Novantadue

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Il tempo non aveva mai guardato in faccia a nessuno, il tempo correva sempre, non si fermava mai, il tempo non aspettava che qualcuno gli desse il permesso di andare avanti, il tempo era sempre stato solitario, se qualcuno riusciva a restargli dietro andava bene ma se non riusciva, al tempo non era mai importato, a volte agli occhi degli uomini sembrava come se lo facesse apposta, alcuni avevano additato il tempo come giocherellone e dispettoso, sembrava una gara a chi riusciva a mantenere i suoi ritmi perché mai nessuno c'era riuscito, un modo o nell'altro tutti erano inciampati, tutti si erano trovati indietro.

Tutti.

Tranne Jimin.

Jimin sedeva sulla sua poltrona d'ufficio quel lunedì mattina, aveva saltato così tanti giorni che sentiva come se stesse abbandonando il suo più grande orgoglio. Per quanto il lavoro alla My Style triplicasse di giorno in giorno, Jimin l'aveva presa come una sfida e aveva deciso che avrebbe reso tutto perfetto per essere preparato nel periodo che avrebbe dovuto dedicare all'unica creazione che non poteva controllare, misurare, decidere al limite della perfezione come il suo solito.

Abbassò lo sguardo.

La sua pancia si era leggermente gonfiata, più il tempo passava più Jimin sapeva che sarebbe stato sempre più difficile lavorare ma la sola idea che quel gonfiore fosse dato dall'insieme dell'amore suo e di Jungkook lo faceva tremare sulla sedia.

Sorrise dolcemente e tornò a digitare sul computer, per quanto si fidasse delle promesse di Jungkook, le stesse che gli avevano regalato quanti più sogni, la paura albergava costantemente nel suo animo, lui doveva la vita, la sua intera esistenza a quel lavoro, era stata l'unica cosa che gli aveva ridato la voglia di vivere dopo tutti gli avvenimenti che aveva vissuto.

Il suo cervello non riusciva a non creare scenari su scenari, si chiedeva quale poteva essere il più realistico, ma tutti quanti erano così catastrofici che sperava nessuno si avverasse mai.

In quel momento avrebbe sognato poter chiedere a suo padre, sedersi accanto a lui sul divano e chiedere cosa avrebbe fatto al posto suo. Entrambi erano persone dedite al lavoro, forse era anche il motivo per cui suo padre era stato ucciso, ed ecco che tornavano gli scenari catastrofici.

<<Buongiorno papà>> canzonò Jungkook entrando nell'ufficio <<Indovina chi ha appena firmato un contratto magico per promuovere la moda bambino? Ovviamente il tuo compagno chi se no->> si bloccò vedendo il biondo pallido in volto <<Stai bene amore?>> chiese avvicinandosi alla sua scrivania poggiando prima le carte del contratto sulla sua.

Jimin sospirò e sorrise debolmente <<Penso troppo... scusami>>

<<Hey, guardami>> lo chiamò Jungkook.

Jimin alzò la testa verso di lui e si trovò catturato in un bacio dolce, sentì le mani del moro posarsi sulle sue guance, accarezzandole delicatamente con i pollici, chiuse gli occhi nell'adorazione di quel momento, forse era l'unica cosa di cui aveva bisogno, di cui avevano bisogno, la sua presenza.

<<Ti ho mai dato motivo di non fidarti di me?>> sussurrò Jungkook appoggiando la fronte su quella del compagno.

<<No ma->>

<<Allora fidati, se ho torto potrai picchiarmi finché vorrai ok?>>

Jimin ridacchiò <<Scemo>> disse sottovoce.

Jungkook sorrise e si staccò da lui <<Signor capo le ho portato il contratto firmato, gradirei lo leggesse e ci mettesse anche la sua firma, con permesso vado a disturbare negli atelier>>

Jimin lo guardò serio <<Lo sai che avrei pagato per sentirti parlare così i primi giorni di lavoro si?>>

<<Certo che lo so>> Jungkook aprì la porta <<È per questo che lo faccio solo ora, a più tardi collega>> lo prese in giro mettendo enfasi nel nome.

Il biondo alzò gli occhi al cielo, raccolse una penna spersa nella sua scrivania e iniziò a leggere il contratto attentamente.

Nel frattempo Jungkook scese i piani dell'azienda.

<<La stavo aspettando>> sorrise la donna incaricata del lavoro.

<<Come sta venendo??>> chiese, assicurandosi di chiudere la porta.

<<Molto bene anche per il mio gusto personale, alcune sfumature sono state molto difficili in realtà, ma spero possano essere più simili possibili all'idea originale>> sorrise.

<<Posso vederlo?>>

La donna annuì <<Ci sarebbe una superstizione che dice che lo sposo non dovrebbe vedere il vestito prima della data>> scherzò accompagnando il capo.

<<Quella data ancora non esiste e attualmente non sono lo sposo>>

La donna rise <<È sempre con la risposta pronta signor Jeon>>

<<È un dono>>

<<Ecco qui>>

Jungkook chiuse la bocca non appena vide il manichino, si avvicinò lentamente ad esso, sembrava già di vedere Jimin indossarlo, non gli avrebbe mai permesso di indossare qualcosa che non provenisse dalla sua mente e che non fosse stato accuratamente disegnato su carta da lui stesso. Poteva suonare possessivo, ma voleva vedere lui nei suoi vestiti, voleva valorizzare ogni parte del suo corpo già perfetto sotto il suo sguardo, voleva renderlo bello impossibile per tutti ma possibile per lui. Voleva dimostrare quanto potesse essere quell'uomo e lo avrebbe fatto aggiungendo anche i colori al suo disegno, colori armoniosi come i loro baci, colori complementari come il loro stesso rapporto, quei colori che tanto odiava, che vedeva come troppo luminosi e troppo complicati da abbinare, come pensava che avrebbe venduto la metà perché in quel vivere veloci nella metropoli comportava la mancanza di tempo di scegliere colori abbinabili, ma li aveva riscoperti, abituandosi gli risultava sempre più facile sapere quale colore di pantalone abbinare con la giacca che poteva aver scelto quella mattina, ma ora davanti a lui. Quel completo.

Sembrava un quadro, forse non era del tutto sbagliato, Jimin era diventato la sua musa, la sua ispirazione, tutte quelle sensazioni che gli faceva provare erano diventati tutti progetti per abiti futuri, l'unico di cui Jimin era all'oscuro era quello che stava guardando.

Che voleva vederglielo addosso, per il loro giorno.

𝐌𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞 • 𝐉𝐢𝐤𝐨𝐨𝐤 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora