Capitolo XXVI - Amalgama

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Eren, Mikasa, Armin, Jean, Connie, Sasha e Christa non fecero in tempo neanche ad arrivare in caserma: Saelle era scesa a perdifiato dalla terrazza e li aveva raggiunti di corsa sulla strada, seguita a breve dal capitano Levi. Scesero tutti da cavallo per accoglierla, visto che immaginavano bene quanto potesse essere stata in ansia. Eren e Mikasa le si fecero incontro, con uno sguardo velato di tristezza ma un sorriso sincero sulle labbra. Quando fu ad un passo dai due, Saelle buttò le braccia al collo di Mikasa, nella sorpresa di tutti. Mikasa, poi, rimase addirittura paralizzata, senza sapere come reagire; sua sorella la strinse a sé.

«Grazie, Mikasa.» le sussurrò all'orecchio, con le lacrime agli occhi.

La ragazza si riprese dalla sorpresa; sorrise e abbracciò la sorella in risposta. Prima di sciogliersi da quell'abbraccio, Saelle la guardò ancora un momento negli occhi e le fece una carezza sulla guancia; poi allungò l'altro braccio sulla spalla di Eren e girò su di lui le sue iridi verdi e luminosissime.

«Bentornato, combinaguai.» lo salutò.

«Ciao, peste.» disse lui, con gli occhi lucidi.

Mikasa e Eren le presero ognuno la mano tra le proprie; e stringendosi così l'uno all'altro, si sentirono nuovamente uniti. Con gli occhi colmi di lacrime, Saelle si rivolse agli altri.

«Ragazzi!» esclamò con la voce tremante e il viso così follemente colmo di gioia e, insieme, di rammarico, che nessuno si trattenne: Connie, Sasha, Jean e Armin le precipitarono tra le braccia e si strinsero gli uni agli altri, in un amalgama assurdo di lacrime e sorrisi, di gioia per essere ancora vivi, per essersi ritrovati ancora, di dolore e paura per l'esperienza appena passata, di delusione per il tradimento di Reiner e Berthold, di sgomento per la piega presa dagli eventi. Fu un abbraccio stranissimo, pieno di emozioni intense e contraddittorie, in cui nessuno sapeva se stava piangendo di felicità o di amarezza, né sapeva distinguere le ragioni dietro le lacrime degli altri. Eren e Mikasa erano lì accanto e partecipavano, se non con l'abbraccio, almeno con il volto e il cuore allo stesso assurdo agglomerato emotivo.

Solo in due se ne stavano appartati e osservavano silenti la scena. Il primo era Levi: a braccia conserte, si era trattenuto qualche metro indietro rispetto alle reclute e i suoi occhi severi registravano quanto avveniva, considerando che sì, decisamente Saelle era diventata la sorella maggiore di tutto il 104° corso cadetti. La seconda, stranamente in disparte e rimasta sulle sue, passava da un volto all'altro coi suoi occhi celesti come il cielo in pieno mezzogiorno; non è che non partecipasse di molte di quelle emozioni, ma ce n'erano molte altre e molto più difficili da gestire che l'avevano inchiodata al suolo.

Saelle ci mise diverso tempo a rendersi conto di questa assenza. Quando ritornò in sé e sollevò lo sguardo, incrociò quello azzurro della sua amica; quindi, come presa da un pensiero urgentissimo che improvvisamente le aveva raggiunto la mente, iniziò a volgere le iridi attorno come cercando qualcuno di irrimediabilmente assente. Si sciolse dall'abbraccio.

«Aspettate un momento, dov'è Ymir?» chiese Saelle, cercando negli occhi degli altri una risposta che non fosse quella che temeva.

Seguì qualche secondo di silenzio, mentre quegli occhi che lei indagava si rivolgevano al suolo, o di lato, o comunque cercavano di non incontrare i suoi.

«Ymir ha scelto di andare con Reiner e Berthold.» disse la ragazza con gli occhi azzurri, che invece di abbassare lo sguardo lo aveva alzato ad incontrare quello smeraldo di Saelle. «Non so perché l'abbia fatto. Ma mi ha chiesto scusa.»

«Quella dannata idiota!» sibilò Saelle a denti stretti. «Mi dispiace tantissimo, Christa...»

«Historia.» la interruppe la ragazza dagli occhi azzurri. «D'ora in avanti, voglio che mi chiamiate col mio vero nome. Sono Historia Reiss.»

