Capitolo XLIX

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L'odore del cibo caldo riuscì a far borbottare il suo stomaco, provocandole dei crampi incredibili. Neanche quando era stata prigioniera nella cella di Gerusalemme aveva patito la fame in un modo così esagerato. Ma cosa poteva fare? Voleva morire, punto. Per anni l'aveva desiderato e per anni Dio gli aveva negato il riposo eterno. Adesso, invece, era pronta a sfidare tutto e tutti, anche le forze divine in persona, per poter morire e ricongiungersi con suo marito. Pregare la morte era sbagliato, lo sapeva, le donne suicide venivano decapitate una volta che lo spirito aveva abbandonato il corpo. Dio stesso, si diceva, che non perdonava le persone che si toglievano la vita di propria volontà. Ma ciò che si chiedeva veramente era: perché diamine il fato gli aveva salvato la vita più di una volta se poi doveva sentirsi così miseramente sola?

E non era l'unica a desiderare la morte. Due stanze più avanti, Hasan pregava Allah mattino, pomeriggio e sera per far cessare la sua vita, ma sembrava che anche lui si prendesse gioco del suo umile servo.

Maddalena chiuse gli occhi, girandosi a pancia in giù sul suo letto e soffocando le lacrime sul cuscino. Era il suo umore da quando era tornata da Masyaf. In una mano, posta vicino al cuore, stringeva in pugno il fazzoletto di raso rosso che gli aveva donato Sef prima della sua missione. Istintivamente portò lo sguardo ad esso e le lacrime furono inevitabili. Ormai quelle vecchie, morte sul volto, avevano fatto la scia di dove prima erano passate e sentiva le guance profondamente scavate da esse, tanto che credeva che il sangue fosse prossimo ad uscire.

C'è solo una cosa che devi ricordarti prima, durante, e dopo la battaglia. Io sono tuo e tu sei mia. Noi ci ritroveremo sempre.

Ma quanto di vero c'era in quelle parole e quanto di falso? Era stato un bugiardo anche lì. Avrebbe voluto tornare all'istante prima della missione, per dirgli di non fare promesse che non poteva mantenere ma se avesse saputo prima che quella era l'ultima volta che l'avrebbe visto, sicuramente, non avrebbe lasciato le sue labbra così presto. Le avrebbe marcate, magari anche morse, come per segnare che anche dopo la morte ci sarebbe stata, che il suo ricordo viveva perennemente.

Respirò a fatica, gli sembrava impossibile anche alzare mezzo braccio per quanto poche forze aveva in serbo. Con il palmo della mano libera aperta sul letto, si diede una spinta fino a sedersi. Non c'era bisogno di vedersi allo specchio per osservare come si sentisse morta dentro. I capelli erano in disordine, aggrovigliati tra loro, e sembrava che anche il colore si fosse spento. Le labbra erano secche, aride. Si rifiutava di bere qualsiasi cosa che fosse acqua, vino, o intrugli vari preparati da Iris. Gli occhi chiari erano arrossati per via dei numerosi pianti e le guance erano scavate, profondamente provate.

Diede uno sguardo al vassoio d'argento con dentro una zuppa, del pane azimo, e una brocca con dell'acqua. In una ciotola di terracotta, vicino, vi era dell'uva bianca. Posò i piedi per terra prima di dare sfogo alla sua rabbia e di buttare tutto per terra, facendolo volare in un angolo, accompagnato da un grido isterico. Non era da lei ma non aveva voglia di mangiare, non aveva voglia di fare nulla.

Ansimante raggiunse la porta, aprendola e uscendo fuori, vestita solo di una sottana bianca e un poco trasparente. A fatica arrivò nella stanza vicino e bussò. Non ottenne nessuna risposta e quindi decise di entrare lo stesso. Vide Hasan chino sul letto e il volto rivolto verso terra, con la fronte che toccava il cuscino.

"Hasan." Lo chiamò lei, con voce flebile quasi impercettibile ma egli, anche se faticosamente, l'aveva udita.

L'anziano Nizarita si voltò appena verso di lei, il volto spento da qualsiasi emozione, forse il suo stato d'animo peggiorò nel vedere come la sua nuora si era ridotta alla notizia della morte del marito. Il cuore si stringeva in una morsa e sentiva sulle sue spalle come un peso, troppo grande per essere portato. Ma la parola di un uomo era sacra quanto un crocifisso per i cristiani.

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