Capitolo LXVI - La dea allevatrice

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I giorni seguenti furono per Levi un vero incubo. Da quando si era ritrovato Saelle nel letto, quella mattina, da quando gli era nato nella mente il desiderio di baciarle la pelle, non riusciva più a pensare ad altro. Si era detto che non avrebbe mai voluto niente più di quello... che idiota. Altro che bacio, voleva strapparle la divisa di dosso tutte le volte che la incontrava, voleva stringerla, voleva guardarla, voleva riportarla nel suo letto e no, non aveva nessuna intenzione di dormirci assieme. Quando lei gli passava accanto, non c'era volta in cui lui non tendesse il volto per poter annusare il suo profumo e portarsene il ricordo in camera, dove passava lunghissime notti a immaginare di farla sua.

Che diavolo gli era capitato? Non poteva veramente lasciarsi andare a fantasie simili con una sottoposta, che razza di capitano era? Eppure, la sua consueta lucidità stavolta non lo aiutava, non era abbastanza forte da fermare quei pensieri che gli turbinavano nella mente.

Iniziò a dormire sempre meno, a sentirsi stanco e frustrato per tutto il giorno, cominciò a carcare di evitare il più possibile di trovarsi vicino a Saelle, specie durante l'allenamento mattutino, quando vederla in top e pantaloncini sudare sulla panca o al sacco da boxe gli risvegliava fantasie inconfessabili.

Per fortuna, la squadra di Hanji venne a dargli una mano. Ormai Eren era tornato perfettamente in forma e gli esperimenti sul potere di indurimento costringeva i membri dell'unità a lasciare il castello quasi tutti i pomeriggi. Il capitano trovava ottime ragioni per non seguirli e lasciare tutto in mano alla caposquadra, mentre lui si occupava di scartoffie, specie quelle relative al progetto di sostegno agli orfani, e di allenarsi da solo.

Uno di quei giorni, la regina Historia andò a visitare uno dei rifugi che aveva trovato nelle campagne del Wall Rose, non lontano dal distretto di Trost. Erano passati circa due mesi dall'incoronazione e i suoi ex compagni non la vedevano da un po' di tempo quindi, visto che il rifugio era piuttosto vicino alla loro base militare, i ragazzi chiesero al capitano se potevano raggiungerla e lui acconsentì, anche se non volle seguirli.

Gli orfani erano stati sistemati in una fattoria piuttosto ampia, anche se modesta. Historia approfittò della visita dei suoi amici per metterli al lavoro nel trasportare casse, sacchi e materiale all'interno della struttura; era diventata davvero autoritaria e li comandò a bacchetta per tutto il giorno. Altrettanto faceva coi bambini: Jean disse che sembrava più a suo agio come direttrice di un orfanotrofio, in effetti. Però la regina aveva ottenuto un gran risultato: gli orfani avevano ricominciato a sorridere. L'atmosfera era davvero piacevole, con i soldati dell'unità speciale che avevano smesso le divise e potevano chiacchierare tra di loro lavorando e sentendo le risa e le gioiose grida dei bambini, anche se questi ultimi ogni tanto li interrompevano per giocherellare e tirar loro i capelli.

Mentre Saelle impilava delle casse con Sasha, Connie e Mikasa, notò la quantità di bambini che erano radunati lì attorno: e dire che quello era solo uno dei rifugi approntati dal governo.

«È davvero incredibile.» mormorò ad alta voce tra sé e sé.

«Che cosa?» le chiese Connie, raggiungendola con una cassa sulle spalle.

«Sono sorpresa che Historia sia riuscita in soli due mesi a raggiungere un risultato del genere.» gli spiegò lei, meravigliata. «Questi bambini... sono davvero tanti.»

«Pensa che questi sono solo alcuni di quelli recuperati nella città sotterranea.» le disse Sasha, sopraggiunta in quel momento. «In realtà, sono molti di più.»

Tutti e tre si volsero a guardare i bambini radunati nel magazzino che si divertivano a rincorrersi tra le casse e a giocare tra loro. Saelle se ne vide venire vicino uno piuttosto piccolo, con i capelli scuri e gli occhi grigi, mentre correva dietro ad una graziosa bambina dai capelli rossi. Lo seguì con lo sguardo per un po': non sembrava un bambino abituato a sorridere, però ora sorrideva, divertendosi a inseguire la sua amica. Non poté non ricordarle il capitano Levi. Chissà, forse per quel bambino con occhi così simili si prospettava un futuro molto diverso da quello di Levi. Uno più felice, magari.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora