Capitolo XLII

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Il salone era stato decorato a festa.

Da tutte le parti del mondo sarebbero venuti gli invitati che sarebbero stati presenti a quel ricevimento, a quella testimonianza d'unione, sebbene non d'amore ma d'alleanza. Il riflesso nello specchio era sbiadito, lei non riusciva a vedersi bene in tutti quei veli che sembravano sistemati a posta per fare bella scena. Ma del resto ci si aspettava grandi cose da una donna come lei.

Una donna che agli occhi degli altri doveva sempre apparire al meglio per valorizzare la sua famiglia, suo fratello, anche quando dentro si sentiva marcia, sola e triste. La morte di sua madre era stato un duro colpo, che aveva attutito. Ma a furia di mandar giù bocconi amari si sarebbe ritrovata il palato estraneo alle dolcezze della vita, anche quando la sua colava a picco.

"Rabia."

La donna si voltò verso il lato opposto da dove stava camminando lei. In lontananza vide suo fratello, Saladino, avvolto nella tonaca lunga e rossa, mentre intorno al collo aveva la pelliccia di qualche animale nero. In testa aveva uno dei classici copricapi da Sultano e le mani erano saggiamente poste dietro la schiena, unite, e nascoste alla sua vista.

"È giunto il momento. Conoscerai il tuo futuro sposo."

Una giovanissima Rabia è la donna che china la testa di fronte al fratello. All'epoca era ancora troppo acerba per godere della succosità del frutto dell'esperienza, della vita e della saggezza. Ma quale saggezza poteva avere una ragazza di appena sedici anni?

Si risvegliò in un bagno di sudore, nel suo letto, e realizzò di essere tornata al presente. Sbatté le palpebre umide, mettendo a fuoco ogni mobile presente nella stanza. Quando richiuse gli occhi per provare a riprendere sonno, una lacrima uscì da entrambe le sue iridi chiare. Aveva sognato la prima volta che aveva incontrato suo marito, o meglio... che si preparava all'incontro con esso, prima del matrimonio. Credeva che sarebbe stato il giorno più brutto della sua vita ed invece si era tramutato in quello più bello, il primo di una lunga serie. Ma come tutte le cose belle, anche quella era stata destinata a finire.

Ben sapendo che non avrebbe ritrovato più un sonno sereno, la sorella del Sultano Saladino, decise di destarsi dal suo giaciglio per respirare l'aria della notte, un'aria innocente, pura e serena. Tutte cose che non appartenevano più al suo spirito. Vestita solo di una sottana di raso bianco, i capelli neri ondulati completamente scompigliati, e scalza ai piedi, si avviò verso la grande balconata, appena fuori la sua camera da letto.

Le piante più esotiche popolavano lo spazio aperto e il canto dei grilli faceva intendere a chi era sveglio, che il caldo sarebbe stato soffocante quanto la guerra che suo fratello era pronto a vincere. Si chiedeva quale delle tante. Ṣalāḥ al-Dīn era un conquistatore, il padrone del mondo e della Terra Santa. Aveva la luce degli ambiziosi, dei sognatori ed era nato per fare il sovrano. Ora era Sultano, domani poteva risvegliarsi re del regno di Gerusalemme, suo grande sogno da sempre.

Rabia osservava sotto il balcone come la vegetazione moriva sotto l'oscurità notturna. Avrebbe voluto fare la sua stessa fine, soccombere senza che nessuno potesse più ritrovarla. Dopo la morte di suo marito non era riuscita a farsi amare ancora da qualcuno e questo perché aveva creato un muro, da lei stessa, che tenesse lontano gli altri uomini e faceva restare solo i suoi fratelli, gli unici uomini della sua vita.

Pensando a loro sorrise ma fu questione di un istante. Il suo bel sorriso luminoso, che dava vita al suo sguardo, si spense nell'ombra mentre osservava qualcuno affacciato al balcone sottostante, nella camera degli ospiti. Il respiro divenne corto, come se avesse fatto una corsa più grande di lei, e sentiva la pelle d'oca addosso, le gambe tremanti.

"Rüstem." Lo chiamò, rendendo il tono di voce udibile, anche se basso.

La figura alzò il volto verso di lei, mostrando un mento barbuto corvino e degli occhi verdi. Un verde luminoso di una speranza che non era mai morta, non con lui almeno. Il cuore prese a martellarle nel petto, tanto che aveva paura potesse morire se fosse esploso all'improvviso.

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