Capitolo VIII - Non Tutto è Come Sembra

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Lunedì


«Non ti azzardare a toccarmi!», sbraitò Megan non appena entrati in camera.

«E tu non ti azzardare a contaminare il mio spirito libero, brutta misandra che non sei altro!»

L'altra rimase a bocca aperta, ma io non ritirai quello che avevo detto. Ero certo che Megan odiasse profondamente il genere maschile e, tutto d'un colpo, quasi pensai che non avesse avuto la benché minima esperienza in campo amoroso. Com'era possibile provare tutta quell'avversione nei confronti di un uomo? Non riuscivo proprio a spiegarmelo. Forse, se fossi stato un altro soggetto, la Rossi si sarebbe comportata diversamente? Chiaramente, non sapevo rispondere nemmeno a questo. Per me, quella donna era davvero un mistero. Anzi, Il Mistero. Quel mistero che, io per primo, avrei voluto scoprire a tutti i costi, dissotterrare da quella spessa coltre di pregiudizi che lei stessa aveva issato contro il sottoscritto. Una parte di me avrebbe voluto abbracciarla forte, sussurrarle che sì, ero un fottuto uomo che metteva la passione al centro di qualsiasi cosa ma che, nonostante tutto, nonostante la facciata da perfetto casanova, non era – e non sarebbe mai stato – un animale assetato di sesso.

Pur essendo senza freni, mi assicuravo sempre che la donna di turno mi desiderasse con tutta se stessa tanto quanto la desideravo io. E mi sottomettevo persino alle loro richieste, pur di accontentare la loro brama di possedere il mio corpo ero disposto a tutto. E, alla fine dei conti, mostravo comunque un certo riguardo nei confronti delle donne. Benché le sfruttassi per mio personale piacere, non avevo mai mancato di rispetto a nessuna di loro. Certo, non ero assolutamente senza peccato, molto spesso assegnavo loro un nome ben diverso dall'originale, ma il più delle volte lo facevo per puro divertimento – tra l'altro, anche le donzelle si dilettavano nel chiamarmi con i più strani appellativi; una di loro mi aveva persino soprannominato "MAlcatraz".

Sì, lo so che non è affatto divertente, mi ero detto spesso, ma d'altronde... chi potrebbe mai dimenticare un simile nomignolo?

Il mio sguardo affilato si scontrò con quello sbigottito della Rossi. Con mia somma sorpresa, non replicò. Avevo forse ragione nell'averla definita una misandra senza speranza?

«D'accordo, Megan. Credo sia meglio chiuderla qui. Io dormirò qui», indicai il lato sinistro del letto a due piazze, «mentre tu te ne starai buona buona dall'altra parte. Non ti torcerò neanche un capello. Sei contenta?»

«Forse dovresti esserlo tu», mi disse lei, senza aggiungere altro. Tutt'a un tratto, si fece pensierosa e io non ebbi neanche il coraggio di chiederle per quale motivo, da un sonoro contrattacco, fosse passata dall'avere una voce quasi stridula. Era forse sul punto di piangere?

Soffocai l'istinto di perdermi nei suoi occhi azzurri. Forse l'avevo offesa pesantemente. O magari, era stato qualcos'altro a rabbuiarla. Non appena si avvicinò alla finestra e alzò gli scuri, la semi oscurità che ci attorniava poco prima lasciò il posto a uno scenario mozzafiato. E a quei penetranti zaffiri, cui si nascondeva una freddezza a dir poco agghiacciante. Avevo appena ottenuto la risposta che tanto cercavo. Quella donna non era capace di versare nemmeno una lacrima. E il perché di tanta indifferenza, almeno in apparenza, mi apparve davvero anomalo e, al tempo stesso, triste. Esatto, triste. Dentro di me, sapevo che la Rossi non era un tipo superficiale. L'avevo vista lavorare, avevo visto quanto fosse forte la sua passione. Ed ero più che certo che, malgrado le mie subdole parole, nascondesse un coacervo di sentimenti tutt'altro che negativi.

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