Capitolo XLI - Sorellina

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«No, no!» Eren si alzò di scatto dalla sedia e batté entrambe le mani sul tavolo. «Non lo accetto! Avresti dovuto parlarne con me, prima di dare la tua parola ad Erwin!»

«Eren, calmati per favore.» La voce di Saelle era tutt'altro che tesa: sapeva che suo fratello tendeva a reagire impulsivamente, ma era certa che, confrontandosi con lui, sarebbe arrivato a capire. Per la verità, al momento la preoccupava di più la reazione di Mikasa: naturalmente, sua sorella non aveva detto una parola, ma lanciava fiamme dagli occhi.

Anche gli altri compagni non sembravano aver preso la notizia del trasferimento di Saelle al Comando particolarmente bene. Historia la stava guardando severamente.

«Saelle, se lo fai per me, io non...»

«Non lo faccio solo per te, Historia.» la interruppe subito la sua compagna. «Non lo faccio neanche solo per Eren. È tutto il Corpo di ricerca a rischiare, capite? Anzi, è tutta l'umanità.» Diede in un breve sospiro. «Lo sapete bene che se il Corpo di ricerca verrà chiuso, le nostre speranze di uscire dalle mura si ridurranno a zero. Non ci sarà nient'altro che questa prigione, per noi.» I suoi occhi verdi si spostarono su Eren, su Armin, su Connie. «Nessuna speranza di libertà, nessuna possibilità di scoprire cosa c'è al di là delle mura. Anche le ricerche sulla trasformazione degli esseri umani in giganti saranno abbandonate.» Le sue iridi, infine, si posarono su Jean. «E tutti i nostri compagni caduti non avranno mai risposta al perché sono morti.»

Il silenzio calò nella stanza. Eren si rimise seduto sulla sedia e abbassò gli occhi, due occhi luminosi già leggermente lucidi; Jean preferì distogliere lo sguardo, mentre gli altri sembravano stare capacitandosi della scelta fatta dalla loro amica. L'unica che non sembrava per nulla dell'opinione era ancora Mikasa. Con le braccia incrociate al petto, alzò gli occhi furenti sulla figura alle spalle di Armin.

«Tu.» sibilò, in collera. «Tu, come puoi permetterglielo?»

Il capitano Levi era l'unico in piedi; era posato alla parete, alle spalle di Armin.

«È la nostra occasione migliore per infiltrare qualcuno al Comando.» rispose, calmo.

«È pericoloso!» gli ringhiò contro Mikasa. «Hai idea di cosa le stai chiedendo?»

«Mikasa, adesso basta.» si intromise Saelle. «Il comandante Erwin lo ha chiesto a me. Mi ha lasciato libera scelta: e la mia scelta è questa. Non c'è altro da dire.»

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Quella sera, quando i membri dell'unità erano già nelle loro stanze, Mikasa sentì bussare alla porta della sua; la socchiuse e spiò dall'apertura, dove trovò ad attenderla i due occhi color smeraldo della sorella adottiva.

«Mi fai entrare?» le chiese questa, con un mezzo sorriso sulle labbra.

Mikasa non disse niente, ma le aprì la porta; non restò ad accoglierla però, perché le girò le spalle e andò a piazzarsi di fronte alla finestra, a braccia conserte. Saelle la guardò e, invece che irritarsi, sorrise: sua sorella era davvero una frana nel gestire i sentimenti e il suo atteggiamento piccato era davvero indisponente, ma sapeva che le sarebbe mancato, di lì a pochi giorni. Perciò entrò da sola, si chiuse la porta alle spalle e restò al centro della stanza, parlando con una schiena e con un caschetto di capelli neri.

«Mikasa, lo so che non sei davvero arrabbiata.» disse. «So che invece sei preoccupata.»

La sorella non mosse un muscolo, quindi Saelle continuò.

«Sei preoccupata perché sai che la politica è una tana di lupi e io ci sto per entrare dentro volontariamente. Sei preoccupata perché, se voglio scoprire qualcosa, dovrò espormi e questo potrebbe mettermi in pericolo. Sei preoccupata perché tu non sarai con me e non potrai proteggermi.»

Sospirò.

«Voglio dirti che hai ragione e che io sono preoccupata quanto te.»

A quest'ultima affermazione, Mikasa sciolse le braccia e si voltò. Saelle le sorrise e le si avvicinò, fino a prenderle la mano.

«Mikasa, lo sai che non mi allontanerei da te e da Eren se non fosse necessario.»

«Perché lo fai, allora?»

«Perché più il Corpo di ricerca perde consensi, più è probabile che ci tolgano la custodia di Eren. Se lui finisse nelle mani della Gendarmeria, lo sai cosa gli farebbero.»

«Se ti scoprissero, lo sai cosa farebbero a te?» ribatté l'altra.

A Saelle si adombrò per un momento lo sguardo, ma strinse la mano a sua sorella.

«Non abbiamo alternative: dobbiamo tentare. Forse, da quella posizione, potrò proteggervi.»

Mikasa considerò il volto di sua sorella, guardò quegli occhi così incredibilmente simili a quelli di Eren.

«D'accordo.» disse infine. «Ma devi promettermi una cosa.»

«Che cosa?»

«Promettimi che, appena la situazione te lo permetterà, tornerai da noi.»

Saelle sorrise.

«Non c'è bisogno che tu me lo chieda. Devo ancora partire e già non vedo l'ora di tornare.»

Stavolta, anche Mikasa sorrise. Saelle mise entrambe le mani sulle sue.

«Ti voglio bene, sorellina.»

«Ti voglio bene, peste.»

Saelle le lasciò le mani e tornò alla porta; prima di uscire, si voltò un'ultima volta a guardare sua sorella, che era una guerriera, ma era bella come non mai, nonostante si portasse sempre addosso quella logora sciarpa rossa.

«Ah, un'ultima cosa Mikasa.» le disse sulla porta. «Smettila di prendertela col capitano Levi.»

Mikasa la guardò stupita.

«Avrà bisogno di te.» concluse Saelle. «Stagli vicino.»

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora