Capitolo XXXVI

21 3 0
                                    

Dall'altra parte della Francia, in Provenza, il sole estivo riscaldava l'ambiente e la terra abitata da erba e fiori. L'aria afosa costringeva i nobili signori a comandare ai servi di fare vento con ogni strumento possibile.

Lucrezia Sinclair non sopportava proprio il caldo, nelle stagioni estive preferiva andare a stare da sua zia a Rènnas de Castèl, a Sud. Lì l'afosità era leggermente più tollerante e poteva godere di una piacevole vista sui colli vicino alla chiesa. La sua mente vagava spesso per quei luoghi che l'avevano vista crescere. Quell'estate, però, avrebbe dovuto adattarsi al clima della residenza in Provenza. Non poteva tornare nelle terre scozzesi, non poteva andare da sua zia a Sud della Francia... tanto valeva che imparasse a giocare a scacchi. Infatti, era ciò che stava facendo, in compagnia di suo fratello, Enrico.

Le labbra dell'uomo si curvarono leggermente all'insù, nascoste dalla poca barba che le circondava e occupava il mento, unendosi alle basette all'attaccatura dei capelli in entrambi i lati del viso. La pelle olivastra prendeva una tonalità caramello alla luce del sole che filtrava dal grande balcone della villa. I veli bianchi ondeggiavano al ritmo del vento estivo, posti appositamente dinanzi ai raggi per impedire che entrasse l'intera luce del giorno al centro della stanza da letto.

Lucrezia osservava con la coda dell'occhio lo sguardo di suo fratello, ben concentrato sul gioco, come se non avesse altri pensieri al mondo. Per anni erano stati l'uno la forza dell'altra, su ogni cosa. Alla morte della loro madre, ad esempio, o quando Margareth venne a mancare, portandosi via l'unico erede di Enrico. Una grave perdita per lui che solo dopo ben tre anni aveva iniziato a riprendersi. Ora beveva, andava a caccia con gli amici, si prendeva cura delle loro terre, in Scozia e in Francia, e le loro ricchezze aumentavano. Ricchezze che facevano gola a chiunque, persino all'uomo con il rango meno elevato di tutti. La giovane tirò fuori dalle labbra un sospiro sconsolato, senza neanche rendersene conto, trovandosi l'espressione divertita e perplessa di suo fratello su di sé.

"State vincendo e sospirate, mia dolce sorella? Dovreste gioire." Le fece notare Enrico, muovendo la sua torre di tre caselle più avanti. Il cavallo nero di Lucrezia era nuovamente in pericolo.

"Avrei gioito in un altro momento." Si limitò a dire, muovendo l'alfiere in diagonale in modo che potesse mangiare la torre bianca di Enrico.

Il più vecchio –tra i due- dei Sinclair la guardò con espressione crucciata. Aveva perfettamente capito a cosa andava a parare, il solito argomento nella quale, ogni medesima volta, finivano sempre per litigare.

"Lucrezia, ti ho già detto cosa mi costringe a darti in sposa al conte Moloch." Decise di riprendere il discorso, anche per un'ultima volta, mentre aveva lo sguardo concentrato sulla sua prossima mossa. "Blaser è un uomo vecchio, sì, ma lui e suo figlio sono gli uomini più influenti d'Inghilterra, sono vicini a re Riccardo e in questo modo ci permetterà di riprenderci Pemberly Creek, la villa che nostro nonno giocò a carte e nella quale la perse. Ricordi com'era bella?"

Pemberly Creek. Come poteva dimenticarla?

Era la dimora che la loro madre diede in dote al momento del matrimonio con il loro padre, all'epoca capo del clan dei Sinclair di Scozia. Ricordava il viale di pini, la strada lunga da percorrere prima di arrivare al cortile, il roseto che circondava la casa, le colonne bianche all'entrata da sembrare quasi un tempio. Ricordava ogni minima cosa di Pemberly Creek e il desiderio di tornarci aumentava ad ogni particolare che rimembrava. Addirittura, le cipolle che la loro domestica tritava in cucina, con l'aggiunta dell'aglio e delle spezie che utilizzava. Una volta l'aveva sorpresa a togliere i petali di una rosa e metterli in una brodaglia. Il sapore di quel piatto a cena, la sera, era sublime e non l'aveva mai più mangiato da quando era lì in Francia.

"Sì, la ricordo." Lucrezia abbassò lo sguardo sulla scacchiera per scoprire che suo fratello le aveva mangiato l'alfiere nero. Lo guardò con occhi socchiusi a modo di fessure, prima di scoppiare in una fragorosa risata, dove si aggregò anche Enrico.

"Vedrai, presto torneremo ad esserne i padroni. Tu mi prometti che concederai un'opportunità al conte, quando lo vedrai? Dicono che non siano persone malvagie. Non mangiano le donne, dopo averle sposate." Disse scherzoso, ridacchiando infine, alludendo forse a qualche racconto che la balia narrava loro da bambini.

Lucrezia li fece una linguaccia, abbastanza divertita. Sentiva, però, che dentro di sé non avrebbe mai potuto donare il suo cuore a qualcuno che in realtà non amava. Lei voleva provare la sensazione che aveva provato Enrico quando aveva preso Margareth in moglie. Sensazione che aveva provato anche suo padre con sua madre. Ma chi sapeva cosa poteva riservarle la vita? Poteva darsi che questo conte fosse di suo gradimento, seppur in età avanzata, che non fosse attaccato al denaro così come sembrava e che fosse, in qualche modo, anche amorevole nei suoi confronti. Lei era sempre stata una bambina, sognatrice del vero amore, e le faceva strano scoprirsi donna e prossima al matrimonio. Un vincolo che l'avrebbe legata attraverso un filo invisibile, per la vita, al conte Moloch.

"Va bene, Enrico. Ti prometto che gli darò un'opportunità." Rispose, muovendo il cavallo in avanti, attraverso le caselle bianche, facendo una sorta di slalom attraverso un cavallo bianco e un alfiere, arrivando alla fine.

Scacco matto.

Con un sorriso soddisfatto, rialzò lo sguardo sul fratello. "Discendiamo dai re Merovingi ed è giunto il momento di ricordarcelo." Disse, con un'audacia che non credeva di avere. Con queste parole si alzò e lasciò la stanza, lasciandosi alle spalle lo sguardo compiaciuto del fratello maggiore, il quale sguardo si perdeva all'orizzonte da fuori il grande balcone della villa.  

Anima RubrumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora