Capitolo III - Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere*

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Solitamente, concentrarsi non era mai stato un grosso problema per Alex. Era sempre stato un ragazzo studioso e attento alla disciplina, sin dalla più tenera età. Aveva sempre dato il massimo nel campo dello studio, riuscendo a raggiungere quegli obiettivi che ormai da vent'anni facevano appello alla sua sacrosanta passione per la scrittura. Diventare responsabile della sezione Cronaca nera e Cultura di Massa non era stato affatto facile, ma con pazienza e, soprattutto, un gran bel pizzico di perseveranza, era riuscito a guadagnarsi stima e rispetto anche da parte dei "grandi" del settore. Malgrado la sua famiglia vantasse un bel numero di giornalisti, Alex aveva sempre cercato di crearsi da solo il proprio spazio e rendersi autonomo, evitando di cercare troppo aiuto dall'esterno. Nello specifico, senza la spinta di suo padre Giacomo, che da sempre vantava numerose conoscenze nel settore. 

Pur avendo lavorato nella sua agenzia come aspirante redattore durante le scuole superiori, al termine dell'università aveva deciso di portare avanti il progetto del genitore altrove, trasformando le sue passioni in un vero e proprio lavoro. Non era stato semplice, la gavetta era stata lunga e, per molti versi, davvero sfiancante. Eppure, non si era mai pentito della scelta. Come non si sarebbe mai pentito di aver sposato Marta, nonostante tutto. Lei, però... se ne sarebbe forse pentita, alla lunga?
Alex si sfilò la fede per un momento, del tutto incapace di rispondere a quella domanda. Rilesse l'incisione interna dell'anello e ne sfiorò i contorni con soave lentezza. Lei era stata la sua prima ragazza, il suo primo bacio, la sua prima volta. Il suo primo tutto.
E ora, non poteva ricompensarla come meritava.
Ripose la fede sull'anulare e tentò, invano, di concentrarsi sulla pagina bianca che aveva davanti da almeno mezz'ora, e che tale restava. Non riusciva proprio a riempirla, nemmeno con una delle tante frasi fatte che utilizzavano gli scrittori di romanzi. 

Alzò il capo. L'orologio da parete segnava le undici e trenta del mattino. Verso mezzogiorno, avrebbe consumato la solita pausa pranzo insieme a Gilberto, e, tra le altre cose, avrebbe dovuto fingere ancora una volta che tutto fosse normale.

Sospirò, toccandosi di sfuggita le guance perfettamente sbarbate. Aveva affrontato tante situazioni complicate nella sua vita, aveva ricevuto le più disparate batoste e cercato sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Questa volta, non vedeva né il bicchiere né, tantomeno, quel fatidico lato positivo di cui tanto si decanta l'esistenza quando tutto sembra andare tremendamente storto. Ormai, riusciva soltanto a specchiarsi e a pensare che non fosse un vero uomo. Riusciva soltanto a considerarsi un diverso, per quanto nella vita esistessero situazioni similari alle sue, se non del tutto identiche. Ancora una volta, precisamente la sera prima, la sua Marta aveva cercato un deciso contatto con lui non appena tornato dal lavoro; un contatto che era sfociato nel più triste dei finali. Lui si era trincerato nel silenzio, non assecondando nemmeno per un momento le sue carezze, che in altre circostanze gli avrebbero fatto perdere la testa; semplicemente se ne era discostato senza maturare il coraggio di guardarla o, quantomeno, chiederle scusa per il modo in cui si stava comportando. Sapeva di sbagliare, eppure non riusciva ad agire diversamente. Sapeva che col suo atteggiamento non sarebbe cambiato un bel nulla, eppure si ostinava a una chiusura pressoché totale. A malapena la salutava quando usciva da casa o rientrava dal lavoro, a malapena le rivolgeva uno di quegli sguardi che avevano sempre fatto breccia nel suo cuore. Si stava allontanando sempre più da lei. Inesorabilmente.

La sua mente ritornò seduta stante al momento più triste della sua vita. «Tieni, leggi pure», aveva biascicato rivolgendosi alla moglie, non mancando di fiondare il referto medico sul tavolino del salotto mentre aspirava a tutta forza un sigaro svizzero.

Marta gli aveva gettato un'occhiata contrariata. Di sicuro, vedere il marito fumare dentro casa – non si era mai azzardato a farlo prima di allora, chiaramente – non doveva essere stata grande fonte di piacere per lei. «Che... che cosa significa?» aveva ribattuto, cercando invano il suo sguardo.

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