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La serata fu molto lunga. Eren ebbe molto di cui parlare con i suoi compagni, considerato che era stato ore con Reiner, Berthold e Ymir ed era riuscito a capire che quei tre si erano già incontrati prima di unirsi all'esercito, ma che non erano affatto amici, anzi: Ymir doveva aver fatto qualcosa di male agli altri due, anche se non gli era chiaro cosa. C'era ben altro, però, a cominciare dal comportamento di Reiner, che talvolta si sentiva un guerriero e talvolta un soldato, come se avesse scisso la propria personalità: il che spiegava come mai nessuno di loro lo aveva creduto capace di tradirli. Inoltre: si erano rivelati i sentimenti di Berthold per Annie, c'era la tragedia dellla morte di Mike e Hannes, che avevano eroicamente dato la vita per salvare tutti loro, il comandante Erwin che aveva perso un braccio e poi, naturalmente... l'urlo. L'urlo grazie al quale Eren era riuscito, non si sapeva come, a controllare la volontà dei giganti e a tirare tutti fuori da una pessima situazione. Ce n'era per rimanere svegli per giorni interi.

Infine, c'era un'altra cosa da spiegare: l'assenza del caposquadra Hanji. Connie riferì che al suo villaggio natale, Ragako, era accaduto qualcosa di molto strano e che Hanji aveva voluto indagare di persona, perciò vi si era recata, assieme al fidato Moblit, nonostante fosse stata ferita dalle folate di vapore bollente del gigante colossale. A questa notizia, Saelle aveva rapidamente girato gli occhi su Levi: non aveva avuto reazioni evidenti, ma si vedeva che era preoccupato per Hanji.

«Scusate un momento.» intervenne Sasha, che stava a fatica cercando di raccapezzarsi, come tutti loro. «Ma che ne è stato del Wall Rose? Davvero non è stata trovata alcuna breccia?»

«Sembra proprio così.» le rispose Armin. «Le squadre di ricognizione hanno percorso in lungo e in largo le mura a sud, ma non sono state trovate aperture di alcun genere.»

«Forse i giganti sono entrati da un altro lato.» ipotizzò ancora Sasha.

Armin si strinse nelle spalle. «Sarebbe strano visto il loro comportamento abituale: normalmente, una volta superate le mura tendono ad avvicinarsi il più possibile agli insediamenti umani per la via più diretta possibile, senza fare deviazioni; e questa volta, da quanto sappiamo, sono arrivati dalle parti di Ragako.» Il ragazzo lanciò una fugace occhiata a Connie, che era nativo proprio di quel villaggio e infatti sembrava molto teso.

«Maledizione!» sibilò Jean. «Questo cosa vorrà dire, adesso? I giganti non avranno imparato a scavalcare le mura?»

Mikasa lo guardò.

«Potrebbe anche essere che siano entrati da un'altra breccia che dobbiamo ancora individuare. È vero che non rientrerebbe nelle loro abitudini deviare il percorso, ma abbiamo appena visto giganti muoversi di notte. Prima di poche ore fa, pensavamo che fosse impossibile.»

«Forse è come dici tu, Mikasa.» le disse Armin. «Speriamo che il caposquadra Hanji riesca a capirci qualcosa.»

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale ognuno dei soldati rimuginò i tanti interrogativi che la giornata appena trascorsa aveva sollevato.

«Stare qui a pensarci non risolverà un bel niente.» intervenne nel silenzio il capitano Levi, col suo solito sangue freddo. «Tornate tutti alle vostre stanze e riposate. Ne avete bisogno.»

Tutti si alzarono al suo comando e in un silenzio carico di angosce uscirono dalla stanza dei fratelli Jaeger, nella quale si erano riuniti; Levi li guardò sfilare uno per uno davanti a sé, poi si avviò dietro a loro. Prima che uscisse, Saelle lo cercò con gli occhi: nonostante il suo ordine, era impossibile non essere devastati dalle incertezze e, in qualche modo, sembrò cercare in lui un qualche appiglio. Dalla porta, lui rispose allo sguardo: le sue iridi grigie non erano serene, ma in esse vibrava la stessa calma determinazione che vi aleggiava sempre. A Saelle bastò restare in quelle iridi per qualche secondo e si tranquillizzò. Levi uscì, augurando la buonanotte.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora