Capitolo LII

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In quei giorni a Damasco non era scesa neanche una goccia d'acqua, ormai nella cittadina regnava una perenne siccità, accompagnata poi dal Sultano Ṣalāḥ a Dīn, che continuava a minacciare Gerusalemme di un possibile attacco nella città dove sedeva ancora il Re. Quello stesso Re che, più passavano i giorni, e più si indeboliva. A niente serviva circondarsi di sua sorella, dei suoi consiglieri e dei medici. Ormai la sua sorte era destinata a scivolare nel baratro e con lui anche la sua vita.

Saladino era sempre più vicino alla conquista, alla promessa eterna che aveva fatto alla sua gente, che avrebbe riconquistato il regno di Gerusalemme per loro. E con tale evento alle porte, era concepibile che stesse spesso e volentieri fuori dalle mura della villa del fratello, suo consigliere più fidato ma che da alcuni giorni aveva abbandonato l'accampamento per far compagnia a sua sorella. Mai cosa fu più giusta.

Nei giorni seguenti alla partenza del cavaliere dalla villa, Rabi'a Hatun soffriva di solitudine. Non tanto di quella del cristiano ma della presenza di quel piccolo bambino nelle mura della villa. Il piccolo Edward, nei pochi giorni che era stato lì, aveva lasciato un vuoto immenso nel cuore della giovane fanciulla. Beh, giovane ormai era un affettuoso nomignolo con la quale veniva etichettata dai famigliari ma non si poteva dire che fosse ancora nel fiore degli anni. La sorella del Sultano, infatti, portava sul suo viso e sul suo corpo i segni evidenti dell'età che passava, come l'acqua in un torrente. Rispetto a quando era più giovane, ora era decisamente più magra e quel pallore sul viso non è più andato via dalla morte del marito.

Edward, senza volerlo e senza saperlo, aveva riportato nella sua vita della gioia. La gioia di ridere, di scherzare, di spazzare via la maschera di freddezza che per anni aveva indossato senza rimorso alcuno. Ed ora che se ne era andato, le sue giornate trascorrevano lente e noiose. Se non era nel salone principale, era nella sua stanza a ricamare un arazzo e quando anche la sua camera diventava troppo opprimente, dava istruzioni di far sellare il suo cavallo e correva a perdifiato, in sella all'animale, sul deserto affascinante e selvaggio, sotto il sole cocente del regno di Gerusalemme.

Anche quel giorno, seduta sul bordo della fontana del giardino, le sembrava di essere rincorsa dalle grida dei cittadini della città che suo fratello avrebbe assediato da lì a pochi giorni.

Malik, dal canto suo, l'aveva osservata dalla terrazza della sua stanza per tutto il giorno. A dire il vero non era la prima volta che la vedeva, l'aveva osservata ogni secondo in quei giorni e più la guardava e più le faceva male non poter fare nulla per lei. Ma sicuramente, le notizie che le avrebbe portato, l'avrebbero resa felice.

Le arrivò all'improvviso, senza fare rumore ma Rabia sapeva della sua presenza. Sapeva che era tutta la giornata che la guardava dalla terrazza per il semplice fatto che, ad ogni passo nel giardino, si sentiva costantemente osservata.

"Fratello." Lo salutò lei, cogliendo con lo sguardo una rosa rossa. Una delle tante. Il suo angolo di paradiso preferito, oltre alla bella oasi poco più in là.

"Sorella." Disse lui di rimando, fermandosi a pochi passi da lei. "Sai, stamani, quando mi sono destato e ho respirato l'aria arida del deserto, ho sentito costantemente i tuoi sospiri, anche se ero mille miglia lontano, a cavallo, e con un sole che batteva sul mio capo." Stavolta, a sospirare, fu lui, prima di continuare. "Che succede? Sono giorni che sei strana e non rifilarmi la storia della noia. Sei stata tu a muovere mari e monti per raggiungermi qui a Damasco."

"Mai scelta fu più azzardata." Si limitò a rispondere ella, osservando in volto il fratello maggiore.

"In che senso?"

"Nel senso che sono venuta qui con la speranza di passare più tempo con i miei fratelli ma mi rendo conto che non è così. Tu te ne stai tutto il giorno al chiuso e Saladino passa più tempo con i soldati che con la sua famiglia."

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