Capitolo LIII - Ordini e disordini

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Alcuni giorni dopo il suo ritorno al castello, a Levi accadde qualcosa di strano. Era nei sotterranei con il resto della squadra ad allenarsi, visto che aveva mancato il consueto addestramento nei giorni in cui si era trattenuto nella capitale. Terminato di fare pesi alla panca, si arrestò un momento a riprendere fiato e si accorse che Saelle, ai sacchi da boxe assieme a Jean, stava chiedendo una cosa al suo compagno, indicando col dito la fune che reggeva il sacco. Probabilmente la corda si stava sfilacciando e voleva cambiarla.

«Non ci arrivo.» la sentì dire. «Mi aiuti?»

«Sì, aspetta.» Jean le si avvicinò e, mentre le passava alle spalle, le posò la mano sinistra sul fianco, proprio sotto al punto vita, come per cercare sostegno; con l'altra, si protese verso il gancio che reggeva il sacco. Per qualche istante, le sue dita rimasero posate sul fianco nudo e sudato di Saelle che, come tutte le ragazze della squadra, quando si allenava indossava una canotta corta che le lasciava nudo l'addome. Jean riuscì a slacciare la corda dal gancio e posò il sacco a terra.

«Grazie.» gli sorrise Saelle. Lui aveva già ritirato la mano.

«Ti serve aiuto per cambiare la corda?»

«No, ce la faccio, tranquillo. Vado a prenderne una nuova nel magazzino. Tu continua pure.»

«D'accordo.»

Quel contatto era stato probabilmente casuale e innocente, ma procurò a Levi uno strano conflitto di emozioni. Lì per lì, il suo primo impulso fu quello di raggiungere Jean e frantumargli le dita della mano sinistra una per una. Gli tornò in mente che, tempo addietro, quando erano a Stohess e Saelle si stava riprendendo dopo lo scontro con Annie, lui l'aveva sorpresa con la mano stretta in quella di Jean; Levi ebbe in quel momento la mezza idea di staccargli direttamente quella mano dal polso.

Quando riuscì a superare questo primo impulso, quello che subentrò poi fu una sensazione che aveva già provato qualche giorno prima, a Trost: era invidia. Per l'ennesima volta, aveva assistito a quella familiarità nella vicinanza e nel contatto, anche fisico, che tutti i soldati della sua unità avevano con Saelle e che lui non poteva avere. Loro due si erano toccati varie volte, era vero: avevano combattuto uno contro l'altra, si erano abbracciati in quell'unica occasione, lei gli aveva carezzato una guancia alla morte di Kenny. Però, un contatto come quello non c'era mai stato. Perché Jean poteva farlo con tanta naturalezza e lui no?

Saelle era appena tornata nella palestra, armata di una nuova fune. Slacciò quella vecchia e legò diligentemente quella nuova al sacco; Jean l'aiutò a issarlo nuovamente sul gancio appeso al soffitto.

«Ecco, così puoi continuare.» le sorrise Jean.

«Grazie mille!»

Riuscirono a dare sì e no una manciata di pugni, prima che una voce gelida alle spalle di Jean li interrompesse.

«Jean, vai alla panca.»

Il ragazzo si voltò.

«Capitano, non ho finito le mie serie.»

«Muoviti.»

Il povero ragazzo non capiva perché Levi lo guardasse in modo tanto feroce: che aveva fatto di sbagliato?

«Si-signorsì.»

Levi gli guardò dietro per qualche momento come se volesse incenerirlo, poi indossò le fasce per le nocche e iniziò a tirare pugni al sacco accanto a quello su cui si stava allenando Saelle. Ogni tanto, le lanciava qualche occhiata. Lei appariva molto concentrata. Teneva una buona guardia, si piegava bene sulle ginocchia; glieli aveva dati lui quei consigli.

Due diretti, un gancio, ancora due diretti. Per fortuna il sacco su cui picchiava Levi era allacciato sia al soffitto sia al pavimento, altrimenti sarebbe schizzato in aria, vista la forza che lui ci stava mettendo.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora