Da quando mia moglie mi aveva lasciato, la parte migliore di me stesso era inesorabilmente morta con lei. Non avevo fatto altro che aspettare una fine che, invece, non era mai arrivata. Avevo cominciato a contare i giorni e le settimane trascorse senza di lei come un perfetto automa, come se nel mio cervello si fosse piantata una sequenza di semplici operazioni algoritmiche con le quali cercavo – tra l'altro fallendo miseramente – di non soccombere del tutto al dolore, alla triste sorte che mi era toccata. Non riuscivo proprio a credere che lei mi avesse abbandonato. E così, le settimane divennero mesi, e i mesi divennero anni. Tanti anni. Anni intrisi di solitudine, donne per me insignificanti, paranoie su paranoie, problematiche più o meno connesse alla mia esistenza, ormai tremendamente vuota. Da tre anni a questa parte, però, non riuscivo neanche più a distinguere un lunedì da un martedì, e via dicendo... Avevo smesso di fare il matematico delle cause perse. Non contavo nemmeno più le pecore (sì, lo facevo eccome) prima di sprofondare in un sonno comunque agitato.
Stavo forse riprendendo a vivere? Ripensai con orgoglio agli ultimi traguardi raggiunti. Avevo lavorato così tanto su me stesso da non essermi nemmeno accorto di quanto, in effetti, mi fossi ripreso dall'evento più traumatico della mia vita. I ricordi restavano, certo. E il dolore, più di tutto, restava. Eppure, dentro di me percepivo un qualcosa di nuovo; quel qualcosa che mi faceva sentire vivo. Non avrei saputo dare un vero e proprio nome a quella sensazione; sapevo solo che stavolta non mi sentivo fuori posto, tantomeno a disagio. Abbozzai un sorriso distratto e sfogliai un paio di pagine dell'anteprima del fascicolo che sarebbe dovuto uscire tra qualche giorno. Sottolineai una frasetta che, di sicuro, necessitava di ulteriore rimaneggiamento.«A cosa pensi?»
Rialzai la testa dagli appunti, la penna a sfera tra le dita. «Scusami, cos'hai detto?»
Benedetta scosse la testa, quindi richiuse la dispensa che aveva davanti a sé producendo un tonfo sordo. Mi fece un ciao ciao con la mano per richiamare la mia attenzione. «Terra chiama Malcom! Si può sapere cosa ti prende?»
Ridacchiai e feci spallucce. «Dove vorresti arrivare?»
Lei si sedette di fronte a me, un sorrisetto sghembo a contornarle il visetto dai toni vivaci. «Ti ho appena chiesto a cosa pensavi.»
«A nulla di particolare. Perché me lo chiedi?»
«Forse perché stavi sorridendo senza un apparente motivo?»
«Sono di buon umore, tutto qui. È forse un reato sorridere?»
Benedetta posò la propria testa sul pugno sinistro, il gomito sulla scrivania e gli occhi fissi nei miei. «Mi riferivo al tipo di sorriso. Non credo siano stati quegli sterili appunti a strappartene uno.»
«Desumo che tu mi stessi guardando da un bel po'», chiosai, inarcando le sopracciglia.
Lei abbassò lo sguardo. «Be', io, veramente...»
«Malcom Brian Stone!» esclamò quella voce. Non appena posai lo sguardo su Ryan, stentai dal trattenere la mia sorpresa. Gli occhi fuori dalle orbite, i capelli arruffati e un cipiglio di assoluta severità lo dipingeva, per certi versi, come Einstein 2.0. Il mio superiore aveva sprangato la porta del mio ufficio senza la minima gentilezza. «Nel mio studio, subito!»
Scattai sull'attenti e pregai Benedetta di non fare domande con una semplice occhiata... alla Malcom. Tornai a guardare Ryan, quasi intimorito. Cos'avevo combinato, questa volta?
STAI LEGGENDO
Oltre L'Orizzonte
ChickLit[COMPLETA] Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni in...