Capitolo LVII - Inumana

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Saelle condusse il capitano Levi con sé al piano inferiore, in una camera sul lato nord, dove era stato ricoverato Eren dopo lo scontro coi giganti. Mikasa, Jean e Connie erano con lui, ma avevano delle facce orrende, sconvolte dalla preoccupazione e, probabilmente, da quello che avevano visto. Il ragazzo che giaceva sul letto era uno spettacolo davvero angosciante: il povero Eren non aveva più che metà del suo corpo. La gamba sinistra gli era stata tranciata di netto e quella destra poco sopra il ginocchio; tutto il braccio e la spalla destra erano stati divorati e anche il fianco sinistro; la testa e il collo avevano lacerazioni ovunque. Il letto era un ammasso di asciugamani, garze e fasce sanguinolente con cui si era cercato di tamponare il suo sangue; il suo volto era uno straccio bianco, inondato di gelido sudore. Niente avrebbe lasciato pensare che fosse ancora vivo, se non per il suo respiro affaticato e lento, interrotto da quando a quando da suoi brevi lamenti.

All'ingresso di Levi nella stanza, Jean e Connie gli fecero il saluto.

«Siamo felici di vederla in piedi, capitano.» disse Jean, a bassa voce. Era evidente che non mentiva, eppure nulla nel suo volto assomigliava neanche lontanamente alla felicità. Connie si avvicinò a Saelle.

«Ha smesso di sanguinare.» mormorò vicino al suo orecchio. «Però il suo corpo non emette il solito vapore. Non si sta curando. I dottori non sanno cosa fare.»

Mikasa, seduta e silente con gli occhi fissi su Eren, strinse le dita sulla sciarpa rossa che teneva sempre al collo, con un'espressione sgomenta e vitrea sul volto. Tutti parlavano a bassa voce, come per non disturbare il ferito, ma sui loro volti si leggeva chiaro quanto nessuno di loro osava dire a voce alta: stavano aspettando che morisse da un momento all'altro.

Saelle guardò il volto di sua sorella Mikasa, che non sembrava nemmeno essersi resa conto che lei e Levi erano entrati nella stanza; strinse convulsamente i pugni.

«Avete provato a svegliarlo?» bisbigliò il capitano a Connie. Lui annuì.

«Lo abbiamo chiamato molte volte, ma resta incosciente. Da quando Mikasa lo ha estratto dal corpo del suo gigante, non ha mai aperto gli occhi.»

«Ha detto nulla?»

«Si lamenta nel sonno. Pare che stia soffrendo molto.»

I pugni di Saelle erano così serrati che la ragazza iniziò a penetrarsi la carne con le unghie. Il suo corpo sembrava scosso dai tremiti tanto era frustrata. Nel giro di appena un paio di minuti, non resistette e lasciò in fretta la stanza, percorrendo a passo spedito il corridoio con gli occhi incollati al pavimento. Levi la vide andarsene; girò un momento gli occhi sui volti dei suoi sottoposti, poi si fermò a osservare quello pallido di Eren. Se ne uscì anche lui qualche secondo dopo, ripercorse il corridoio e le scale, salì al piano superiore e cercò l'ultima porta a sinistra del corridoio. Era chiusa. Aveva appena messo la mano sulla maniglia quando sentì dall'interno qualcosa che veniva rovesciato, oggetti andare in frantumi, tonfi, colpi violenti, gemiti soffocati. 

Entrò. Saelle era in piedi in mezzo alla stanza, di spalle, curva in avanti; respirava affannosamente. Aveva rovesciato la scrivania, gettato la sedia contro il muro, mandato in pezzi la brocca, il bicchiere, il piatto, tirato giù dal letto le lenzuola, strappato il cuscino. Era fuori di sé dalla rabbia, dal dolore, dalla frustrazione, dall'impotenza.

«Dannazione!» gridò. «Dannazione!!!»

Si lanciò contro la parete e diede un pugno violento contro gli scuri della finestra. Si lacerò le nocche, ma non era abbastanza. Avrebbe voluto farsi male molto, molto più di così.

«Dannazione!» sibilò ancora, tremante. Le lacrime le scivolarono giù dalle guance. Precipitò in ginocchio, singhiozzando. Si mise a sedere, posò la schiena alla parete e abbandonò le braccia e il viso sulle ginocchia, rannicchiate contro il petto.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora