Capitolo XV - La tua mano, Jean

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Nel buio che seguì, Saelle vide moltissime cose. Alcune lontane, dolci, che la riempivano di nostalgia; altre recenti, orribili e macabre; altre ancora forse non erano mai successe; alcune avrebbero magari potuto accadere, un giorno.

Riaprì gli occhi su un soffitto sconosciuto, illuminato dal sole di una finestra aperta, con delle tende bianche che oscillavano scosse dalla brezza. Distinse subito i capelli corvini di Mikasa accanto al suo letto.

«Mikasa?» disse debolmente.

Mikasa tirò un sospiro di sollievo e le sorrise: «Bentornata, sorella.»

«Saelle!»

La ragazza volse gli occhi oltre Mikasa: dietro a lei c'era un altro letto, ed Eren vi era seduto sopra, con una benda in testa.

«Eren?» esclamò la ragazza, ancora frastornata. «Stai bene?»

«Non ti preoccupare per me.» rispose quello, con voce rauca. «Sei tu quella messa peggio.»

A Saelle non erano chiare queste parole; si rivolse quindi a considerare sé stessa. Si accorse che le faceva male ovunque. Alzò la mano alla testa: una benda le copriva il capo ed aveva un grande cerotto sulla guancia. Non riusciva a muovere il braccio sinistro: lo vide bendato e legato al collo. Le gambe erano anch'esse ricoperte di fasce e cerotti, ma il dolore maggiore ce l'aveva al petto. Tentò di sollevarsi sui gomiti.

«Per favore, resta giù.» Saelle riconobbe la voce di Armin. Era lì in piedi, vicino alla porta: da principio non l'aveva visto. «Hai una forte contusione alla testa, un braccio spezzato e tre costole rotte: cerca di stare immobile.»

La ragazza ricordò di aver sentito quella voce quando era ancora tra le macerie.

«Mi hai salvato, Armin. Grazie.» disse.

Lui fece un mezzo sorriso. «Hai salvato prima tu noi.»

Saelle dovette richiamare alla mente quello che era successo prima di essere coinvolta nel crollo della galleria.

«Armin.» disse di nuovo. «Dimmi cos'è successo.»

Mentre Eren e Mikasa ascoltavano in silenzio e a testa bassa, Armin passò a spiegare cos'era accaduto a Stohess da quando Saelle era rimasta incosciente. I soldati del Corpo di ricerca avevano tentato di contrastare il gigante dalle fattezze femminili, senza riuscirci. La devastazione all'interno del distretto era stata enorme, si contavano centinaia di vittime, soprattutto fra i civili. Anche Eren era stato coinvolto nel crollo del passaggio sotterraneo e aveva subito gravi ferite, ma questo lo aveva aiutato nel trasformarsi. In forma di gigante, aveva finalmente affrontato Annie e, stavolta, l'aveva sconfitta. Sfortunatamente, però, non erano riusciti ad ottenere nulla: Annie, appena estratta dal corpo del gigante con cui combatteva, si era chiusa in un bozzolo cristallino che nessuno riusciva a scalfire; ora era rinchiusa nei sotterranei, controllata a vista, anche se in realtà non dava segni di vita. Non era stato possibile tirarle fuori neanche un'informazione. In aggiunta, il combattimento tra i due giganti aveva causato un disastro incalcolabile nel distretto di Stohess, dove erano morte centinaia di persone; ciò aveva messo seriamente nei guai Erwin e il comando del Corpo di ricerca, che ora era indagato per quanto successo. Parola per parola, Saelle si sentiva sempre più sconfitta: tanti sacrifici, tantissime vittime e niente di fatto. Almeno, si consolò, suo fratello, Mikasa e Armin erano vivi.

«Eren, ora come stai?» chiese.

«Sto bene.» rispose quello, ma rabbiosamente e volgendo la faccia al muro. «Lo sai che guarisco in fretta. Però, tutto quello che abbiamo fatto...»

Non finì la frase e nessuno riuscì a dire altro.

La porta si aprì ed entrò Jean.

«Saelle!» disse, rincuorato. «Allora sei sveglia.»

