Capitolo LXII - Intromessa

417 20 4
                                    

La mattina dopo, quando Saelle scese per preparare a tutti la colazione, trovò Levi già in piedi. Doveva aver già mangiato perché stava riordinando gli utensili che aveva usato. La ragazza ripensò in un attimo al momento in cui lo aveva visto precipitare a terra coperto di sangue, ai punti di sutura che si erano riaperti macchiandogli la maglia, alla febbre alta dei giorni precedenti, alla ferita arrossata che gli aveva disinfettato solo poche ore prima: la sua legittima preoccupazione prese una piega rabbiosa. La ragazza lo guardò di traverso: «Dovresti riposare.»

Lui la degnò appena di uno sguardo.

«Sono sveglio da ore, non ne potevo più di stare fermo a letto.»

«Stare fermi a letto è proprio quel che significa riposare.»

Il capitano la ignorò e si diresse alle scale, ma invece che prendere la rampa che saliva, prese quella che scendeva nei sotterranei.

«Dove vai?» gli chiese la sua sottoposta, sgomenta.

«Ad allenarmi.»

«Devi essere impazzito!» gridò stavolta Saelle. «Avevi la febbre fino a due giorni fa e la tua ferita può ancora peggiorare! No, non se ne parla, nessun allenamento, è fuori discussione.»

Il suo superiore la fulminò con lo sguardo.

«So badare a me stesso.»

«No, non sembrerebbe!» gli ringhiò contro lei.

«Non sono affari tuoi.»

«Benissimo, allora non venire da me se la ferita ti fa male di nuovo.»

Stavolta, lui strinse i denti dalla rabbia.

«Non sono affatto venuto da te, sei stata tu a intrometterti.»

«Mi sono intromessa?» si sbalordì lei. «Ah, è così che la vedi? Dannazione Levi, sei davvero...»

Lasciò in sospeso la frase: qualcuno stava scendendo le scale. Pochi istanti dopo, comparve Connie.

«Buongiorno.» disse a entrambi. Loro bofonchiarono una risposta molto nervosa, che preoccupò immediatamente il ragazzo; si voltò a guardare meglio il capitano e deglutì: aveva un'espressione decisamente incollerita.

«È-è successo qualcosa?» domandò inquieto.

Levi incrociò le braccia sul petto e con gli occhi trapassò Saelle più ferocemente di quanto avrebbe potuto fare con una lama.

«Ricordavo alla tua compagna a chi va l'onere del comando, qui dentro.» dichiarò con tono gelido. «Non tollero che la mia autorità venga messa in discussione. Sono stato chiaro?»

La sua sottoposta lo guardò come se volesse incenerirlo; tremava di tensione e collera. Levi ripercorse gli scalini che aveva appena sceso e si piantò in faccia alla ragazza, squadrandola come avrebbe potuto fare con un ratto. L'espressione le era fastidiosamente familiare.

«Sono stato chiaro?» ripeté, scandendo ogni singola sillaba.

«Signorsì.» gli sibilò lei in risposta, ma con le iridi lo stava evidentemente sfidando.

Levi scrutò quegli smeraldi ribollenti di ferocia per qualche istante, rispondendo loro con la sua solita fredda calma.

«Allora, sarò ancora più chiaro.» disse. «Per dare una raddrizzata a questo tuo atteggiamento mordace, per tutto il resto della settimana svolgerai da sola tutti gli incarichi della squadra, compreso il primo di quelli notturni. Fammi sentire la tua risposta.»

«Sissignore.» mugugnò lei.

«Non ti ho sentito bene, soldato.»

«Sissignore!»

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora