Capitolo LXXIV - Oltre il buonsenso

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Era buio da alcune ore, ormai. Saelle era al secondo piano del castello, di fronte alla porta chiusa della stanza del capitano Levi, e si stava chiedendo cosa diamine stesse facendo lì. Non poteva credere di esserci arrivata con le sue gambe. Lo sapeva già di essere una stupida, ma addirittura a quel livello... doveva essere proprio senza speranze. Cosa pensava di fare? Cosa credeva che sarebbe successo, se avesse varcato la soglia? Si ricordava cos'era accaduto, l'ultima volta che si era trovata da sola con Levi? Poteva credere che sarebbe andata diversamente? Il suo cuore avrebbe mai resistito ad un altro incontro come quello? Piuttosto... il suo cuore avrebbe mai resistito senza?

Senza bussare, mise mano alla maniglia e aprì la porta. La fioca luce delle lanterne del corridoio illuminò la stanza solo fino ai bordi del letto. Il capitano era seduto lì, con i gomiti posati sulle ginocchia. Alzò lo sguardo quando la porta si aprì.

«Ti ho sentita arrivare, qualche minuto fa.» disse. «Credevo che non saresti entrata.»

«Non avrei dovuto, infatti.»

Lui le cercò gli occhi coi suoi.

«Perché, allora?»

Lei si era appena chiesta la medesima, identica cosa.

«Perché la voglia che ho di stare con te è più forte del mio buonsenso.» rispose. «È più forte persino di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.»

«Cosa c'è di sbagliato?»

«Che questo mi causerà più dolore di quanto io possa aver mai immaginato. Eppure, temo che non farlo me ne causerà ancora di più.»

Guardò quegli occhi che la indagavano e la leggevano, quelle iridi più taglienti dell'acciaio, più profonde della notte, più inquiete della tempesta, più magnetiche di qualsiasi altra cosa avesse mai sperimentato nella sua vita.

«Non riesco a fare a meno di te, Levi.»

Il capitano la raggiunse sulla porta, la spinse contro lo stipite e la baciò. Stavolta, lei non si oppose: gli avvolse le spalle con le braccia e se lo strinse addosso, mentre lui prendeva finalmente quello che voleva dalle sue labbra, dalla sua lingua, dai suoi respiri, dal suo cuore. La porta era ancora aperta e loro erano a metà dentro la stanza e a metà in corridoio: Levi la tirò a sé e le chiuse la porta alle spalle. Lei usò quella breve pausa per fissare gli occhi nei suoi e trattenerlo un momento.

«Una notte solamente.» gli disse. «Una sola, quanto basta per poter avere un po' di sollievo, per avere un ricordo da portare per sempre con me. Non più di questo. Non potrei sopportarlo.»

Levi le strinse la mano.

«È molto più di quanto avessi mai sperato.» le rispose sussurrando al suo orecchio. Da lì, le baciò il lobo, la nuca, il collo, la spalla. Con la mano destra, le carezzò il viso, scese sul suo seno, le strinse il fianco. Poi, fece una cosa incredibile: si chinò, le passò un braccio sotto alle ginocchia e la prese in braccio. La trasportò fino al letto e la depose sulle lenzuola, come se fosse una sposa. Saelle lo attirò a sé e lo baciò ancora. Levi salì sul letto sopra di lei: le cercò i bottoni della camicetta e iniziò a slacciarli uno per uno, ammirando il corpo di lei scoprirsi centimetro dopo centimetro sotto al suo sguardo. Quando arrivò in fondo, tornò con le dita al suo cuore e, con un gesto brusco, le scostò di dosso il tessuto. Il suo seno, finalmente. Levi vi lanciò sopra la bocca e lei gemette: lo strinse su di sé mentre lui la carezzava, baciava, leccava, succhiava, senza potersi sfamare di lei.

Saelle era già eccitata: con le dita, gli cercò i pantaloni per poterglieli abbassare. Lui le intercettò il polso e glielo bloccò sulle lenzuola. Oh no, stavolta no. Stavolta non sarebbe andata in quel modo. Sempre tenendola ferma, lui iniziò a scendere: con la bocca, le carezzò il petto, l'addome, il fianco. Trovò i suoi pantaloncini: glieli sfilò. Percorse con la lingua il suo pube, la sua gamba, il suo ginocchio, poi risalì lentamente la sua coscia e incontrò finalmente la sua più profonda intimità. Iniziò a baciarla, a leccarla, a torturarla con la lingua. Lei inarcò la schiena e diede in un profondo sospiro, godendo di quella dolcissima tortura come se fosse la più paradisiaca delle penitenze. Gemeva, sospirava, stringeva gli occhi, contorceva la bocca in smorfie di piacere; le sue mani andarono ai suoi seni per carezzarsi.

Ogni minuto che mi resta, Levi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora