Capitolo VI

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"Ma mai nessuno fece in modo che chi avesse opinioni false poi venisse a concepire opinioni vere. Non è possibile, infatti, che si abbiano opinioni su cose che non esistono, né altre opinioni sulle sensazioni: soltanto queste sono sempre vere. Così, chi per una condizione infelice dell'anima ha opinioni con essa concordanti, si può fare in modo, penso, che concepisca altrettante opinioni migliori che alcuni, per ignoranza, chiamano fantasie vere, e io invece migliori, le une delle altre, ma niente affatto più vere."

Il tamburellare delle dita del Gran Maestro sulla sua scrivania finalmente cessò, non appena la voce del giovane si fermò di recitare i versi del Teeteto, una delle opere più famose di Platone. Il suo sguardo profondo era sempre stato un po' serio. Aveva voluto presenziare lui stesso al giovane che voleva a tutti i costi entrare nella sua cerchia. Avere gloria, potere... ma come lui ripeteva sempre: Non c'è gloria senza sofferenza. E ciò, con il passare degli anni, lo aveva potuto provare sulla propria pelle. Il suo addestramento, l'entrata nell'Ordine e la neo-elezione a Gran Maestro.

Erano passati solo due mesi da quando ottenne il comando dell'intera confraternita. E più passavano le ore, i giorni, e più pensava di non esserne in grado. Si alzò dalla sua scrivania, spostando la sedia con un rumore assordante. Senza degnare di uno sguardo il giovane che aveva davanti, andò alla finestra per guardare fuori. La città di Cesarea era in fermento quella mattina. I pescatori pregavano mentalmente con la speranza di riuscire a prendere qualche bel pesce grosso per poterlo vendere al mercato. I suoi occhi piccoli e scuri contemplavano la zona con fare attento come fosse una lince. Polvere e sabbia che continuavano ad alzarsi, chiacchiericci insopportabili. Ah, quanto avrebbe voluto tornarsene in Francia, a casa sua! Ma aveva accettato un incarico ed era intenzionato a portarlo a termine, fino alla sua morte almeno. Ondeggiando il sacchetto con le monete d'argento al loro intento, si voltò verso il giovane, lanciandoglielo. Alì lo afferrò al volo, guardando confuso il visconte.

"Grazie per i tuoi servigi, Alì."

Il tono del Templare non faceva trasparire nulla. Era freddo e autoritario, come la sua carica gli imponeva di fare.

"Mi prenderete con voi, Gran Maestro?"

In effetti il giovane non era male a parole, era con i fatti, con la spada, che non se la cavava molto bene. Ma per quello c'era sempre un addestramento.

"In prova. Domani mattina torna qui. Se riuscirai a migliorare con la spada, forse potrò prenderti sotto la mia ala. Ma solo se il miglioramento c'è."

Negli occhi di Alì, il Templare riuscì a scorgere un barlume di speranza. Non gli aveva dato un chiaro, ma neanche un no. Una via di mezzo. Tanto quanto bastava per poter levarselo di torno e poter stare un po' in pace. Non ne poteva più di tutto quel trambusto!

"Grazie, Signore! A domani."

Con un lieve inchino un po' impacciato, uscì dalla stanza.

Il Gran Maestro tirò un sospiro di sollievo quando il solo rumore che riusciva a sentire, proveniva da fuori la sua abitazione. Per la verità non era la sua abitazione ma solo un rifugio sicuro. I suoi sottoposti dovevano svolgere alcuni incarichi nella cittadina in questione e ci sarebbero voluti dei giorni. Sperava solo di rientrare a Gerusalemme per godere di pace e serenità nella sua vera casa.

Riavviò il mantello bianco, dove al centro spiccava la croce rossa, e andò alla tinozza in fondo alla stanza da letto. Mise le mani a coppa, immergendole nell'acqua, e portandosele al viso. L'impatto con l'acqua fredda lo fece risvegliare da quel caldo afoso e straziante, sembrava una tortura. Che cosa avrebbe dato per starsene nel suo letto, a casa sua, coccolato dal rumore dell'acqua, l'unica cosa femminile che poteva avvicinarsi al suo corpo, visto il suo voto di castità. Stranamente non aveva mai sofferto la mancanza delle attenzioni femminili. Aveva preso il suo impegno con serietà e non si era mai ritrovato a pensare come sarebbe stata la sua vita senza una donna. Ci pensava raramente, magari durante la notte, quando mille pensieri l'assalivano e tra i quali c'era anche quello. Vivere senza avere una discendenza era un sacrificio bello e buono, ma lo faceva nella consapevolezza di poter gioire nella protezione di Nostro Signore, durante le numerose battaglie che sarebbero venute. Quell'anno avrebbe portato numerosi cambiamenti, il Templare lo sentiva, lo percepiva, nell'aria che respirava e nei pasti che consumava con i suoi confratelli crociati. L'alleanza con i cavalieri Ospitalieri era una grande cosa, in qualsiasi momento potevano contare sul loro aiuto in qualche battaglia, anche se avrebbe fatto a meno di tornare ad Acri, in quella cittadina sembrava che il sole non sorgesse mai, sempre velato dalla cupa nuvola di tristezza e povertà. Inoltre, la peste aveva colpito anche lì. La fortezza dei cavalieri Ospitalieri era stata assalita, letteralmente, da ogni malato della zona o della cittadina. Le morti erano sempre più frequenti. Talal, il Gran Maestro dei cavalieri Ospitalieri, lo teneva informato delle morti e dei sopravvissuti, credendo che chi sopravviveva era un segno del Signore e che quindi doveva tenerlo in considerazione per farlo entrare nel suo Ordine.

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