«Jean, grazie di avermi tirato fuori dalle macerie.» rispose lei, grata. Jean annuì e si rivolse agli altri.

«Se volete andare a mangiare qualcosa, resto io con lei.»

Mikasa si voltò verso Eren. «Te la senti?» chiese.

Lui annuì e si alzò dal letto: la sorella lo guardò più attentamente e constatò che, in effetti, non sembrava ferito da nessuna parte, salvo la fasciatura alla testa. Eren, Mikasa e Armin uscirono dalla camera insieme, mentre Jean occupava la sedia appena lasciata libera da Mikasa.

«Per quanto ho dormito?» gli chiese Saelle.

«Quasi due giorni.» rispose lui. «Con la botta che hai preso in testa, è una fortuna che tu ti sia ripresa.»

«Cosa mi sono persa?»

Jean si strinse nelle spalle. «Da Annie non abbiamo ricavato nulla. Al momento sono in corso le riparazioni al distretto di Stohess e il recupero dei morti. Il governo centrale sta interrogando Erwin e tutti coloro che sono stati coinvolti nel piano di cattura di Annie.»

«Anche te?» chiese la ragazza. Lui annuì. Saelle sospirò.

«C'è un'altra cosa.» disse lugubre Jean. «Mentre Annie ed Eren combattevano, lei ha tentato di fuggire arrampicandosi sulle mura. Da uno dei fori che ha fatto per issarsi, è comparso il volto di un gigante.»

«Che cosa?! C'è un gigante dentro alle mura?!»

Jean fece scivolare lo sguardo di lato. «Un tale reverendo Nick del Culto delle Mura ha intimato a tutti di coprire quel volto, in modo che non ricevesse la luce del sole. E non sembrava stupito che un gigante fosse incastrato lì dentro.»

Saelle rimase a bocca aperta. Sgomenta, fissò gli occhi al soffitto: erano un'infinità le cose che non sapevano. Esseri umani che si trasformano in giganti, spie all'interno dell'esercito, un nemico sconosciuto e, ora, giganti dentro alle mura. Qualcuno sapeva più di quanto l'umanità potesse ritenere, e quel qualcuno, per giunta, taceva. C'era di che essere furiosi.

«Dove sono Reiner, Connie e gli altri?» chiese ancora Saelle.

«Distaccati in un avamposto vicino al perimetro del Wall Rose, sotto il comando del caposquadra Mike.»

Saelle tornò con lo sguardo su Jean e gli prese la mano.

«Jean,» cominciò «Armin ha detto... ha detto che Annie aveva con sé il dispositivo di Marco per il movimento tridimensionale.»

«Sì, lo so.»

«Quando a Stohess le ha chiesto perché ce l'aveva, ha risposto che l'aveva trovato in giro.»

Jean le strinse la mano.

«Maledizione!» sibilò il ragazzo tra i denti. «Che cosa c'entra Annie con la morte di Marco?»

«Ancora non lo so.» gli rispose lei, seria, fissandolo negli occhi. «Ma ti assicuro, scopriremo la verità. Costi quel che costi.»

Avevano ancora una mano stretta l'uno in quella dell'altra, quando la porta si riaprì.

«Capitano Levi!» esclamò Saelle. Jean lasciò la presa e schizzò in piedi. «Capitano!» salutò anche lui.

«Mi fa piacere vederti sveglia.» disse Levi, col suo solito tono neutro. Le sue iridi color metallo indagarono prima la ragazza a letto, poi Jean. «Saelle ha bisogno di riposo.» gli intimò. «Esci e lasciala dormire.»

«Sissignore!» rispose subito Jean e, dopo uno sguardo d'intesa con la ragazza, se ne uscì. Saelle rimase a guardare il capitano, con la testa fasciata ancora posata sul cuscino.

«Capitano, mi dispiace.» disse.

Levi incrociò le braccia sul petto e la considerò con severità.

«Per cosa ti stai scusando?»

«Non... non abbiamo concluso niente. Nonostante i sacrifici che...»

«Non è un fallimento imputabile a te.» tagliò corto Levi. «Ora riposa. Devi riprenderti in fretta.»

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora