Capitolo XV - «(Io) Non Ho Avuto Il Tempo Di Dire Una Parola»*

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Mercoledì


Mi ero lasciato abbindolare da quegli occhioni tanto dolci quanto impertinenti come un pesce lesso, permettendo all'istinto e alle pulsioni fisiche di avere la meglio sulla ragione. Mi ero lasciato guidare da quelle fottute sensazioni che, fin dalla prima volta in cui avevo incrociato il suo sguardo, quello sguardo, si erano manifestate in tutta la loro avvenenza e chiarezza. Magnificenza e prorompenza.
Mi asciugai il volto cosparso di lacrime. Non avevo il coraggio di guardarmi allo specchio, non volevo vedervi riflesso l'effetto che quella serata nefasta aveva prodotto su di me. Avevo sbagliato. Avevo semplicemente sbagliato tutto. Concedermi il lusso di fare l'amore con Megan non era stato che un grande, grandissimo errore. L'errore più fatale della mia vita. Avevo temporeggiato più che potevo per non cadere in quella rete, ma le provocazioni e le insicurezze di quella donna mi avevano attratto verso di lei senza che potessi pensare ad altro. Effettivamente, starle vicino più del dovuto, conoscere qualche piccolo aspetto della sua vita, le sue delusioni d'amore e, in misura minore, le sue piccole, grandi speranze, mi aveva regalato una visione del tutto nuova del rapporto che io, generalmente, avevo instaurato con le altre donne. A dire la verità, avevo già sperimentato una simile, allettante prospettiva. Mi sembrava che, da allora, fosse passata un'intera vita. La mia esistenza, che inizialmente ruotava tutta attorno a Melissa, la mia Melissa, aveva subito uno stravolgimento impressionante. Pressoché totale. 

Tirai su col naso. Mi sentivo sfinito, depresso, confuso. Sentivo di voler piangere ancora; avrei tanto voluto urlare, sfogarmi contro l'orribile destino che mi era toccato, spalancare quella maledetta finestra e far sapere a tutti quanto mi sentissi uno schifo. Quanto la mia vita fosse sporca, fosse un vero e proprio orto pieno di verdure rinsecchite, rovinate dalle gagliarde tempeste che, da quel giorno infausto e maledetto, si erano abbattute sulla mia esistenza. Un'esistenza che, da sei anni a quella parte, giudicavo sterile e misera, per non dire inutile. L'improvviso squillo del telefonino mi fece riaprire gli occhi. Erano stracolmi di lacrime. Lasciando fluire quel dolore, mi alzai di malavoglia da un letto completamente disfatto; un letto che era stato testimone di un efferato evento.

«Pronto?» mormorai con la voce impastata, una volta afferrato il telefono dal comodino.

«Amico mio! Come stai?»

«Una merda», mi limitai a dire, asciugandomi le lacrime per l'ennesima volta.

Dall'altro capo del ricevitore, un sospiro sommesso lasciò trapelare una certa dose di preoccupazione. «Credevo andasse tutto bene», mormorò Christian. Sembrava sconcertato.

«Come procede il tuo matrimonio?» gli domandai, sperando che si decidesse a mollare il colpo.

«Oh, a gonfie vele!» esclamò l'uomo, recuperando un cieco entusiasmo. «E a tal proposito... Sai che il tuo consiglio dell'ultima volta ha funzionato alla grande? Dovresti vedere com'è cambiata la mia Cinthia! Cavoli, adesso è veramente una tigre!»

«Deduco che la vostra vita sessuale sia molto attiva, allora», commentai, tentando di sorridere. Ero davvero felice per lui; in un'altra occasione mi sarei sicuramente divertito ad ascoltare qualche suo aneddoto inerente a quelle serate infuocate a cui accennava.

«Decisamente attiva!» ridacchiò Christian. «E non mi stupirei se tra non molto... sì, insomma, non mi stupirei se, tra non molto, la cicogna decidesse di lasciare una traccia del suo passaggio...» disse poi, il suo tono di voce si tinse di una ben palpabile tenerezza.

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