Capitolo LXVIII - Voglio te

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Quando Levi staccò le labbra dalle sue, Saelle aveva ancora il volto rigato dalle lacrime. Lui alzò la mano e, con due dita, le asciugò una guancia con una dolce carezza.

«Levi, mi-mi dispiace.» farfugliò lei, col cuore pieno d'angoscia.

Non aveva idea di come fare a spiegarsi. Alzò su di lui un paio d'occhi che lasciarono il capitano con la mano bloccata in aria per qualche secondo; poi, lentamente, lui si allontanò da lei e fece un passo indietro.

«Mi dispiace!» ripeté lei, singhiozzando.

Come poteva fargli una cosa del genere, dopo quello che lui le aveva appena detto? Si sentiva uno schifo, la peggiore, la più infima creatura della terra; ma non aveva altra scelta. Dopo quanto successo a Krolva, non poteva ritrattare nessuna delle decisioni prese quando credeva che suo fratello sarebbe morto a causa sua. Aveva promesso a sua madre che avrebbe protetto Eren, gliel'aveva promesso in punto di morte, era stato il suo ultimo desiderio. E lei lo sapeva, sapeva che se si fosse innamorata di Levi, Eren non sarebbe più stato al centro dei suoi pensieri, che non avrebbe più potuto proteggerlo con tutta sé stessa, che avrebbe mancato al suo voto. Nonostante quello che sentiva nel cuore, non poteva lasciare che accadesse! Levi avrebbe mai potuto capirlo?

Non sapeva come dire tutto questo e lasciò che i suoi occhi parlassero per lei; Levi rimase a fissare le sue iridi smeraldo e non disse una parola. La tensione, il rammarico, il senso di colpa erano insostenibili: Saelle lasciò il muro a cui era ancora posata e a testa bassa si avviò verso le scale, per ridiscendere.

«Saelle.» la richiamò la voce del capitamo.

La ragazza si voltò e si guardò alle spalle: due iridi affilate come spade la trafissero per l'ennesima volta e lei poco mancò si sentisse sanguinare il cuore.

«Io non ho intenzione di arrendermi.»

A Saelle mancò il fiato; incapace di sostenere un momento di più quello sguardo, si fiondò giù per le scale. Cosa aveva voluto dire Levi? Cosa avrebbe dovuto aspettarsi adesso? Come avrebbe potuto continuare a vivere sotto lo stesso tetto con lui, a guardarlo ancora negli occhi ora che sapeva cosa provava?
Arrivata alla sua camera, Saelle gettò un'occhiata al suo letto con le lenzuola ancora arruffate e decise che no, quella notte lì non poteva restarci, non ce la poteva fare. Come un cane bastonato, tornò indietro alla porta di sua sorella Mikasa, alla quale bussò.

«Saelle, cosa è capitato?» le chiese pochi momenti dopo Mikasa, sulla porta, vedendo sua sorella sconvolta.

«Scusami Mikasa, posso dormire con te stanotte?» la implorò Saelle. «Ho... ho avuto degli incubi.»

Mikasa era stupita: non era mai successo che sua sorella le chiedesse aiuto per una cosa del genere, ma certo non aveva senso dirle di no. Le liberò il letto accanto al suo e le disse che poteva stare tutto il tempo che voleva. Ringraziandola, Saelle si mise sotto le coperte, ma non riuscì a chiudere occhio prima dell'alba.

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«Saelle, ma stai bene?»

La voce di Sasha, seduta accanto a lei al tavolo del refettorio, sembrò arrivarle lontanissima.

«Come dici?» chiese Saelle, massaggiandosi le tempie.

«Dico che non sembri molto in forma.» la considerò Sasha, osservandola attentamente. «Stanotte è successo qualcosa?»

Saelle si irrigidì e stavolta diede all'amica tutta la sua attenzione.

«Eh? Perché me lo chiedi?» domandò inquieta.

«Ti ho sentita agitarti stanotte, e anche mandare qualche grido.» le spiegò l'amica.

«Ah, sì, ho avuto degli incubi.» rispose Saelle, cercando di minimizzare.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora