Melissa era tornata a farmi visita. Lei non se ne era mai andata. Si trovava ancora lì, dentro al mio cuore spezzato. E forse, stavo ancora vivendo solo per lei.

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